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Girare senza soldi – Ae 53

Numero 53, settembre 2004Chi controlla la distribuzione controlla il mercato. La regola vale per supermercati e per libri, musica e film. Eppure la voglia di sperimentazione e di cultura sopravvive a dispetto delle logiche economiche. Le strade per i giovani…

Tratto da Altreconomia 53 — Agosto 2004

Numero 53, settembre 2004

Chi controlla la distribuzione controlla il mercato. La regola vale per supermercati e per libri, musica e film. Eppure la voglia di sperimentazione e di cultura sopravvive a dispetto delle logiche economiche. Le strade per i giovani e per il pubblico in cerca di alternative alla tv e a Hollywood


D
aniele Segre lavora nel cinema da vent'anni e i suoi documentari sono stati visti nei più importanti festival europei. Martina Parenti, invece, ha appena vinto un premio con un film autoprodotto e spera di poterlo presentare a platee festivaliere sempre più numerose.
Lui è un maestro del cinema, lei una giovane esordiente, ma entrambi appartengono al cinema indipendente italiano. Nato negli Stati Uniti come cinema alternativo al sistema delle major hollywoodiane, approdato in Italia alla fine degli anni '60, il cinema indipendente è una realtà vivace ma a rischio di estinzione. Le cause vanno cercate in un mercato dove i film sono prodotti e distribuiti secondo rigide logiche commerciali: a chi non si adatta viene concessa sempre meno visibilità.

Insomma, uno spazio culturale da salvaguardare, come le piccole librerie e la musica indie di cui abbiamo già parlato (vedi Ae n. 45 e 47).

La scena indipendente italiana resta in vita grazie a produttori che adottano sistemi di autofinanziamento e strutture di produzione leggere, distributori collegati a circuiti cinematografici d'essai, registi per cui il cinema resta prima di tutto una forma d'arte, occasione di ricerca e riflessione. Sono questi, in linea generale, i tratti comuni dei “veri” film indipendenti e di quelle pellicole pensate come progetto culturale e non come semplice prodotto da immettere sul mercato. Come spiega Paolo Benvenuti, cinquantenne filmaker indipendente, autore fra l'altro di Segreti di Stato, fare cinema indipendente è una scelta etica: “Io credo di compiere un atto di resistenza nel continuare a fare un cinema di pensiero, che solleva interrogativi e domande”.

Nella realtà cinematografica italiana, i film indipendenti corrispondono a circa il 13 % della produzione totale. All'interno di questa piccola quota, esistono circa 20 case di produzione (su un totale di 433) e 10 realtà distributive (le rimanenti sono 63).

Ogni progetto è un'avventura economica ed artistica a tappe forzate: si parte da una sceneggiatura, si stabilisce un costo, si tenta di produrre il film, si cerca qualcuno disposto a distribuirlo.

Per Gianluca Arcopinto, fondatore della Pablo Film, l'indipendenza sta “nella integrità della creatività. Il decidere di girare un film senza curarsi di tutto quello che sta intorno” come ha dichiarato a cinemaindipendente.it.

Spesso l'avventura assume le sembianze di una vera e propria corsa a ostacoli. Tra i più difficili da superare la ricerca dei finanziamenti e la vendita del film a un distributore che lo porti nelle sale. Ma produttori, registi e distributori indipendenti sono stati in grado di inventarsi meccanismi e strutture con cui, almeno in parte, hanno aggirato alcuni degli ostacoli, riuscendo così a creare una scena alternativa al mercato controllato da pochi colossi.

Il primo ostacolo da superare è la ricerca dei finanziamenti. Fino a oggi, lo Stato ha supportato il cinema italiano attraverso un meccanismo di finanziamento con cui era possibile coprire fino al 90% delle spese di produzione di un film (solo nel 2003 il ministero dei Beni culturali ha investito 108,4 milioni di euro per 57 produzioni italiane, a dispetto dei 193,3 milioni investiti dall'imprenditoria privata per 41 film nazionali).

Ma se già era complicato per le realtà indipendenti ottenere parte di questi denari, la legge Urbani di fresca approvazione renderà l'accesso ai fondi praticamente impossibile (vedi box), perché il nuovo sistema privilegierà autori e produttori già affermati sul mercato.

