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Gli ultimi sviluppi sulla fabbrica di armi e bombe Rwm in Sardegna

A fine marzo la Procura di Cagliari ha concluso le indagini sull’ampliamento del sito produttivo a Domusnovas, nel Sud Sardegna, controllato dalla tedesca Rheinmetall. Nel frattempo le Ong contestano la decisione di archiviazione delle indagini penali sull’export di armi italiane utilizzate in Yemen della Procura di Roma

© Comitato Riconversione RWM

Il 24 marzo la Procura di Cagliari ha concluso le indagini sull’ampliamento della fabbrica di armi e bombe Rwm a Domusnovas, nel Sud Sardegna, controllata dalla tedesca Rheinmetall, chiedendo il rinvio a giudizio di nove indagati. Il 29 giugno 2022 si dovranno presentare davanti al giudice per l’udienza preliminare Manuela Anzani l’amministratore delegato della Rwm, Fabio Sgarzi, il suo vice, Leonardo Demarchi, e i tre tecnici incaricati dall’azienda di redigere i progetti di espansione (Palmiro Palmas, Ignazio Pibia e Mauro Pompei). Il pubblico ministero Rossella Spano ha chiesto il rinvio a giudizio anche per i funzionari comunali che avevano rilasciato le autorizzazioni per l’ampliamento, il responsabile dello Sportello unico per le attività produttive e per l’edilizia di Iglesias e Domusnovas, Lamberto Tomasi, Elsa Ghiani, Anna Rita Perseu e Giuseppe Matzei. Oltre alla contestazione di falso ci sono anche altri supposti abusi e violazioni legate al progetto di espansione della fabbrica, avvenuti tra il 2017 e il 2019. Le armi prodotte nel Sulcis tra il 2015 e i primi mesi del 2021 sono state utilizzate da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti nel conflitto con lo Yemen.

L’indagine era nata da una serie di querele ed esposti presentati alla Procura di Cagliari da diverse associazioni pacifiste e ecologiste, comitati e organizzazioni sindacali. In particolare questi miravano a fare chiarezza sui lavori per l’ampliamento del nuovo poligono per test esplosivi (il Campo Prove R140), di nuovi reparti per la fabbricazione degli esplosivi Pbx-colabili e il caricamento dei rispettivi ordigni. La Procura avrebbe quindi rilevato abusi e violazioni di norme anche in altri interventi che non erano oggetto dei ricorsi. Il Consiglio di Stato lo scorso novembre, aveva già bocciato l’ampliamento della fabbrica, riformando la sentenza del 2020 del Tar Sardegna, dopo un ricorso presentato dalle stesse associazioni e dal sindacato di base. In quell’occasione erano stati annullati il provvedimento unico del comune di Iglesias che autorizzava la realizzazione dei nuovi reparti produttivi, e la delibera del gennaio 2019 con la quale la Giunta regionale della Sardegna aveva ritenuto di non assoggettare a Valutazione di impatto ambientale il progetto di ampliamento dello stabilimento e il nuovo campo prove, ritenuti in connessione e quindi parte di un’unica struttura produttiva.

La Gup ha individuato la Regione e i Comuni di Iglesias e Domusnovas come parti offese, così come il Comitato riconversione Rwm, le associazioni Italia Nostra, Movimento non violento, Unione Sindacale di Base Cagliari, Cagliari social forum, Confederazione sindacale sarda, Assotzius Consumadoris sardigna, associazione Centro sperimentale autosviluppo. Le associazioni avranno dunque la possibilità di prendere parte al processo e in un comunicato congiunto all’indomani della notizia, hanno evidenziato come: “Al di là dei reati contestati ai vertici di Rwm e ai funzionari comunali, va sollevato il tema delle responsabilità politiche degli amministratori comunali e regionali: i responsabili politici non potevano non sapere, anche perché da anni informiamo, documentiamo e contestiamo le discutibili modalità di gestione delle pratiche autorizzative rilasciate per l’ampliamento della fabbrica delle bombe della Rwm”.

