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Cultura e scienza / Intervista

Silvia Gribaudi. Esercizi per la riscoperta del corpo

Intervista alla coreografa torinese Silvia Gribaudi. “Siamo ancora lontani dal capire che il fisico non definisce il talento di una persona. Dimenticandosi della forma ci si abbandona alla bellezza dell’arte”

Tratto da Altreconomia 196 — Settembre 2017
© Manuel Calfini

Se non vi siete mai misurati con degli “esercizi di danza per nuovi virtuosismi” fatevi accompagnare dalla coreografa torinese Silvia Gribaudi nella performance vertiginosa “R.osa. 10 esercizi per nuovi virtuosismi”, prodotta dal centro di produzione teatrale “La corte ospitale” di Rubiera (Re).  In scena troverete Claudia Marsicano, finalista del premio Ubu 2016 per la categoria “Nuova attrice under 35”, guidata da Silvia in “una rivoluzione del corpo che si ribella alla gravità e mostra la sua levità”, come l’ha definita Giulia Galvan, assistente alla drammaturgia. In “R.osa” si va oltre il giudizio, con la sfida di superare i propri limiti: il primo è proprio la “R” del colore da sempre, fastidiosamente, associato alla femminilità. Oltre quella lettera, si può osare la libertà.

Silvia, chi è “R.osa”?
SG 
R.osa” non è una persona ma una perfomance. È una tappa del percorso avviato nel 2009 con “A corpo libero” (vincitore quell’anno del premio per la Giovane danza d’autore della Regione Veneto, ndr): una performance autobiografica  che ironizza sulla condizione femminile, portando in scena la “gioiosa fluidità” del corpo e la sua trasformazione.
“R.osa” è anche la possibilità di poter contemplare la bellezza del corpo classico e “boteriano” e farsi travolgere dal virtuosismo dell’azione fisica agita sul palco. La drammaturgia è costruita sull’esecuzione di 10 esercizi che “osano” visioni legate alla pittura, al pop e al comico fino a condurre il pubblico dentro una dimensione di coinvolgimento, benessere e riflessione attorno ai corpi.

Claudia Marsicano è la protagonista sul palco di questa performance. Come è nata questa collaborazione?
SG 
Nel 2015 Claudia ha partecipato a un mio laboratorio di danza nell’ambito di un progetto in collaborazione con la regista Roberta Torre e l’anno successivo le ho proposto di lavorare in “R.osa”. Claudia è un’attrice napoletana di 25 anni che vive a Milano, dove ha frequentato la scuola di teatro “Quelli di Grock”. Grazie a lei ho ho potuto proseguire e approfondire un lavoro sul corpo e i suoi volumi che da anni metto al centro della mia poetica. La premessa di questo lavoro sono due domande: che impatto ha il corpo nella società moderna? Come dare spazio all’espressione libera di un corpo quotidiano?

Per rispondere, durante la performance, coinvolgi direttamente il pubblico.
SG 
C’è un lavoro di sfondamento di quella che il filosofo del ‘700 Denis Diderot chiamava “quarta parete” (un muro immaginario posto di fronte al palco di un teatro, ndr), ovvero la costruzione, attraverso l’ironia, di una relazione tra chi è in scena e il pubblico. Questa danza, infatti, agisce sempre un movimento che dà un ritmo e una comicità. È una scelta che viene dalla mia storia personale: ho lavorato nella compagnia di cabaret di Vasco Mirandola, “I peli superflui”, e prima ancora come animatrice nei villaggi turistici. In scena reintegro il valore di queste esperienze creando un gioco con il pubblico, che è una provocazione: gli esercizi di “R.osa” hanno infatti l’obiettivo di far sentire a proprio agio il pubblico in una situazione apparentemente scomoda.
Il confronto con un corpo “boteriano” suscita reazioni diverse a seconda di dove lo proponi. Nel mondo dell’arte siamo più abituati a confrontarci con fisicità colorate, dipinte, in qualche modo “diverse”. Qui, il corpo esposto di Claudia o il nudo che porto in scena con Domenico Santonicola in “What age are you acting? The relativity of age”, non generano stupore perché c’è una sorta di abitudine. Ma resta sempre una proiezione del proprio sguardo in quello che vediamo e mi sono accorta confrontandomi con un pubblico di non “addetti ai lavori” che siamo ancora molto lontani dal capire che un corpo non definisce il talento di una persona. Siamo blindati dentro certi limiti che noi stessi definiamo: quando vediamo Claudia sul palco in uno spettacolo di danza restiamo stupiti, perché non siamo abituati a vedere una danzatrice formosa, ma principalmente corpi androgeni o molto magri e muscolosi. Quello che ho riscontrato nelle reazioni del pubblico è che alla fine dello spettacolo ci si dimentica della forma e ci si abbandona alla bellezza dell’arte. In “R.osa” non sai mai se quello che stai vedendo sia realtà o finzione. Lo scopri solo se approfondisci mettendoti in discussione, altrimenti ti fermi all’immagine, superficiale e colma di pregiudizi, con una valenza opposta -a seconda dei casi- di non accettazione o esaltazione. E questo ci mostra una difficoltà della società contemporanea, dove sei invisibile o sei un fenomeno e la realtà dei fatti -un corpo con un’identità- non è considerata.

