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Cultura e scienza / Approfondimento

Giardini d’Italia: alla riscoperta del patrimonio botanico

La piscina tropicale dell’orto botanico di Padova - Alberto Caspani

Gli habitat di conservazione affrontano la sfida dell’educazione alla sostenibilità ambientale, affiancandola alle tradizionali funzioni estetiche, ricreative e sociali. Così la “scuola italiana” si rinnova, stringendo partnership dalla Malesia al Brunei

Tratto da Altreconomia 188 — Dicembre 2016

La botanica italiana è di nuovo in fiore, ma i suoi fondi al verde. Esattamente l’opposto di quanto lasci supporre il Giardino dei Semplici di Firenze, il terzo più antico al mondo insieme a quello di Pisa (1544) e al coetaneo di Padova (1545). Fattisi largo fra un fronzuto Taxus baccata del 1720 e un altrettanto coriaceo Quercus suber del 1805, tutti gli occhi sono per l’Amorfophallus Titanum conservato nella serra umida: la più grande infiorescenza mai osservata dall’uomo e di cui Odoardo Beccari, il nostro massimo botanico, fu il primo testimone europeo a Sumatra, nel 1878.
Si sono dovuti attendere ben 124 anni per assistere allo spettacolo della sua schiusura “in cattività”, ma della pianta che nel 2002 lasciò l’Italia a bocca aperta si conserva appena una sequenza d’immagini a muro (con una nota emblematica: a fronte degli estenuanti tentativi di replicare un fenomeno di natura tanto effimero quanto olfattivamente stomachevole, Kew Gardens a Londra aveva battuto tutti sul tempo e già da un bel pezzo). Un buon motivo per ripensare all’intera organizzazione del settore, tenuto conto che nella sola Italia è conservata la maggior biodiversità d’Europa, con oltre 7mila specie (di cui ben 1.400 endemiche) e 76 orti botanici di assoluto valore storico.

Secondo la Società Botanica Italiana, il comparto è capace di muovere nell’Unione europea quasi 50 milioni di visitatori l’anno, distribuiti su circa 470 giardini

È proprio la presidente della Società Botanica Italiana, Consolata Siniscalco, a evidenziare questi paradossi in una recente pubblicazione dal titolo quanto mai provocatorio: “Orti botanici, eccellenze italiane”, a cura di Marina Clauser e Pietro Pavone (scaricabile gratuitamente anche dal web). Se in tempi di difficoltà economiche occorre fare di necessità virtù, potenziando lo sviluppo di reti di collaborazione per ovviare alla mancanza di fondi e organico, riesce infatti difficile comprendere la sottostima tutta italica di un comparto capace di muovere nell’Unione europea quasi 50 milioni di visitatori l’anno, distribuiti su circa 470 giardini. Conteggiando fra l’altro le strutture non direttamente affiliate alla Società Botanica Italiana, più di un quinto del totale si trovano nel Belpaese, ritenuto all’unisono il laboratorio ideale per la preservazione e la formazione dell’uomo di domani, contro il crescente degrado mondiale degli ecosistemi naturali.