Ministero a parte, una fetta importante dei finanziamenti proviene da Rai Cinema e Medusa, le due appendici cinematografiche della televisione pubblica e privata italiana. Una presenza “ingombrante”, positiva sul fronte delle risorse economiche, ma rischiosa: il pericolo è infatti quello di concedere soldi a film sintonizzati sullo standard televisivo, molto simili tra loro, costruiti in partenza per arrivare anche sul piccolo schermo. !!pagebreak!!

A farne le spese, ancora una volta, i progetti non omolagati al linguaggio di Rai o Mediaset.

Un modo per superare l'ostacolo dei finanziamenti è l'autoproduzione: le risorse economiche per realizzare la pellicola vengono di solito recuperate dai guadagni dei precedenti lavori o da risorse personali. Come è accaduto per Palabras, di Corso Salani, costato 160 mila euro: il 50% è stato sborsato dal regista stesso, il rimanente da Gianluca Arcopinto, uno tra i principali produttori indipendenti italiani.

Se il regista non ha denaro da investire, si devono trovare altre strade, come per Fame chimica: per mettere insieme i 900 mila euro necessari a realizzare il progetto è stata creata addirittura una cooperativa ad hoc, a cui hanno aderito i membri della troupe, cedendo parte dei loro compensi per coprire metà delle spese. Il resto dei soldi è arrivato dagli incentivi dell'associazione Filmaker e dalla casa di produzione Ubu Film.

Chi non riesce a trovare un finanziatore per il progetto opta per una produzione digitale, meno dispendiosa rispetto ad un film in pellicola. Un film digitale in effetti può “costare” solo 3 mila euro, come Tutto a posto, dell'esordiente Franco Bertini. Questo tipo di prodotto può diventare un utile biglietto da visita, anche se poi, per tentare l'approdo in sala, è comunque necessario convertirlo in pellicola. Quindi il regista è consapevole che anche questi progetti leggeri necessitano di una casa di produzione che copra le spese di “trasferimento”. In Italia, tra le più conosciute vanno citate, oltre alla Pablo di Arcopinto, la Fandango, la Drop Out, la Sacher Film.

Conclusa la fase di produzione iniziano i salti mortali per arrivare in sala. La situazione odierna del mercato distributivo lascia pochissimi spazi. Il 60% dei film proposti sui nostri schermi proviene dagli Stati Uniti, il 23% è costituito da film italiani, il resto da pellicole europee ed extraeuropee-non Usa.

Buena Vista, Medusa e Columbia troneggiano ai primi posti della classifica dei distributori 2003 con 107 pellicole. Altre posizioni importanti sono occupate da Uip (con 27 film), 01 Distribution (27), 20th Century Fox (24), Warner Bros Italia (15).

Medusa e Warner possiedono, inoltre, un terzo dei multiplex nazionali (i megacinema con anche sedici sale, cfr Altreconomia n.16): 20 su 66 per un totale di oltre 150 schermi in cui, ovviamente, la precedenza viene data alle pellicole del proprio listino.

Nelle altre sale cinematografiche, i film vengono venduti in “pacchetti”. Per esempio La passione di Cristo, distribuita da Eagle Pictures, è stata venduta insieme ad Amore senza confini, pellicola di poco successo interpretata da Angelina Jolie. Per proiettare il primo, il gestore della sala era obbligato a comprare anche l'altro, che gli addetti del settore definiscono “coda”.

Inoltre, per i film “forti” bisogna corrispondere al distributore un minimo garantito, indipendentemente dall'incasso. Di conseguenza i cinema difficilmente scelgono film rischiosi, come sono in genere i progetti indipendenti.

Per questi, un primo passo per raggiungere il pubblico è quindi la presentazione a festival e rassegne di settore, occasioni importanti per farsi conoscere, confrontarsi con la critica e, magari, incontrare distributori disponibili ad inserire la pellicola nel proprio listino.

Proporre il proprio lavoro al Film Doc di Milano o all'Infinity Festival di Alba, piuttosto che ai numerosi festival internazionali, può aprire la strada a fruttuose collaborazioni.

Come è accaduto a Michelangelo Frammartino, che ha presentato Il dono -autoprodotto in formato video con soli 5 mila euro- proprio all'Infinity di Alba, dove è stato “comprato” dalla Pierre Grise, storica casa di distribuzione francese.