Se ti fermi all’immagine, superficiale e colma di pregiudizi, puoi solo rifiutare o esaltare. E questo ci mostra una difficoltà della società contemporanea, dove sei invisibile o sei un fenomeno e la realtà dei fatti -un corpo con un’identità- non è considerata

Qual è la necessità di portare in scena un discorso sui corpi?
SG 
Nel 2008 la mia fisicità si è trasformata, sono ingrassata rispetto a quando avevo iniziato come danzatrice e mi sono chiesta cosa potessi fare con questo nuovo corpo. A partire da questa mia esigenza ho iniziato un percorso di ricerca su tutte le parti del corpo: non solo i muscoli o lo scheletro, ma anche le parti molli. Mi sono chiesta: cosa succede in uno spettatore che vede in scena un corpo morbido? Questo e altri lavori che porto avanti, come quello sul corpo che invecchia, hanno in comune l’idea che la danza possa essere a sostegno dei cambiamenti naturali e biologici del corpo.

Oggi è sempre più riconosciuta l’importanza di un corpo sano. Come ti poni rispetto a questo tema?
SG 
Non sono sicura di poter parlare di completa salute rispetto al corpo di un danzatore magro o molto muscoloso. Spesso i duri allenamenti provocano danni alle ginocchia e sono ancora molto diffusi, purtroppo, i disturbi del comportamento alimentare. Io stessa non ho fatto una vita sana da giovane danzatrice, sempre davanti allo specchio a controllare i dettagli del corpo. Non a caso molti danzatori fanno poi un percorso di destrutturazione per rendere più libero il proprio corpo e riuscire ad abbandonare l’ossessività di una fisicità perfetta. Abbiamo infatti questa tendenza a definire un corpo sano o malato sulla base dell’estetica, ma non sempre quello che vediamo riflette la realtà. Inoltre, il corpo è un involucro che cambia in continuazione e quello che conta è come noi stiamo in quel contenitore. L’inadeguatezza colpisce tutti noi, al di là delle forme. In “What age are you acting?”, per esempio, abbandoniamo questa inadeguatezza per trasformarla in arte attraverso la tecnica.

Le tue performance sono portate in scena in spazi molto diversi tra di loro e spesso inusuali per la danza e il teatro.
SG Mi interessa andare in tutti i luoghi, per poter arrivare a più persone. Così, vado a cercare anche chi non viene a teatro e di sorprendere le persone dove non se lo aspettano. È l’applicazione del concetto, preso dal buddismo e dal mio maestro giapponese Daisaku Ikeda, di rivitalizzare i luoghi in cui viviamo. “A corpo libero” (che è una performance di 15 minuti che vede protagonista proprio Silvia, ndr) ha proprio questa formula: posso portalo in un teatro e il giorno dopo sono al mercato del pesce o in un supermercato. È la bellezza di avere una performance forte nella sua essenza e perciò può essere riproposta ovunque. E, rispetto a quando ho iniziato questo percorso nel 2009, oggi sono libera dal timore che se manca una certa luce o un certo dettaglio tecnico, lo spettacolo possa non funzionare. La forma cambia in base al luogo -se pensiamo, appunto, alla luce, oppure alla location-, ma non è quello che definisce l’opera: è semplicemente al servizio di ciò che voglio comunicare al pubblico, in libertà. Questo percorso mi aiuta anche a spiegare meglio “R.osa. 10 esercizi per nuovi virtuosismi”, che invece ha un impatto mediatico più forte, con il rischio che il pubblico si fermi alla superficie di quello che vede. Anche per questo quando è possibile alla fine dello spettacolo, con Claudia, mi fermo a dialogare con gli spettatori. Perché non si fermino a quest’ultimo risultato compiuto. Ma condividano con noi un percorso che è sempre in evoluzione e ha ancora bisogno di crescere.

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