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Greenwashing ed ecologia privatizzata: il caso del Forum di Regione Lombardia

© Greg Rosenke - Unsplash

Tra il 25 e il 27 novembre Milano ospiterà la seconda edizione del Forum regionale per lo sviluppo sostenibile. Escluse le voci di chi si batte per la giustizia climatica e l’ecologia mentre abbondano politici e imprese. Paolo Pileri spiega perché si tratta di uno “schema perdente”

Tra il 25 e il 27 novembre Milano ospiterà il secondo Forum regionale per lo sviluppo sostenibile, organizzato su iniziativa della Regione Lombardia. Titolo: “Qui cresce il futuro”. Alla voce “forum” nel dizionario Treccani si legge: “Riunione pubblica per discutere argomenti d’interesse culturale, sociale, ecc.”. Discutere è il verbo chiave, che Treccani definisce come: “Esaminare attentamente e in modo approfondito una questione, un problema, un argomento, da parte di due o più persone che espongono ciascuna il proprio parere e punto di vista ed esprimono il proprio consenso o dissenso sulle opinioni o proposte degli altri, col fine di giungere a una conclusione o decisione collegiale”. 

Quindi discuteranno di sviluppo sostenibile? Si confronteranno tra interlocutori di diverse sensibilità e ruolo? Tra loro ci sono persone che da decenni si battono per la giustizia climatica, l’ecologia e la sostenibilità suggerendo nuovi modelli economici e sociali e ora finalmente vi si confrontano? Qual è l’obiettivo di un forum sulla sostenibilità organizzato da una istituzione pubblica? Lo stesso di un forum tra privati? 

Per spiegarmi meglio, vediamo chi sono i partecipanti. Al netto delle due plenarie del 26 e 27 novembre dove vi sarà Partha Dasgupta (molto interessante), se non ho contato male ci saranno 48 relatori tra sessioni tematiche e video (non considerando moderatori e politici che aprono, chiudono, salutano). Di quei 48, 41 sono privati, quindi l’85,4% (non sappiamo con quali modalità siano ingaggiati). Ho individuato un solo rappresentante di una probabile associazione ambientalista e sei relatori di area pubblica. Capite bene che, come forum, è un tantino sbilanciato verso il “privato”. Da ciò consegue che alla discussione manca il sano confronto dialettico. 

Il primo dubbio è: un forum senza interlocutori che rappresentano “altre” posizioni culturali, in una posizione non minoritaria, è un vero forum? O piuttosto una vetrina per voci sole?

Guardiamo ora la selezione di parole chiave della sostenibilità, da quelle più eclatanti a quelle più sofferenti e trascurate, vuoi perché meno conosciute o perché rappresentano un campo d’azione dove i privati ci guadagnano poco o nulla. Iniziamo dalla parola “clima” e suoi derivati: solo tre volte e tutte e tre nel titolo assessorile della stessa persona: Raffaele Cattaneo (che io ricordo da assessore regionale ai trasporti quando sosteneva l’ampliamento dell’aeroporto di Malpensa, ancora in corso, con tanto di disboscamenti e consumi di suolo da capogiro: ma questo è un ricordo mio, scusate la parentesi). 

Le parole “suolo” e “terra” non compaiono per niente. La parola “bosco” compare due volte: una in un titolo di una sessione che non si occupa di ecologia ma di filiera economica del legno e l’altra è il cognome di un relatore. La parola “foresta” compare solo nel titolo di un relatore. La parola “sostenibilità” è presente nove volte, di cui tre accanto al nome dell’azienda/ente del relatore. Persino “green” compare solo due volte e sempre nel biglietto da visita di qualcuno. “Biodiversità” non pervenuta. “Paesaggio” non pervenuta. “Agenda 2030” non pervenuta. “Natura” solo due volte di cui una accanto al ruolo del relatore e una nel titolo di una sessione (menomale). E potremmo andare avanti. 

Quindi, di che cosa parlano se i fondamenti della sostenibilità sono assenti o così deboli? Di economia? Di crescita? Di finanza? Di privatizzazioni? Di tecnologia? Di incentivi pubblici per far girare profitti ed economia privati?

Ora, se questo Forum senza discussione fuori da se stesso fosse organizzato da un soggetto come Confindustria o da una compagine che aggrega un settore commerciale privato, io non ci troverei nulla da dire perché fatto da chi è dichiaratamente il portatore di una precisa ideologia, con un mandato chiaro dai suoi iscritti. Ma il fatto che a organizzare un Forum così privato, con l’esclusione totale di voci indipendenti e civilmente impegnate, delle associazioni ambientaliste e sociali, del mondo della ricerca indipendente e pubblica sia una istituzione pubblica spinge, almeno me, a domande abbastanza inquietanti. 

Innanzitutto ho il timore che si stia facendo qualcosa che confonde terribilmente le idee alle persone, proponendo come corretta e vincente solo una determinata ideologia dove si dice ai cittadini che gli interessi privati sono i salvatori del mondo, sempre pronti a fornire una soluzione, oggi anche nel campo della sostenibilità che, ovviamente, definiscono loro stessi. I soggetti pubblici, di fatto assenti dal Forum, sono sullo sfondo, a fare che cosa? Fanno da bancomat per dare incentivi ai privati (che un attimo prima probabilmente parlavano male del pubblico) e organizzare kermesse come questo Forum che ha il netto sapore di un greenwashing per tutti, politica e imprese. Probabilmente qualcuno dirà che il greenwashing non esiste e che sono tutte cattive parole delle solite associazioni e di quel che rimane di qualche intellettuale che non sa stare al suo posto. Invece esiste eccome, e la transizione ecologica lo ha rilanciato alla grande. Dalla sera alla mattina alcuni hanno iniziato ad anteporre “transizione ecologica” alle loro proposte inaccettabili e queste sono diventate, per incanto, sostenibili. Questo programma, spoglio di contraddittorio e di natura, mi fa più pensare a una passerella del prêt-à-porter del greenwashing dove devono passare per buone e giuste “certe visioni” di crescita economica, di esaltazione della tecnica e della tecnologia, di privatizzazione, di antropocentrismo, di utilitarismo, come mi segnala un caro amico.