“Le nostre strutture sono fra le prime ad aver risposto all’emergenza in atto e agli obiettivi della Strategia globale per la conservazione delle piante -spiega Paolo Luzzi, curatore del Giardino dei Semplici di Firenze, nei cui pressi ha sede la stessa Società Botanica Italiana- grazie a un vantaggio più naturale che economico: la peculiare conformazione geografica del nostro Paese. Là dove minore è la biodiversità e quindi più affermata la tradizione di creare i cosiddetti ‘zoo vegetali’, dal sapore ancora ottocentesco, l’Italia è già di per sé predisposta a portare avanti azioni coordinate e capaci di rivoluzionare i vecchi paradigmi: preponderante conservazione in situ, cioè mantenendo le numerose specie e i relativi habitat di natura, oltre che capillarità ex situ, per conservare le risorse fitogeniche in sistemi protetti e fuori dal loro ambiente naturale. In aggiunta, buona parte dei nostri orti e giardini si sono dotati di ‘banche del germoplasma’, strutture destinate all’analisi, alla propagazione, nonché alla conservazione a medio e lungo termine di semi o altro materiale riproduttivo”.
A differenza di quanto avveniva in passato, oggi lo spettro d’azione tende a ridimensionare il proprio raggio e a concentrarsi maggiormente sullo studio e la tutela del proprio territorio, dal momento che la cementificazione, l’inquinamento delle varietà, o le stesse attività agricole, possono rappresentare una minaccia per le specie endemiche pari quasi alla deforestazione negli habitat equatoriali o tropicali. Non a caso il Giardino dei Semplici di Firenze sta sviluppando un progetto pilota basato sul totale rifiuto di sostanze chimiche o esogene, con l’obiettivo di estenderlo a tutto il Paese: viene dunque a incrinarsi l’idea tradizionale di piante da giardino considerate belle in quanto fitogeneticamente perfette (a costo di cure meno sane e spesso dispendiose), avvalendosi piuttosto di metodi di controllo biologico, o di lotta integrata, che prevedono l’uso di parassiti come antagonisti naturali di specie dannose.
Inoltre è emersa la consapevolezza di non poter sviluppare programmi di conservazione o coltivazione replicabili di Paese in Paese con la stessa efficacia; ragion per cui, oggi, si tende a escludere la messa a dimora di specie con esigenze ecologiche in evidente contrasto rispetto alle condizioni ambientali. La scelta del Giardino dei Semplici, al pari di quanto sta avvenendo sulla scena italiana, si colloca dunque agli antipodi di una metodologia che, nel recente passato, ambiva a ricreare le condizioni di habitat esotici per stupire innanzitutto il pubblico: nel riadattare la finalità originaria degli orti botanici, che nacquero principalmente per lo studio delle piante farmacologiche (i “semplici”), viene ora conferita notevole importanza alla tutela dei progenitori selvatici di molte piante coltivate (crop wild relatives), in quanto capaci di sviluppare forme di difesa facilmente adattabili per familiarità genetica. Parallelamente, le funzioni estetiche, ricreative e sociali sono integrate a nuove modalità di educazione alla sostenibilità ambientale, spingendosi addirittura nel campo delle pratiche filosofiche: la fresca ristampa del saggio “Di che giardino sei?”, scritto dal filosofo dell’educazione Duccio Demetrio, è anche frutto di questa rinnovata sensibilità. Un approccio multidisciplinare che non vanifica il contributo enorme -anche in termini di vite umane- offerto da quella straordinaria generazione di botanici-esploratori di cui Beccari stesso fece parte, ma punta anzi a rivalorizzarla mediante una forma più economica e antica di conservazione: l’implemento delle specie archiviate negli Erbari, evoluzione del classico Hortus siccus (orto secco, o essicato).

Un ritratto di Odoardo Beccari nel Giardino dei Semplici di Firenze - Alberto Caspani
Un ritratto di Odoardo Beccari nel Giardino dei Semplici di Firenze – Alberto Caspani

“L’Herbarium di Firenze, fondato nel 1842 e ospitato nel Museo di Storia Naturale dell’Università -evidenzia la curatrice Chiara Nepi- possiede quasi 5 milioni di specie collezionate da tutto il mondo, tanto da essere un punto di riferimento imprescindibile a livello globale, soprattutto per quanto riguarda lo studio delle palme. Se continuiamo a ricevere richieste di consultazioni da San Francisco così come da Tokyo, lo dobbiamo proprio a figure straordinarie come Odoardo Beccari, che dopo aver dischiuso all’Europa i segreti della foresta primaria del Borneo e dell’intero Sud-est asiatico, contribuì a far conoscere all’estero un patrimonio italiano unico e secolare. Il nostro Paese, unitamente alla prestigiosa tradizione dei suoi naturalisti, gode infatti di un’immagine e di una stima di cui fra i confini nazionali ben pochi sono ancora a conoscenza, ma in virtù delle quali potremmo ottenere vantaggi enormi sia dal punto di vista degli scambi scientifici, che delle risorse economiche”.

Odoardo Beccari, Gaetano Osculati, Giacomo Doria, Luigi Maria d’Albertis o Stefano Sommier. Sono alcuni dei più importanti naturalisti italiani

Insieme a Beccari andrebbero allora ricordati Gaetano Osculati, che individuò nella salsapariglia amazzonica un rimedio alla malaria ben più efficace del chinino, o Giacomo Doria, che da presidente della Società Geografica Italiana finanziò missioni scientifiche in tutto il mondo, o ancora Luigi Maria d’Albertis o Stefano Sommier, capaci di reperire rarissime specie da territori estremi come la Nuova Guinea e la Siberia artica, ma anche decine e decine di altri: pionieri scivolati in un inspiegabile oblio nazionale, su cui il museo Mudec di Milano ha recentemente riportato l’attenzione. L’ultima mostra dedicata ad Antonio Raimondi, onorato in Perù come eroe nazionale per le sue scoperte botaniche e scientifiche, resterà in calendario sino al prossimo 26 febbraio, ma concorre a un progetto più ampio che, unendo botanica, esplorazione e geografia commerciale, sta creando rete fra poli di ricerca sia nazionali sia internazionali. L’originaria cabina di regia, nella quale rientrano anche il Museo di Storia Naturale e il Castello d’Albertis di Genova, insieme al Giardino dei Semplici e all’Herbarium di Firenze, così come l’Istituto di storia della fotografia Alinari, nonché la Società Geografica Italiana, ha infatti deciso di utilizzare un progetto patrocinato da quest’ultima -su proposta dell’Associazione culturale “Gaetano Osculati”- per creare ponti strategici fra l’Italia e i Paesi dove i nostri botanici hanno lasciato un segno indelebile. La prima missione è stata dedicata proprio a quell’Odoardo Beccari che tanto ha contribuito a innalzare l’onore botanico dell’Italia, dal momento che il quadriennio 2015-2018 è consacrato alle celebrazioni per il 150esimo anniversario del suo epocale viaggio in Borneo (nel 2016, oltretutto, ricorre il 140esimo anniversario di fondazione della sua tenuta di vini a Radda in Chianti, Vignavecchia, tuttora fra le più apprezzate al mondo).

