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Diritti

Gli indigeni, i guardiani delle risorse

"Le istituzioni internazionali ci vedono ancora come ‘beneficiari’ o ‘vittime’ dei progetti di sviluppo, e non esistono indicatori che misurino l’impatto per i nostri popoli degli Obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite". Intervista ad Alvaro Pop, Maya Q’eqchi, nato in Guatemala, presidente del Forum permanente sulle questioni indigene dell’Onu, a margine dell’assemblea di New York in cui si è discusso -anche con Ban Ki-Moon- di risorse naturali e conflitti. Il 9 agosto è l’International Day of the World’s Indigenous Peoples 

"Le istituzioni internazionali che si occupano di sviluppo vedono ancora i popoli indigeni come ‘beneficiari’ o ‘vittime’. Purtroppo non siamo ancora usciti da questa lettura stereotipata, per diventare a tutti gli effetti ‘attori’ delle politiche globali. Questa discussione è aperta, almeno in seno alle Nazioni Unite: stiamo cercando nuovi spazi". Álvaro Esteban Pop Ac, Maya Q’eqchi, nato in Guatemala, guida il Forum permanente sulle questioni indigene delle Nazioni Unite (UNFPII), un organo consultivo del Consiglio economico e sociale dell’Onu (ECOSOC).

"Pensi al tema del cambiamento climatico: a COP21, a Parigi a fine 2015, i popoli indigeni avrebbero dovuto avere uno spazio e una voce più ascoltata, e questo non è avvenuto. Chi meglio di loro saprebbe orientare le scelte verso una gestione sostenibile delle risorse: abbiamo più di mille anni di storia, e siamo portatori ‘in vita’ di conoscenza ancestrali, che possono essere utili in medicina, nell’alimentazione, o nella gestione di acque e boschi. C’è quasi un paradosso, invece: i popoli indigeni non vengono considerati quando si studiano le politiche statali, e sono quelli che in larga parte soffrono sgomberi e maltrattamenti".  



Tra il 9 e il 20 maggio 2016, il Forum si è riunito a New York per la propria quindicesima sessione, che aveva come tema “Indigenous peoples: Conflict, Peace and Resolution”, conflitti, pace e risoluzione. Erano presenti un migliaia di delegati da tutto il mondo. 

"Abbiamo discusso di centrali idroelettriche, e della ricerca e dello sfruttamento di risorse minerarie in territorio indigeno: i nostri popoli, oltre 5mila, sopravviventi e guardiani, negli ultimi 500 anni sono stati sfruttati, marginalizzati, espulsi, nella ricerca di oro, di argento e di altre risorse. Abbiamo assistito a una trasformazione della terra in una base per creare ricchezza, e la manodopera indigena è stata ed è sfruttata, in tutto il mondo". 
Secondo Álvaro Pop, questo conflitto è oggi amplificato da un aumento "della domanda di risorse naturali non rinnovabili, come petrolio, oro, litio e acqua, e questo ha incrementato la violenza contro i popoli indigeni". Che, spiega il presidente guatemalteco del Forum permanente sulle questioni indigene delle Nazioni Unite, "non vengono consulati previamente, come indicherebbe la normativa internazionale, e in particolare la Convenzione numero 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro".  


La C.169 è la Convenzione sui popoli indigeni e tribali, del 1989. È stata ratificata da 22 Paesi, la maggioranza dei quali latinoamericani (in Africa solo la Repubblica Centro Africana; in Asia solo in Nepal; 4 i Paesi europei: Danimarca, Norvegia, Olanda, Spagna). "In America Latina è presente un movimento indigeno più solido, ma all’assemblea di New York hanno partecipato anche popoli asiatici, africani, ed anche alcuni popoli indigeni europei, che si considerano ‘sopravviventi alla colonizzazione’, come i sami, nella Russia euro-asiatica, che stanno avanzando la propria richiesta di riconoscimento".
Le Nazioni Uniti non dispongono, ad oggi, di un database relativo alle denunce di violazioni della Convenzione 169, che però -assicura Pop, che è professore di Interculturality, Multiculturality and Indigenous Peoples al Netherlands Institute for Multiparty Democracy- "sono avvenute in ogni Paese al mondo".

 

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, con Alvaro Pop e gli altri membri del consiglio dell’UN Permanent Forum on Indigenous Issues

Durante la quindicesima sessione del Forum, si è parlato anche dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni UniteSustainable Development Goals, l’evoluzione degli Obiettivi di sviluppo del millennio (che riguardavano lo sradicamento della povertà o del fenomeno della fame nel mondo, ne abbiamo scritto qui). "Ad oggi -sottolinea Pop- questi ‘obiettivi’ non presentano alcun indicatore che possano verificare lo stato d’avanzamento e il miglioramento delle condizioni di vita per i popoli indigeni, e noi speriamo che vengano inclusi. Abbiamo chiesto di poter partecipare in modo formale alla costruzione di indicatori nell’ambito della commissione statistica dell’ECOSOC". Anche perché gli indigeni sono 370 milioni in tutto il mondo. La terza "nazione" del Pianeta, dopo la Cina e l’India per numero di abitanti. "Vogliamo essere riconosciuti con lo status di ‘osservatori permanenti’ dalle Nazioni Unite. Il mio mandato scade il prossimo 31 dicembre, e questo è un nostro obiettivo" dice Pop. Il 9 agosto è l’International Day of the World’s Indigenous Peoples.

Foto ONU/Loey Felipe 
© Riproduzione riservata

 

  

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