Oltre a tutto ciò quel programma mi suggerisce altre questioni che ritengo problematicissime. Non posso dimenticare che abbiamo alle spalle, nel bene o nel male, la Cop26 di Glasgow dove sul tavolo degli imputati c’erano gli interessi finanziari dei Paesi più ricchi e delle loro economie private che, anche aiutate da classi politiche che non prendono le giuste decisioni, continuano a spingere su stili di vita di fatto insostenibili anche se con qualche pennellatina green. 

Nel Forum della sostenibilità in salsa lombarda neppure un accenno alla Cop26: semplicemente non esiste nel programma. Lombardia uber alles? Privatismo uber alles? Non mi pare che le imprese lombarde abbiano dichiarato di rifiutare i miliardi pubblici che arriveranno dal Green deal europeo, ovvero dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). E allora perché non se ne parla? Era l’occasione per ricordare a lettere cubitali gli impegni per la Next Generation e la lotta alla disuguaglianza che non coincidono con quelli della finanza privata che conosciamo. E invece la parola “generazione” non c’è nel Forum e la parola “giovani” appare di straforo in uno spettacolo che si terrà tra una sessione e l’altra. Chi li sente i giovani? Non mi dite che sono rappresentati dai giovani startupper dell’ennesima app. 

Se almeno si fosse rimediato alla grave mancanza delle associazioni ambientaliste invitando l’attivismo ecologico più giovane come Extinction Rebellion e FridaysForFuture, avremmo avuto uno straccio di segnale di attenzione. Invece registriamo l’ennesima esclusione delle nuove generazioni e dell’attivismo ambientale. Ed è grave. La questione ecologica non può essere affrontata solo dalla parte privata e dai suoi mentori politici. È uno schema perdente, semplicemente perché le risorse naturali agiscono e reagiscono con leggi proprie, e il custode di tutto ciò deve essere il soggetto pubblico, ben stimolato da un contraddittorio ambientalista e intellettuale che qui non vediamo. La CO₂ non si ferma davanti a nessun cancello di nessuna azienda o alle porte di nessun perimetro amministrativo o collegio elettorale. Ma gli organizzatori lombardi non sembrano volerne discutere nel loro Forum. Si vede che vogliono un futuro con le medesime architetture amministrative pubbliche del passato, frammentate e deboli. Semmai sognano di indebolirle ulteriormente e infilarci qualche servizio privato. 

Vi è infine la domanda delle domande: è opportuno che una istituzione pubblica utilizzi fondi pubblici, personale pubblico, canali comunicativi pubblici, spazi pubblici e potere politico pubblico per mettere sul palcoscenico una festa del greenwahsing e della privatizzazione dell’ecologia? Si apre un problema etico di cui bisognerebbe discutere. Fino a dove il potere politico può usare a piacimento le strutture pubbliche di cui è a capo per rappresentare se stesso senza contraddittorio? E poi, non siamo ingenui: un evento del genere produce in coloro che sono invitati quella che oggi si chiama “reputation”. Gli organizzatori pubblici-politici lo sanno bene. Nel mondo tossico governato dal marketing per ogni cosa e da una ideologia estrattiva che deve cavar denaro da qualsiasi cosa, mettere in vetrina un soggetto privato in una cornice di prestigio con personalità reputate di prestigio è una sorta di rito di benvenuto nell’olimpo della finanza da greenwashing e quindi il regalo di una bella medaglia di reputation. 

Ognuno di loro se la rivenderà presentandosi ad altri soggetti pubblici e politici, visto che è proprio quel mondo ad averli accreditati senza critiche. In questo circo della reputation, non sottovalutate la grammatica dei titoli messi con cura accanto ai relatori privati: project manager, project leader, founder, co-founder, Ceo, etc. L’esibizione ostentata di un mondo “di sopra” che si accredita in un rango superiore desidera sotto sotto che tutti noi ne prendiamo atto, portando indiscutibile riverenza. 

È sempre quella odiosa teoria dello sgocciolamento: lasciate che i potenti facciano il loro gioco e vedrete che qualche gocciolina arriverà anche a noi, del mondo di sotto. Non mi riconosco in quel mondo. Anzitutto questo mi sollecita a pensare che sia ogni giorno più urgente lavorare a mettere le basi per non seppellire quel che rimane dello spirito critico con il quale riusciamo ancora a leggere cose del genere, riconoscerle e mostrarle. Dall’altro occorre coltivare un humus culturale più robusto e sano che sia naturalmente il terreno dove tutto ciò semplicemente non potrebbe avvenire in quel modo. Non sto dando contro, sia chiaro, all’impresa privata, che è un tassello fondamentale del Paese. Sto solo dicendo che con queste modalità senza il confronto con i portatori “puri” e storici di istanze ecologiche, le stesse iniziative private non innoveranno quanto potrebbero e non troveranno un posto corretto in una società che non può fare a meno della sua parte pubblica competente oltre che di cultura. Guai a un Paese che mette da parte il dissenso e non investe in pensiero critico. 

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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