La consegna di una targa a lui dedicata al Museo del Sarawak di Kuching, nel Borneo malese, ha di fatto gettato i semi di una collaborazione internazionale che sta avendo ricadute a livello scientifico, culturale, economico e turistico. Se la controparte malese si è infatti attivata per disegnare diversi percorsi botanici riuniti poi nella “Via di Odoardo Beccari”, lungo la quale sono stati invitati i nostri moderni ricercatori per effettuare studi sul campo, Kew Gardens a Londra, Il Museo delle Culture e dei Popoli di Lugano, così come il consorzio australiano Palms&Cicads Societies, rappresentano ulteriori partner integrabili proprio per via dei legami con la figura ponte dell’esploratore fiorentino. Senza dimenticare la remota isola di Gaya, nel parco nazionale Tunku Abdul Rahman in Borneo, su cui la proprietaria delle due strutture d’accoglienza Bunga Raya e Gayana Resort intende creare un apposito museo integrato al percorso botanico.

A raccogliere l’invito è stato infine uno degli “eredi scientifici” di Beccari. “La sua figura è il miglior testimonial che la botanica italiana possa oggi vantare nel mondo -ha rilanciato Daniele Cicuzza, professore di biologia e botanica all’Università di Bandar Seri Bagawan in Brunei- e sicuramente l’auctoritas che, per la prima volta nel 2025, potrà permettere di ospitare a Firenze l’importantissimo simposio botanico ‘Floria Malesiana’. Un’occasione unica alla quale sto lavorando in Brunei, anche attraverso la pubblicazione di un sito in inglese che traduca e raccolga tutti i suoi contributi botanici, onde ridare linfa alla scuola italiana e ai nostri orti botanici. Avanguardia affermatasi nell’Ottocento, dopo i nobili natali nel Rinascimento italiano, ma con tutte le carte in regola per tornare protagonista nel nuovo Millennio”.


IN DETTAGLIO
Gli orti botanici da non perdere

Giardini botanici di Hanbury (La Mortola, Imperia).
Uno dei più grandi giardini di acclimatazione italiani. giardinihanbury.com

Orto botanico di Pavia
Conserva l’unico esemplare italiano di pianta del tè ticinese. www-3.unipv.it/orto1773

Orto botanico di Bergamo
espone circa 1.200 specie e varietà colturali ortobotanicodibergamo.it

Orto botanico di Pisa
specializzato nella coltivazione della salvia (salvia officinalis).
ma.uni.it

Orto botanico di Catania
Vanta la collezione più ampia di palme in Italia.
dipbot.unict.it/orto%2Dbotanico

Orto botanico di Padova
Tutela la peculiare flora euganena spontanea da terreno vulcanico. È patrimonio Unesco.
ortobotanicopd.it

Orto botanico di Napoli
Il migliore in Italia per conoscere le piante epifite, ossia che non necessitano di terreno
per vivere e si procurano acqua dall’aria.
ortobotanico.unina.it

Orto botanico di Roma
È il regno del bambù, rappresentato da 44 specie su 1.500 riconosciute al mondo.
http://web.uniroma1.it/ortobotanico

Orto botanico di Siena
Specializzato nella flora ofioliticola, la flora che cresce sui terreni più aridi in cui su si trovano spesso associati metalli tossici. sims.unisi.it/musei/mb

Orto botanico di Viterbo
Il migliore in Italia per conoscere le piante “succulente” (Aloe, Agave, Dasylirion Yucca). ortobotanico.unitus.it

Giardini Trauttmansdorf
Hanno ottenuto il titolo di Parco più bello d’Italia (2005) e di Giardino internazionale dell’anno (2013) in virtù del loro spirito innovativo e per il connubio unico di natura, cultura ed arte. Sono divisi in Boschi del Mondo, Giardini del Sole, Giardini acquatici e terrazzati, Paesaggi dell’Alto Adige.
trauttmansdorf.it

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