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Interni

Gli aeroporti toccano al fondo

Il governo rinuncia a investire nei piccoli scali, mentre il fondo d’investimento F2i si conferma protagonista del mercato

Tratto da Altreconomia 147 — Marzo 2013

47 aeroporti italiani aperti al traffico commerciale, solo 31 sarebbero “d’interesse nazionale”. La definizione è del ministero delle Infrastrutture, contenuta nell’Atto di indirizzo per la definizione del Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale di fine gennaio. “Ciò significa che, fatto salvo situazioni ‘particolari’ come, ad esempio, Lampedusa e Pantelleria, lo Stato non ha più intenzione di investire in strutture piccole in perdita, ma lascia agli enti locali la possibilità di farlo -spiega Paolo Beria, ricercatore in Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano-. Da un punto di vista della pianificazione è un tentativo positivo, anche se alcuni nodi rimangono irrisolti”. Ad esempio, quello della regolazione: “Se ci fosse un Autorità degna di questo nome, non subirebbe senza colpo ferire ciò che dicono i gestori. Soggetti come Sea o Adr (Aeroporti di Roma, società del gruppo Benetton che gestisce gli scali di Fiumicino e Ciampino, ndr) hanno molto più potere di Enac. In questo senso, l’Atto d’indirizzo pare il frutto di un incontro d’interessi”. Secondo Beria, “è difficile immaginare economie di scala legate alla costituzione di ‘reti aeroportuali’. Lo definirei, piuttosto, potere di esclusione, nel momento in cui un gestore di più scali contratta con le compagnie aeree”.
L’idea delle “reti”, insieme al suggerimento di una “progressiva dismissione di quote societarie da parte degli enti pubblici” evidenzia, secondo il ricercatore del Politecnico, una semplice “presa d’atto di qualcosa che sta già avvenendo, che ci sono aggregazioni in corso”.
Il 2012 è stato, in Italia, l’anno del risiko aeroportuale, con una serie di operazioni che ruotano intorno al fondo d’investimento F2i, “il fondo onnivoro” partecipato da Cassa depositi e prestiti e dai principali istituti di credito italiani (vedi Ae 124 e Ae 140). Con un investimento complessivo di 740 milioni di euro, dopo aver fatto propri il 44,31% di Malpensa e Linate e il 70% di Gesac (che ha in concessione lo scalo napoletano di Capodichino), il fondo guidato da Vito Gamberale è diventato -a gennaio 2013- azionista di maggioranza con il 50,8% di Sagat, che fino al 2035 ha in concessione Torino Caselle. L’intervento di Gamberale ha concesso un po’ di ossigeno al Comune di Torino, strozzato dai debiti (vedi Ae 144). A sua volta, Sagat detiene anche il 55,45% di Aeroporti Holding (in partnership, tra gli altri, con il fondo Equiter di Intesa Sanpaolo), società che a sua volta controlla il 33,4% di Aeroporti di Firenze spa e il 7,21% di Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna spa. Si tratta, rispettivamente, del 14°, del 20° e del 7° scalo del Paese.
In tutto, nel 2012 sono decollati o atterrati da scali “partecipati” da F2i 53,8 milioni di passeggeri, pari al 36,6 per cento del totale. —
 

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