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Diritti / Opinioni

Giornalismo e immigrazione: la Carta violata

Nonostante precise regole deontologiche, l’informazione italiana sui migranti è spesso ansiogena e sguaiata. Il rapporto di “Carta di Roma”

Tratto da Altreconomia 200 — Gennaio 2018

La Carta di Roma è un documento deontologico che gli organi professionali dei giornalisti (ordine e sindacato) decisero di darsi una decina di anni fa, riconoscendo alla categoria una responsabilità per i modi sguaiati, sbagliati e discriminatori che spesso caratterizzavano l’informazione in materia di immigrazione. Ogni anno, alla presentazione del rapporto curato dall’Associazione Carta di Roma, fondata nel 2011 da ordine e sindacato con organizzazioni come Acli, Amnesty International, Arci, Cospe, Centro Astalli, Lunaria e varie altre, ci si domanda quanto il codice abbia inciso sul concreto esercizio della professione e quale sia il contributo dei media alla corretta comprensione del fenomeno migratorio.

Il quadro d’insieme non è troppo rassicurante e permane la sensazione che il giornalismo sia parte del problema quando si pensa a quel clima di ansia, avversione, perfino stigmatizzazione che accompagna le notizie riguardanti i migranti. Il rapporto 2017 fin dal titolo suggerisce che la cornice nella quale fatti e opinioni sono collocati è più o meno lo stesso di dieci anni fa: “Notizie da paura”. Scorrendo il rapporto si scopre ad esempio che il 2017 è stato un anno di “allarmismo specifico e mirato” e che sulle reti Mediaset la metà delle notizie relative all’immigrazione ha riguardato fatti criminali e di ordine pubblico.

La Carta di Roma non è stata tuttavia ininfluente, ha anzi contribuito a offrire preziosi strumenti etici e professionali ai giornalisti più coscienziosi e ha prodotto qualche visibile miglioramento, ad esempio nel linguaggio e in alcune “buone pratiche”. E tuttavia la discussione a questo punto dovrebbe concentrarsi sopra un passaggio dell’introduzione al Rapporto scritta dal presidente uscente dell’Associazione Carta di Roma, Giovanni Maria Bellu, passaggio omesso dai (pochi) resoconti giornalistici sulla pubblicazione del Rapporto 2017.

Bellu scrive che si moltiplicano le violazioni volontarie e deliberate del codice, a volte con l’espressa derisione della Carta, al punto da configurare un “rifiuto assoluto delle regole professionali” da parte di molti giornalisti e alcune testate. Bellu, che è sempre stato molto prudente nell’invocare sanzioni disciplinari per le violazioni del codice, ora si chiede se non sia il caso di cambiare rotta e applicare tutte le misure necessarie, fino alla radiazione, per chi si ostina a ignorare che la Carta di Roma -come scrive- è “una specificazione della regola fondamentale della professione, quella che impone ai giornalisti di restituire la verità sostanziale dei fatti”.

43% , gli articoli e titoli di prima pagina con tono allarmistico in materia di immigrazione nel 2017 nei sei quotidiani (Il Giornale, l’Avvenire, La Stampa, la Repubblica, Corriere della sera, l’Unità) esaminati dal Rapporto 2017 dell’associazione Carta di Roma

In effetti l’informazione in materia di immigrazione è stata negli ultimi anni non solo ansiogena ma anche poco professionale: il 2017 è stato l’anno dei “Bastardi islamici” in prima pagina e degli immigrati che trasmettono malattie (compresa la malaria per contatto diretto anziché tramite puntura di zanzara). Bellu è drastico: “Accettare che possano continuare a chiamarsi giornalisti soggetti che rifiutano la regola fondamentale, significa mettere in discussione la stessa ragione di esistere della categoria”.

È un intento giusto ma assai difficile da mettere in pratica, se non avviando un profondo processo di cambiamento etico e istituzionale in seno a una categoria che ha perso molto credito nella società e che avrebbe bisogno, ora più che mai, di aprirsi all’esterno e di non chiudersi dentro i propri tradizionali recinti. La crisi del giornalismo non riguarda solo i giornalisti e questi ultimi ben difficilmente riusciranno a venirne fuori da soli. 

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri
“Noi della Diaz” e “Parole sporche”.

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