Il film uscirà sugli schermi d'Oltralpe in ottobre, mentre in Italia verrà distribuito nel circuito dei cineforum da settembre. I premi in denaro ottenuti ai festival di Thessalonika e Belfort e la vendita dei diritti televisivi a Rai Cinema hanno inoltre dato la possibilità a Frammartino di stampare il film in pellicola. In questo modo il film si è garantito una diffusione internazionale e nazionale, televisiva e in sala. Un bel successo.

Lucky Red, Mikado, Bim, Istituto Luce, Pablo, Minerva e AB Film sono le princiali realtà distributive che mantengono un'attenzione alle pellicole indipendenti.

Le prime quattro hanno tra l'altro dato vita al progetto “Circuito Cinema”: 12 sale in cui viene data la priorità a film del loro listino, tra cui diverse pellicole internazionali come I diari della motocicletta, ma anche film italiani come Pater Familias, prodotto dalla Kubla Khan. Alla Pablo Distribuzione, braccio dell'omonima casa di produzione, si sono invece appoggiati, nel 2003, Piovono Mucche realizzato dalla stessa Pablo, Italian Sud Est, autoprodotto dal collettivo Fluid Video Crew e Vecchie, realizzato da Daniele Segre.

Per questo tipo di pellicole indipendenti, gli unici spazi di visibilità concessi dal mercato sono le sale d'essai e i cineforum.

Qualcuno ha anche cominciato a utilizzare questi spazi per attività diverse, non solo cinematografiche, nel tentativo di radicare il proprio progetto culturale.

Il Lab 80 di Bergamo, distributore de Il dono, continua ad esempio ad organizzare corsi di cinema nelle scuole e serate teatrali e musicali nel proprio auditorium. A Roma Domenico Procacci, dopo Fandango Cinema, Fandango Libri e Fandango Musica, ha creato il Politecnico Fandango, uno spazio culturale in cui si proiettano film e si organizzano reading letterari e concerti.

Sono tutte strade che mirano a rafforzare quell'ossatura che permette ad autori e registi di vivere e di restare fedeli alla propria vocazione: il cinema come progetto culturale.!!pagebreak!!

Fluid, giovani artisti dietro il nome collettivo
“Indipendenza significa sporcarsi le mani. Chi produce immaginario se le deve sporcare”. Parola di Fluid Video Crew, realtà di produzione indipendente che ha scelto dalla nascita (Roma, 1995) la strada della realizzazione collettiva.

I film non sono firmati da un singolo nome, ma da Fluid, nucleo senza ruoli né gerarchie che cela diversi giovani artisti. Dopo due anni di analogico, i Fluid investono risparmi e speranze nella prima camera digitale. Il primo “lungo” si chiama Italian Sud Est, docufiction di un viaggio sulla vecchia ferrovia del Salento, prodotto con l'aiuto di Gianluca Arcopinto e Amedeo Pagani per un budget di 100 mila euro.

La distribuzione indipendente, affidata alla Pablo, ha avuto ampia diffusione in Puglia, ma è stata disomogenea nel resto d'Italia (solo a Milano e Roma).

Ma il film continua a vivere: il “Quotidiano”, giornale pugliese, a luglio è uscito con Italian Sud Est allegato in dvd. Un'operazione di successo (6 mila copie vendute nei primi 3 giorni) che ha consentito di distribuire il dvd a livello nazionale anche con “Filmmaker magazine”.

Una volta coperti i costi di produzione, il guadagno viene investito nei progetti futuri, com'è prassi dei Fluid: “Meglio guadagnare meno, ma avere la possibilità di seguire dall'inizio alla fine un progetto in cui si crede”.

Due indipendenti da vedere
Li avete visti o ne avete almeno sentito parlare. Si chiamano Segreti di Stato e Dopo mezzanotte, due pellicole indipendenti “ibride”, approdate con successo in sala. Segreti di Stato è l'ultimo progetto di Paolo Benvenuti, storico filmaker indipendente. Realizzato da Fandango, con il sostegno del ministero dei Beni culturali, e distribuito dalla stessa Fandango, è arrivato in sala in contemporanea alla presentazione al Festival di Venezia dello scorso anno. In programmazione per sette settimane, il film ora continua a vivere girando per scuole e cineforum, accompagnato dal regista che, con entusiasmo, racconta il lungo lavoro di ricerca svolto prima di iniziare le riprese.

