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Storie e leggende del grano Cappelli, tra mitologia e marketing

La varietà di grano duro selezionata nel 1915 da Nazareno Strampelli ha conquistato grande appeal. Ma su origini, catalogo e filiera commerciale domina la confusione. Intervista a Riccardo Bocci della Rete Semi Rurali

In campo si riconosce dai lunghi baffi neri o meglio -per usare le parole di Nazareno Strampelli, il primo ad aver selezionato questo frumento duro, nel 1915- dalle “ariste bruno-nere” e dalla spiga “quadrata, serrata, bianco-bionda”. E mentre i media l’hanno trasformato nel grano più discusso degli ultimi mesi, nei pacchi di pasta il Cappelli è diventato un nome dal grande appeal commerciale.
Un “affare” sul quale Rete Semi Rurali ha voluto soffermarsi nel suo ultimo notiziario, da poco pubblicato. Su questo loro lavoro e sulla vicenda della varietà Cappelli -tra le colline di Peccioli (PI), in occasione dell’appuntamento annuale “Coltiviamo la diversità!” nell’azienda agricola biologica Floriddia– abbiamo intervistato Riccardo Bocci di Rete Semi Rurali. “Finora la nostra associazione non si era mai esposta sulla questione Cappelli, anche se in molti -gli agricoltori, i nostri soci, il mondo bio- ci sollecitavano una posizione”, spiega. “Volevamo elaborare un discorso più complesso attorno a questa varietà, che ne raccontasse da principio la storia e mettesse in ordine i fatti degli ultimi due anni. Il notiziario della Rete ci è sembrato lo strumento più utile per farlo”.

Da dove nasce la storia del “furto” del grano Cappelli e come l’avete decostruita?
RB
La confusione nelle notizie che riguardano questa varietà di grano duro non nasce solo dalle vicende recenti. Guardando le pubblicità di chi vende prodotti realizzati con il Cappelli mi sono accorto che esiste un mondo di fake news costruito attorno alla varietà e alla figura storica di Raffaele Cappelli, il diplomatico nato nel 1848 a san Demetrio nei Vestini (AQ) a cui Nazareno Strampelli dedicò una varietà di grano duro ottenuta nel 1915 -il “Cappelli”, appunto. Queste notizie sono state utili a un approccio commerciale che è riuscito, negli ultimi anni, a costruire una “mitologia” attorno a questo grano. Ma al mondo dell’agricoltura biologica serve rigore: perciò con il nostro lavoro siamo ripartiti da chi era Raffaele Cappelli, qual era la varietà selezionata da Nazareno Strampelli, perché è stata utile nella storia del miglioramento genetico italiano e cosa è successo più di recente.

Un piccolo, ma significativo esempio sulla confusione creata attorno a questa varietà sta nel suo stesso nome.
RB 
Abbiamo sempre chiamato questo grano Senatore Cappelli. In realtà, il nome storico con cui è stato registrato nel catalogo è la varietà di frumento duro “Cappelli”. È un grano che ha origini algerine, ottenuto nel 1915 in seguito alle selezioni fatte a Foggia sul frumento “Jeanh Rhetifah” -come scrivere lo stesso Strampelli nel libro “Origini, sviluppi, lavori e risultati” del 1932 per l’Istituto nazionale di genetica per la cerealicoltura di Roma (la scheda è riportata integralmente dall’originale nel notiziario della Rete, ndr). Nel 1923 -a due anni dalla morte di Raffaele Cappelli, da poco nominato Senatore-, quando la varietà viene rilasciata agli agricoltori, viene allora chiamata “Senatore Cappelli”.
Come scriviamo nel notiziario, il Cappelli è una varietà di frumento duro, forse l’unica, che non è mai uscita dal catalogo per la commercializzazione del seme e il soggetto costitutore è l’attuale Crea-Cer di Foggia, che detiene il seme. Dal 2007 il Crea ha siglato un accordo di vendita esclusiva del seme con due ditte sementiere: la sarda Selet sas di Alessandra Accalai, a Tuili (SV), nel Medio Campidano -con l’esclusiva per la Sardegna- e Scaraia a Irsina (MT), per il resto d’Italia. Da allora si sono sviluppate molte filiere del Cappelli e proprio qui sta il problema: queste filiere commerciali sono state costruite senza avere alle spalle un sistema sementiero all’altezza di un mercato in crescita. E le ditte sementiere non si sono preoccupate di costruirlo.

