Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Approfondimento

Gli effetti del Covid-19 sulle rimesse dei lavoratori migranti

Secondo la Banca mondiale nei prossimi due anni le risorse inviate dai lavoratori nei Paesi in via di sviluppo diminuiranno di circa 80 miliardi di dollari rispetto al 2019. Si tratta di sostegni fondamentali per i nuclei familiari rimasti in patria, usati per le spese sanitarie, l’acquisto di cibo e la costruzione di case. Le iniziative comuni per arginare questa decrescita, però, latitano

© Alistair Macrobert - Unsplash

A causa del Covid-19 le risorse che i lavoratori migranti inviano nei loro Paesi d’origine, le rimesse, dovrebbero diminuire nei prossimi due anni di 98 miliardi di dollari. Considerando solamente il flusso delle rimesse verso i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, si stima una riduzione del 14,7% (78 miliardi di dollari) rispetto alla cifra record di 554 miliardi di dollari raggiunta nel 2019. Un calo preoccupante che rappresenta, come sottolineato dalla Banca mondiale, “la perdita di una àncora di salvezza finanziaria cruciale per molte famiglie vulnerabili”.

Secondo i dati contenuti nel Dossier Statistico Immigrazione 2020 di Idos, la pandemia intaccherà il guadagno di 164 milioni di lavoratori emigrati che sostengono circa 800 milioni di parenti rimasti in patria. È un colpo potenzialmente letale. Basti pensare che, stime del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) alla mano, rimesse di 200-300 dollari al mese possono arrivare a coprire il 60% del reddito di una famiglia in un Paese in via di sviluppo. “Si tratta di risorse fondamentali -sottolinea Lorenzo Luatti, ricercatore di Oxfam Italia e curatore dell’approfondimento sulle rimesse contenuto nel dossier- utilizzate per spese sanitarie, acquisto di cibo e costruzione di case che superano di gran lunga gli aiuti economici inviati dai Paesi ‘ricchi’”. Analizzando i dati riferiti al 2019, l’ammontare del flusso delle rimesse è stato tre volte superiore agli aiuti per lo sviluppo erogati dai Paesi industrializzati -circa 166 miliardi di dollari- superando anche gli investimenti diretti stranieri che si sono fermati a un totale di 534 miliardi di dollari.

Le previsioni della Banca Mondiale, aggiornate all’ottobre 2020, sono negative anche per il 2021. Si stima che il flusso delle rimesse subirà un’ulteriore decrescita del 7,5%. Un dato significativo se si considera che, a seguito della crisi del 2008, l’ammontare dei flussi era diminuito del 4,8% nel 2009 registrando, fin dal 2010, una rapida crescita del 5,2%. “La crisi pandemica è differente -sottolinea Luatti- perché vi sono una serie di elementi che vanno a toccare direttamente l’occupazione dei migranti, i cui lavori spesso mal si coniugano con lo smart working. Non solo, spesso sono impiegati in forme di lavoro sommerso e vi è più difficoltà nell’accedere ai ristori e agli strumenti di sostegno del reddito. Questo comporta una minor possibilità di risparmio e quindi di invio di denaro nel Paese d’origine”. I dati forniti dalla Fondazione Leone Moressa sembrano confermare questa lettura: il tasso di occupazione degli stranieri, tra ottobre-dicembre 2019 e aprile-giugno 2020, è diminuito del 31% (257mila unità).

Nonostante queste previsioni, nessuna decisione politica comune è stata adottata per tentare di arginare la decrescita del flusso delle rimesse. L’ultima ricerca della Banca mondiale segnala che il costo medio globale per l’invio di 200 dollari nel terzo trimestre del 2020 è stato del 6,8%, con una percentuale invariata rispetto all’anno precedente: si tratta di più del doppio dell’obiettivo di sviluppo sostenibile del 3% fissato per il 2030. “A livello mondiale -spiega Luatti- si segnalano solo sporadici interventi che cercano di tamponare la situazione attuale ma nessuna decisione corale. Ne è un esempio il Pakistan che ha favorito, attraverso un’esenzione alla fonte, l’arrivo dei soldi dai Paesi stranieri. L’Italia, per fortuna, nella manovra di bilancio 2020 ha definitivamente tolto l’assurda previsione di una tassa al 1,5% sulle rimesse, introdotta nel 2019 ma fortunatamente mai attuata”.

Nei primi sei mesi del 2020, le rimesse inviate dal territorio italiano hanno superato quota tre miliardi di euro registrando una crescita del 17% rispetto allo stesso periodo del 2019. Una lettura attenta degli ultimi dati pubblicati da Banca d’Italia, aggiornati all’ottobre 2020, evidenzia un calo del 7,3% del flusso delle rimesse, tra gennaio e marzo 2020, seguito da una crescita significativa in primavera. “Questa oscillazione in positivo si è verificata anche a livello mondiale e vi sono diverse spiegazioni plausibili -spiega Luatti-. Sicuramente, aumentano i migranti di ritorno. A seguito del venir meno delle restrizioni dovute alla crisi sanitaria, molte persone, anche a causa della scarsa speranza di occupazione, hanno programmato un rientro in patria, aumentando l’invio di denaro per preparare il loro viaggio di ritorno.  Molto più rilevante è lo spostamento dell’invio di denaro dai canali informali a quelli formali. Qualora il Paese di destinazione del migrante sia geograficamente ‘vicino’ il rientro è meno costoso e può avvenire con maggior frequenza, di conseguenza spesso il risparmio viene portato direttamente ‘a mano’. La chiusura dei confini dovuta al Covid-19 ha reso impossibile questa modalità di trasporto e il flusso di denaro si è riversato sui canali formali”.

Analizzando i dati di Banca d’Italia si osserva che da gennaio a giugno 2020, il flusso delle rimesse in Moldavia è cresciuto del 69% mentre l’invio di denaro verso il Bangladesh è diminuito del 16%. Ancora, le rimesse verso l’Ucraina sono aumentate del 137%, mentre quelle destinate alle Filippine hanno registrato un -4,6%. “Questo significa -chiarisce Luatti- che l’aumento delle rimesse nel canale ufficiale non corrisponde ad un effettivo aumento di denaro arrivato nei Paesi d’origine. È come se la pandemia avesse fatto emergere il sommerso: quando sarà nuovamente possibile tornare ai canali informali, il dato si ridimensionerà”. Rispetto alle letture dei dati attuali, il ricercatore invita alla prudenza. “Per una lettura più certa dei dati occorre attendere almeno il primo semestre 2021, ma dubito che si ripeterà quanto successo a seguito del 2008, quando la quantità di denaro inviata nei Paesi d’origine si era mostrata resiliente rispetto alla crisi economica. Le stime della Banca mondiale, seppur con qualche margine d’errore sulla quantità, difficilmente sbagliano sul segno, positivo o negativo, del flusso delle rimesse”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.