Dopo mezzanotte è invece l'ultima fatica di Davide Ferrario, regista che ha iniziato la sua carriera grazie anche all'associazone milanese Filmmaker. Il film, in programmazione con successo per alcuni mesi, è stato prodotto dallo stesso regista e dalla Rossofuoco per essere poi distribuito dalla Medusa, garantendosi in questo modo una maggiore visibilità.

Due eccezioni che dimostrano come, superati gli ostacoli finanziari e ottenuto un appoggio distributivo importante, anche i film indipendenti possono ottenere successo e attenzione da parte di pubblico e critica.!!pagebreak!!

Se avte idee ma non denari
Filmmaker è una delle strade che un giovane autore può imboccare per iniziare la scalata al mondo della celluloide. Associazione milanese fondata nel 1982, Filmmaker è un esempio singolare di sostegno alla produzione grazie a Film Doc, festival allestito ogni anno a novembre (nel 2004 la nona edizione) che propone una formula tagliata su misura per giovani dotati di molte idee ma di pochi mezzi.

Gli aspiranti cineasti possono partecipare al concorso “Visioni di realtà-Paesaggi umani” con un progetto scritto, che viene valutato da una commissione.

I vincitori ricevono un finanziamento per trasformare il soggetto proposto in un'opera prima, possibile biglietto da visita da presentare a case di produzione e distribuzione.

Questo iter è stato intrapreso tra gli altri da Fame chimica, nato come mediometraggio con il supporto di Filmmaker e poi trasformato in film grazie al sostegno di altre fonti produttive. Senza la prima spinta economica del concorso, un prodotto così meritevole avrebbe avuto di certo più difficoltà a nascere. Altri nomi tenuti a battesimo da Filmmaker sono i registi Silvio Soldini, Davide Ferrario e Mario Martone. A livello internazionale Filmmaker organizza inoltre Lavoro e temi sociali, concorso annuale che pone particolare attenzione al genere documentario.

Il diritto di desiderare, voracità indotta
Voracità indotta dall'uso di hashish: è la cosiddetta “fame chimica”, che i registi Antonio Bocola e Paolo Vari usano nel loro film omonimo come metafora dei desideri che gli abitanti di periferia, protagonisti della pellicola, hanno il diritto di coltivare ma che non sempre raggiungono.

Il centro nevralgico attorno al quale ruota la storia è Piazza Gagarin, che nella realtà non esiste ma si erge a simbolo di qualsiasi piazza di periferia. Un microcosmo fatto di cemento e squallore, di vite marginali e frustrazione, che permette la messa in scena di un'analisi sociale realistica.

Nato nel 1997 come mediometraggio grazie al sostegno di Filmmaker, Fame chimica diventa un lungometraggio grazie a una storia produttiva singolare, una “produzione partecipata”; tutto il cast tecnico e artistico del film ha costituito la Cooperativa Gagarin con lo scopo di reinvestire nella produzione una quota del proprio compenso.

In questo modo è stato possibile coprire metà del budget (900 mila euro in tutto), mentre il restante 50% è stato versato da diversi finanziatori, tra cui la casa di produzione Ubu Film per il 25%.

Niente sovvenzioni statali, niente finanziamenti commerciali. Un film rivoluzionario che, a differenza di quanto accade abitualmente, diventa proprietà condivisa di un ampio ventaglio di persone e società, rappresentate nel progetto come parte attiva della produzione, da un punto di vista imprenditoriale, professionale e creativo.

Il film è uscito il 30 aprile in un paio di sale sia a Milano sia a Roma (poi anche a Napoli, Bologna e Torino); distribuito da Lucky Red, è stato acquistato in Italia da Telepiù e dalla Televisione della Svizzera italiana, e presentato con successo ad alcuni festival, tra cui la Mostra del cinema di Venezia. !!pagebreak!!

Pochi sostegni per giovani e cultura
Marchette nei film. L'idea dello Stato
Il cinema del futuro? Marchi pubblicitari evidenti, finanziamenti pubblici diminuiti, sostegno ai cineasti già noti.

Il cinema dei giovani indipendenti è in pericolo.

La neonata legge sul cinema, firmata dal ministro per i Beni culturali Giuliano Urbani, modifica la normativa del 1965 nel tentativo di riordino della situazione critica in cui versa il cinema italiano.

Ma a pochi mesi dalla sua entrata in vigore ha già creato polemiche, prima di tutto riguardo al finanziamento pubblico.

