Finanza / Opinioni
Gli Stati Uniti stanno per saltare?

A detta dello stesso Jerome Powell, presidente della Fed, il debito pubblico statunitense è ormai insostenibile. Il Paese è sull’orlo dell’insolvenza e non riesce più a finanziarsi emettendo nuovi dollari. Ma al vertice Nato dell’Aia gli Stati europei hanno scelto di giurare fedeltà agli Usa, anche a costo di accettarne condizioni vessatorie e mostruose ipoteche, come sono i dazi e le spese militari. Un’altra Europa è necessaria. L’analisi di Alessandro Volpi
Jerome Powell, presidente della Federal reserve statunitense, è il più importante banchiere centrale del mondo. A inizio luglio è volato a Sintra, una ridente località collinare vicino Lisbona, dove si sono riuniti i vertici delle banche centrali del Pianeta. Nel suo intervento ha dichiarato che il “debito pubblico americano non è più sostenibile”. In estrema sintesi, gli Stati Uniti sono sull’orlo dell’insolvenza.
Del resto, il debito federale è passato dai 35mila miliardi di dollari del giugno 2024 ai quasi 36mila e 500 miliardi attuali, in larga misura per effetto del costo degli interessi. Nel frattempo, il dollaro ha perso il 10%, arrivando a valere 0,85 euro. Ciò significa che non è più possibile per gli Stati Uniti finanziare il proprio debito emettendo nuovi dollari.
Di fronte a questa pesantissima dichiarazione che significa una situazione del tutto nuova nella storia per cui il più grande Paese capitalista del mondo non è grado di onorare i propri impegni, l’Unione europea ha deciso, al vertice Nato dell’Aia di fine giugno, di giurare fedeltà usque ad mortem agli Stati Uniti, senza porsi neppure il problema di come affrontare questo possibile crollo sistemico. Anzi ha ribadito la propria ferma fiducia nel capitalismo, declinandolo sotto la voce del riarmo e correndo a sostegno del Grande impero, accettandone tutte le condizioni vessatorie. Dopo la cena di gala in cui Donald Trump e Giorgia Meloni sorridevano amabilmente e dopo le dichiarazioni in merito a un ammorbidimento del presidente americano, dato l’impegno europeo in termini di spesa militare, la realtà infatti è tornata a farsi sentire.
Trump ha ribadito, con tono minaccioso, che non ha alcuna intenzione di accettare condizioni, in materia commerciale, non apertamente favorevoli agli Stati Uniti. “L’Europa imparerà a non essere cattiva”, ha dichiarato agli “amici europei” che pensavano di averlo già accontentato e ha fatto capire che neppure un’aliquota del 25% potrebbe essere accettabile per gli americani. Dunque, le illusioni meloniane di un’aliquota al 10% sono già tramontate. Intanto, mentre l’Europa non ha mai applicato neppure per un giorno dazi verso gli Stati Uniti, Trump ha ancora in vigore i dazi al 50% su acciaio e alluminio europei e al 25% sulle auto. Il dazio generale è passato invece dal 2,2% al 10%.
Inoltre, Trump ha dichiarato decaduta l’adesione americana alla Minimum global tax, con l’effetto di ridurre del tutto il già inesistente gettito fiscale pagato in Europa dalle Big Tech Usa, e ha applicato ritorsioni nei confronti dei Paesi come l’Italia che hanno intentato cause contro le stesse Big Tech per evasione fiscale, aggiungendo anche un’aliquota del 5% sui profitti di imprese estere in Usa.
Di fronte a tutto ciò, davvero, emerge un’Europa totalmente impresentabile, inutile e dannosa. A questo riguardo va aggiunta un’ulteriore considerazione. Gli europei si sono impegnati a portare la spesa militare al 5% del Prodotto interno lordo (Pil) in dieci anni. È singolare che in merito al costo effettivo per l’Italia di un simile impegno siano state formulate le stime più svariate: dai 175 miliardi, espressi da vari esponenti del governo e dell’opposizione, ai 350 miliardi di Carlo Cottarelli, ai 450 di Elly Schlein. Il dato evidente che traspare da questa ridda, abbastanza incredibile, di stime è costituito però dal fatto che la spesa militare sarà la variabile decisiva nella costruzione delle Leggi di bilancio dei prossimi anni e dunque a essa sarà subordinato il peso delle altre voci.
È paradossale, allora, che una simile mostruosa ipoteca avvenga senza generare alcun effetto nella definizione delle politiche doganali da parte degli Stati Uniti, senza aver alcun elemento vero sull’incidenza in termini economici visto che le stime del Pil parlano di una crescita di poco meno dell’1%, e rinunciando a ogni azione di natura fiscale verso i colossi americani che fanno straordinari utili in Italia: senza contare che le più grandi commesse di armi da parte dell’Italia sono con industrie americane. In parole semplici, l’Europa ha deciso di farsi carico della tenuta del capitalismo statunitense. Che è in crisi profonda.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
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