La discussione pubblica è emersa quando nel 2016 la Società Italiana di Sementi (SIS) spa di Bologna vince il bando pubblicato del Crea per rinnovare i contratti di vendita del seme Cappelli. Chi è questo soggetto?
RB La SIS è stata fondata nel 1947 è ha vinto il bando del 2016 grazie a un piano industriale convincente, capace di rispondere alle aspettative di tutela del made in Italy e di costruire una filiera produttiva per portare i cosiddetti “grani antichi”, tra cui il Cappelli, nelle tavole dei consumatori. Come spieghiamo nel notiziario, nel dicembre 2017 la SIS -il cui presidente è Mauro Tonello, vicepresidente di Coldiretti- è entrata nella società Bonifiche Ferraresi con una quota del 41,19% e questa spa con sede a Jolanda di Savoia (FE) ottiene il controllo di fatto sulla SIS. Bonifiche Ferraresi è il più grande proprietario terriero italiano: controlla circa 6.450 ettari in diverse Province e dal 2014 è una holding che ha tra i suoi azionisti Fondazione Cariplo (22,39% delle azioni), Cassa Depositi Prestiti Equity spa (19,975%), CappellirDNA srl di Sergio Dompé (11,198%), PER spa di Carlo De Benedetti (8,958%) e Aurelia srl del gruppo Gavio (8,959%). Obiettivo di Bonifiche Ferraresi è la “produzione di prodotti agricoli 100% made in Italy”, e la loro commercializzazione attraverso il proprio marchio, “Le stagioni d’Italia”, o “in partnership con le più importanti catene della Gdo”. È a questo mondo che la SIS inizia a vendere il seme del grano Cappelli, dopo aver vinto il bando del Crea. Nascono così accordi di filiera come quello veneto dello scorso aprile, tra SIS, Coldiretti, Veneto Agricoltura, Università di Padova e Istituto Strampelli di Lonigo (VI) per la costruzione della filiera dei cosiddetti “grani antichi”; o quello marchigiano del febbraio 2018, tra SIS, Coldiretti e Consorzio agrario dell’Adriatico, per la filiera marchigiana del Senatore Cappelli. La pasta prodotta è 100% italiana e agli agricoltori viene pagato un prezzo migliore per la granella di grano duro (al quintale, si va dai 15 euro del mercato ai 60 di queste filiere) e così, il gioco è fatto.

Cosa possono fare oggi gli agricoltori che hanno a cuore la sovranità alimentare?
RB 
Va chiarito che la varietà Cappelli resta di pubblico dominio: nessuno vieta alle aziende agricole di continuare a riprodurre il grano Cappelli e chiamare la pasta “Cappelli”. L’iscrizione al catalogo e il contratto tra Crea e SIS, infatti, riguardano solo la commercializzazione del seme e non la proprietà della varietà o del suo nome. È legittimo quindi usare il seme aziendale, ma bisogna avere la garanzia che si tratti esattamente di quello che si dichiara e che sia pulito. Serve una grande responsabilità e la capacità organizzativa e tecnica di gestire il seme in azienda o all’interno di reti aziendali. Non è semplice farlo, in parte perché questo ruolo è stato ormai abdicato al mercato e d’altro canto perché manca l’assistenza tecnica agli agricoltori in campo. Ma da anni con Rete Semi Rurali lavoriamo in questa direzione e con alcune aziende stiamo costruendo nuove filiere con delle popolazioni di grani duri alternative al Cappelli. E poi c’è il ruolo fondamentale dei consumatori che possono, con il loro acquisti, sostenere le filiere che conoscono e nelle quali si fa un lavoro di relazione tra i diversi attori in gioco.

Il numero monografico del notiziario #20 “Senatore Cappelli: il grano e le persone. Storie e leggende attorno a un nome e al suo mito” (maggio 2018), a cura di Rete Semi Rurali, è liberamente scaricabile qui.

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