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Ambiente / Opinioni

Per i negazionisti della questione climatica le parole di Greta Thunberg sono schiaffi. Meritati

© Harrison Moore on Unsplash

Se chi chiede cambiamenti radicali e impegni incisivi nelle politiche sul clima viene appoggiato, significa che si è capito che ormai si deve fare qualcosa. Ovviamente, non tutti hanno gradito il messaggio rilanciato dalla giovane attivista. Va tutelata, ricordandosi che il richiamo all’emergenza è pericoloso: può favorire la riduzione degli spazi di confronto democratico e di decisione collegiale. Le soluzioni spicce spesso non sono le migliori. La rubrica del prof. Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 216 — Giugno 2019

Il successo che ha avuto l’azione di Greta Thunberg è un fatto importante e interessante nel panorama della lotta al cambiamento climatico degli ultimi anni. In pochi mesi, l’attivista svedese con i suoi sguardi imbronciati, le parole nette e la sua giovinezza ha canalizzato le energie di molti giovani e ricevuto una quantità di consensi non scontati. Certo, molti di questi applausi e dei sorrisi sono di circostanza, belle parole che non costano nulla.

Un bel discorso della Presidente del Senato non cambia scelte politiche in contrasto con quanto Greta va dicendo. Come molti dei generici discorsi sullo sviluppo sostenibile, non richiedono azioni concrete. Ma sono comunque un segno dei tempi: se chi chiede cambiamenti radicali e impegni incisivi nelle politiche sul clima viene appoggiato, significa che qualcosa è cambiato, che si è capito che ormai si deve fare qualcosa.

Ovviamente, non tutti hanno gradito il messaggio di Greta. Gli opinionisti della catena Il Giornale-Libero-Il Foglio-La Verità non hanno perso occasione per riproporre il trash logico e morale con cui da anni affrontano la questione climatica. La cosa interessante è che molti di loro ora non negano più l’esistenza del problema, o la sua gravità. Ma non possono accettare che diventi così importante e prioritario, e che sia una sedicenne a spiegare in modo schietto come stanno le cose: per chi per tanti anni ha raccontato frottole o minimizzato i rischi legati ai cambiamenti climatici, le parole di Greta Thunberg sono schiaffi (meritati). Per questo hanno rilanciato le bufale complottistiche sui secondi fini dell’attivista svedese, di sua madre o dei suoi presunti “manipolatori”. Il tutto condito con il solito disprezzo per i fatti, tanto paternalismo e misoginia.

2025. La data in cui il movimento “Extinction Rebellion” chiede che venga raggiunto l’azzeramento delle emissioni. Una provocazione, un obiettivo ideale, ma non raggiungibile

Altre critiche più articolate e ragionate (che ho discusso sul blog Climalteranti.it) hanno cercato di proporre la visione di una sedicenne figlia di benestanti di un Paese ricco perché proponendo i tagli alle emissioni dei gas serra impedirebbe lo “sviluppo”, che potrebbe portare fuori dalla povertà centinaia di milioni di persone. La tesi sarebbe: smettetela di protestare, tanto tutto si aggiusterà, noi abbiamo le soluzioni, e le nostre sono le migliori, più efficienti ed efficaci. Queste critiche a Greta Thunberg ripropongono le critiche che molti economisti hanno da sempre rivolto alle politiche sul clima e che hanno fatto perdere tempo utile. Nonostante ormai la realtà inizi a presentare il conto, una parte dell’establishment economico del nostro Paese non è ancora convinto che quella attuale sia una vera e propria emergenza, che sia necessario fare qualcosa di davvero diverso dal passato.

Il movimento “Extinction Rebellion” (rebellion.earth) ha chiesto che venga dichiarato lo “stato di emergenza climatica”, sostenendo la proposta con manifestazioni e occupazioni che hanno bloccato molte strade e ponti di Londra e dintorni. Un primo successo è stata l’approvazione del parlamento inglese della mozione, proposta dal leader laburista Jeremy Corbyn, che inviata dichiarare formalmente lo stato di emergenza ambientale e climatico. Difficilmente però saranno approvate le azioni legislative per raggiungere l’impossibile obiettivo di “Extinction Rebellion”, ovvero l’azzeramento delle emissioni entro il 2025. Senza dimenticare che la strada della dichiarazione dell’emergenza è pericolosa, può favorire la riduzione degli spazi di confronto democratico e di decisione collegiale: nell’emergenza prevalgono le soluzioni spicce, spesso non le migliori.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)

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