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Giovanni Passannante da Salvia di Lucania, precursore dell’avvenire

Nel 1878 il giovane sfiorò Umberto I inneggiando alla “repubblica universale”. La vendetta dei Savoia fu terribile. La rubrica di Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 238 — Giugno 2021
Veduta di Savoia di Lucania, paese originario di Giovanni Passannante © wikimedia commons

Cambiamo il nome a Savoia di Lucania (poco più di mille anime, in provincia di Potenza): torniamo al suo vero nome, Salvia di Lucania.  Fu nel 1878 che il paese venne intitolato alla dinastia sabauda: per imposizione regia, per riparazione, per espiazione. Perché un suo poverissimo figlio, Giovanni Passannante, aveva osato attentare alla vita di Umberto I, gridando: “Viva la repubblica universale!”. In verità aveva appena graffiato il sacro corpo del monarca con un temperino incapace di offendere, ma l’eco del gesto fu enorme. Perfino il deposto re di Napoli, Francesco II, dal suo esilio solidarizzò con il re d’Italia, definendo quelli della Lucania “paesi cattivi: un nido di socialisti… di socialisti, non esattamente, più precisamente di comunisti partigiani!”.

Giovanni era riuscito a riscattarsi da una storia di secolare miseria, appassionandosi agli scritti e alle idee di Giuseppe Mazzini. Era divenuto cuoco, e a Salerno era divenuto socio di una Trattoria del Popolo in cui volentieri sfamava gratuitamente gli indigenti. Era un cristiano radicale, che da cattolico si fece evangelico. Un uomo buono, a suo modo un profeta nudo.

Ma la vendetta dei Savoia fu terribile. Solo l’intercessione di Giosuè Carducci presso la regina Margherita evitò a Giovanni la pena capitale. E mentre il suo paese perdeva il proprio nome millenario, sua madre e i suoi fratelli venivano rinchiusi a loro volta in manicomio, rimanendovi fino alla morte. Come ricorda il “Dizionario biografico degli italiani”, “Passannante fu rinchiuso in una cella bassa e completamente al buio sotto il livello del mare [a Portoferraio]. Dopo due anni, privo di forze, fu cambiato di cella. Nessun contatto, neanche con il secondino; nessun libro; al buio, e sempre alla catena. Agostino Bertani, il medico e deputato radicale che, dopo molte insistenze, ebbe nel 1885 il permesso di spiarlo per pochi minuti dalla serratura, fu sconvolto dal vedere un uomo ammalato di scorbuto ‘senza un filo di forza’, che ‘s’aiutava a stento con le mani a sorreggere la pesante catena di diciotto chilogrammi’. Nel 1889, dopo una nuova perizia, fu dichiarato pazzo dagli stessi medici che avevano escluso qualsiasi patologia mentale al tempo del processo, e quindi trasferito nel manicomio di Montelupo Fiorentino, dove gli fu permesso di leggere e scrivere. Chi lo poté visitare pochi anni dopo, lo trovò a letto e con gli occhi chiusi. Fra questi l’avvocato e deputato toscano Giovanni Rosadi che gli chiese se lo riconoscesse. Senza aprire gli occhi, Passannante gli rispose: ‘Tutti ci conosciamo perché tutti siamo fratelli; e le donne sono nostre sorelle; ma sono ingiustamente dimenticate; infatti si dice umanità e fratellanza, mentre si dovrebbe dire anche donneittà e sorellanza’”.

Mentre il “pazzo omicida” Passannante diceva cose tanto savie e cariche di futuro, l’augusta vittima Umberto I di Savoia approvava la sanguinosa repressione dei manifestanti di Milano del 1889, facendo senatore del Regno il generale Fiorenzo Bava Beccaris che aveva ordinato di sparare sulla folla. Ebbene, forse è arrivato il momento di rimettere le cose al posto giusto. Tornando al nome vero di Salvia di Lucania, e dedicando nella sua piazza un monumento a Giovanni Passannante. Un monumento sul cui piedistallo siano iscritte le parole con cui lo descrisse Giuseppe Garibaldi (“un precursore dell’avvenire”), e quelle con cui lo cantò e lo celebrò un giovane Giovanni Pascoli: “Della berretta d’un cuoco faremo una bandiera”.

Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra

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