Secondo le associazioni, che si sono sempre impegnate per chiedere la riconversione della fabbrica, il provvedimento potrebbe rappresentare soltanto una parte di una inchiesta più ampia, visto che dal 2019 e fino allo scorso mese di febbraio, hanno proseguito nella loro attività di denuncia, segnalando alla Procura numerose altre ipotesi di violazione di legge. “Finalmente -continuano le organizzazioni- l’inchiesta della Procura inizia a gettare luce su questa situazione scandalosa e inaccettabile e demolisce completamente la narrazione di un’azienda che opera nel rispetto delle leggi e del territorio e della sicurezza delle proprie maestranze”.

Una battuta d’arresto per Rwm che a gennaio 2021 si era vista revocare dal governo Conte II le autorizzazioni in corso per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. A febbraio dello stesso anno il Giudice per le indagini preliminari di Roma aveva stabilito che la Procura di Roma dovesse invece continuare l’indagine penale sui dirigenti di Rwm Italia SpA e sugli alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti (Uama) italiana per il loro ruolo, cioè le esportazioni di armi potenzialmente collegate, in un attacco aereo mortale della coalizione militare guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi a Deir Al-Ḩajārī, nel Nord-Ovest dello Yemen, l’8 ottobre 2016.

Il 15 marzo 2022 le organizzazioni Mwatana for Human Rights (Yemen), Rete italiana pace e disarmo e il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani ECCHR (Berlino), hanno hanno impugnato la decisione della Procura di Roma di archiviazione delle indagini. “Nonostante nel febbraio 2021 il Giudice per le indagini preliminari di Roma avesse ordinato la prosecuzione dell’indagine penale, il Pm ha deciso di non procedere ulteriormente -hanno spiegato le Ong-. Il ricorso presentato dai denuncianti sostiene che ci sono prove sufficienti nel caso per passare direttamente al processo”. “Chiedere l’archiviazione del caso dopo quasi quattro anni di indagini è un duro colpo per tutti i sopravvissuti agli attacchi aerei in questione, che non avevano un obiettivo militare identificabile e che hanno ucciso e ferito dei civili. L’assassinio della famiglia Husni e le ferite subite da uno dei sopravvissuti, Fatima Ahmed, non sono solo ‘danni collaterali’ ma il risultato di un attacco deliberato contro i civili. Il rischio potenziale che le armi esportate da Rwm Italia potessero essere usate in attacchi illegali in Yemen era già ampiamente noto nel 2015. Se i dirigenti di Rwm Italia e i funzionari dell’UAMA sono complici dei gravi crimini commessi dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi e dai loro partner, devono essere ritenuti responsabili”, hanno evidenziato le tre organizzazioni della società civile in una dichiarazione congiunta.

La richiesta di archiviazione del Procuratore secondo le tre organizzazioni farebbe “deliberatamente” strame delle “prove chiave raccolte nel corso delle indagini”. “È stato confermato che l’anello di sospensione prodotto dall’azienda faceva parte di una spedizione trasportata in Arabia Saudita tra il 9 aprile e il 15 novembre 2015, in un momento in cui la comunità internazionale era pienamente consapevole della situazione di conflitto in Yemen e aveva già condannato potenziali crimini di guerra presumibilmente commessi dalla coalizione guidata dai sauditi. Le giustificazioni addotte da Uama per autorizzare le esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti elencavano tra le altre cose la generazione di posti di lavoro, così come la condizione finanziaria di Rwm Italia. Come il Giudice per le indagini preliminari di Roma ha stabilito l’anno scorso l’obbligo dello Stato di salvaguardare i livelli di occupazione non può giustificare una deliberata violazione delle norme che vietano le esportazioni di armi verso paesi potenzialmente responsabili di gravi crimini di guerra”.

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