La produzione cinematografica, grazie alla vecchia legge, ha spesso fatto ricorso al denaro pubblico, che poteva coprire fino al 90% dei costi di produzione per un massimo ogni anno di 20 opere prime (i film d'esordio).

Unica clausola: un buon incasso implicava la restituzione dei soldi (il che si è verificato solo nel 20% dei casi).

Nel 1994 il finanziamento è stato allargato anche a film “di interesse culturale nazionale”, definizione in base alla quale due commissioni decidevano la concessione dei fondi. Il problema sta nella discrezionalità del giudizio; non è detto inoltre che da una buona sceneggiatura nasca un buon film.

A ciò si aggiunge il problema dello sperpero di denaro dovuto alla sovvenzione di quei film (in media 30 l'anno) mai completati per l'insufficienza dei fondi, o mai distribuiti perché privi di qualsiasi appeal commerciale.

La legge Urbani modifica ora le regole: contributo massimo del 50% del budget per un numero di film non definito, ingresso dei privati, e due nuovi meccanismi di calcolo e di finanziamento, il reference system e il product placement.

Il referece system è l'insieme di indicatori che vincolano il finanziamento: una sceneggiatura lo riceve in base alle referenze dell'intero progetto, cioè ai risultati già ottenuti dal cast tecnico e artistico. Il produttore, in particolare, deve anche dimostrare di poter recuperare l'altro 50% necessario a realizzare il film.

Questo sistema rischia di consolidare i più forti anziché aprire al nuovo, scoraggiando le voci giovani e originali. Se l'obiettivo è di sostenere “il cinema quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale” (art.1), il fenomeno cinematografico dovrebbe essere considerato come progetto, senza far prevalere gli interessi economici sulle esigenze socioculturali. E rimane inoltre il problema fondamentale della strozzatura del mercato distributivo: i produttori indipendenti rischiano di estinguersi schiacciati dai colossi del settore.

Il product placement consiste invece nell'inserimento di marchi pubblicitari nei film in cambio di sponsorizzazioni. Alla faccia del prodotto culturale e dell'indipendenza.!!pagebreak!!

La via europea contro Hollywood
Una via per i produttori indipendenti può essere quella delle coproduzioni internazionali. È infatti sul mercato europeo che possono trovare uno spazio preferenziale film come L'imbalsamatore di Matteo Garrone e Il dono di Michelangelo Frammartino, prodotti in Italia ma apprezzati prima e di più all'estero. È soprattutto l'Unione Europea a dare una mano alle coproduzioni indipendenti, grazie al Programma Media. Con 400 milioni di budget a disposizione per il periodo 2001-2005, sino a oggi ha ottenuto risultati significativi: il programma comunitario ha supportato il 90% delle opere distribuite fuori dal proprio Paese d'origine.

In Italia esistono due uffici di rappresentanza del Programma: Media Desk a Roma e Antenna Media a Torino. Quest'ultimo è gestita dalla “Filming with a European Regard in Turin”, associazione non profit che agisce dal 1992 per rafforzare le capacità industriali della produzione indipendente e per rendere più accessibili i canali della coproduzione europea. I due sportelli svolgono funzioni informative e di consulenza, mentre tutte le decisioni operative e riguardanti i finanziamenti dipendono da Bruxelles.

L'underground italiano

Autoproduzione e controcultura. Su questo binario si muovono da sempre i film indipendenti. Negli Stati Uniti del 1943-45 il cinema tende a diventare un'industria e, contro tendenza, prende il via il New American Cinema (Nac), esemplificazione del concetto di indipendenza.

È il cosiddetto cinema underground, figlio di quella che sarà definita la seconda avanguardia. In Italia si assiste alla prima retrospettiva del Nac alla Mostra di Pesaro (1967), che stimola diversi autori a girare i loro primi film indipendenti e crea il clima adatto per la nascita dei filmclub (strutture private che distribuiscono film sperimentali). Nello stesso anno viene costituita a Roma la Cooperativa del Cinema Indipendente, che riunisce i maggiori esponenti del settore (Bacigalupo, Trebbia, De Bernardi, Leonardi).

Un'attenzione particolare alle problematiche sociopolitiche è la caratteristica dell'underground italiano. Gli anni 70 ne segnano la crisi, a eccezione del cinema d'artista e della videoarte.

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