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Ambiente

Gli interessi “green” che guardano a Rio+20

Vanno dalla Shell alla Duke Energy, passando per le più italiche Eni ed Italcementi. Sono gli attori della Green economy del nuovo millennio, che guardano a Rio+20 con attenzione perchè potrebbe essere un buon lasciapassare per la nuova rivoluzione verde. Il World Business Council for Sustainable Development è pronto a mettere sul tavolo le sue proposte, e a presenziare il vertice con un rappresentante di spicco. Sempre che qualcuno non decida di fare marcia indietro.

Il negoziato sul documento finale che dovrà essere presentato al summit di Rio de Janeiro procede faticosamente tra le stanze paludate di New York, le imprese decidono di mettere sul tavolo le loro richieste per un’azione più ambiziosa di Governi e delegati in vista del vertice. Il World Business Council for Sustainable Development è un associazione globale che raccoglie oltre 200 imprese che si occupano (testuali parole) "di business e di sviluppo sostenibile".
Gli obiettivi sono molti, ma le principali linee di azione riguardano una partecipazione attiva delle imprese coinvolte nello sviluppo di politiche capaci di contribuire allo sviluppo sostenibile, e quello di dimostrare l’efficacia del contributo delle imprese nel proporre soluzioni sul tema.
Far parte di questo club di illuminati non è né immediato né semplice. Non fosse altro perchè ci si entra solo su invito, specifico, del Comitato esecutivo. E la scelta cade solo ed esclusivamente su quelle imprese impegnate a promuovere l’ecoefficienza, l’innovazione e la Responsabilità sociale.
I membri italiani sono solo tre e a leggere i nomi, vedi Eni, Italcementi e Pirelli, qualche domanda sorge spontanea.
Dopotutto, se è il Comitato esecutivo quello che conta, avrà un suo peso vedere che presidente e vicepresidenti provengono da imprese che con l’ambiente hanno una relazione diretta, se non altro dal lato degli impatti. Il presidente è Jorma Ollila, che è anche presidente di Royal Dutch Shell (la stessa del Golfo del Messico e delle dispersioni di petrolio in Nigeria). Tra i vicepresidenti spiccano James E. Rogers della Duke Energy Corporation, compagnia energetica statunitense legata a nucleare e carbone e già attiva negli anni novanta nelle campagne di disinformazione sul cambiamento climatico, e Masataka Shimizu, presidente della Tokyo Electric Power Company, in arte TEPCO, sulle pagine di tutti i giornali del mondo per la gestione non proprio cristallina del disastro nucleare giapponese.
Ma presidente onorario rimane, a tutt’oggi, Stephan Schmidheiny, condannato nel febbraio scorso a 16 anni al processo Eternit per disastro ambientale doloso e per le morti legate all’asbestosi. Una tragedia ancora in atto.
Stephan Schmidheiny è il simbolo della Green economy insostenibile. Grande affabulatore nel 1992, quando le Nazioni Unite al primo Summit di Rio gli riconobbero un ruolo di imprenditore illuminato, ormai condannato a rappresentare il greenwashing più banale ed evidente.
Ci sono due notizie però che in questi giorni si stanno intensificando e che se fossero confermate getterebbero una luce discutibile su tutta la discussione legata alla Green Economy in corso a Rio. La prima è del Guardian, di pochi giorni fa, che evidenzia come il World Business Council for Sustainable Development sia attivamente coinvolto nel percorso verso Rio, considerato il suo ultimo report (Changing pace) dove prova a suggerire la linea alla comunità internazionale, toccando sette punti chiave tra cui la sensibilizzazione e l’educazione.
Ma la seconda, preoccupante notizie si legge dalle pagine de La Stampa di questi giorni, che riporta come Stephan Schmidheiny sia tra gli invitati della Conferenza Internazionale Onu su ambiente e sviluppo. Il sindaco di Casale, Giorgio Demezzi, dalle pagine del quotidiano lo reputa «un fatto inconcepibile», anzi «un’offesa alla nostra città".
Nell’unirci a questa pacata, ma ferma protesta ci domandiamo se il Governo italiano, ed il Ministro dell’ambiente in primis, avrà qualcosa da dire sul fatto in questione.
 

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