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Cultura e scienza / Attualità

Gerard Russell. Le religioni non sono minacce

Gerard Russell. Ha ricoperto incarichi diplomatici di primo piano per l'Inghilterra e le Nazioni Unite

Il Medio Oriente è custode dei “regni dimenticati”, culti millenari perseguitati dai monoteismi. Ieri come oggi. Un ex diplomatico britannico li ha incontrati, studiati e raccontati

Tratto da Altreconomia 191 — Marzo 2017

Gerard Russell è nato negli Stati Uniti, nel 1973. Nella sua vita -dopo la laurea a Oxford in lingue classiche e filosofia antica- ha fatto il diplomatico, il viaggiatore, lo scrittore. Ha studiato l’arabo e il persiano, divenendo portavoce del Regno Unito per i canali d’informazione in lingua araba (i suoi genitori erano inglesi). Ha svolto missioni anche in Iraq e in Afghanistan. Poi, nel 2014, ha dato alle stampe un libro intitolato “Regni dimenticati”, che nel 2016 l’editore Adelphi ha pubblicato in italiano (traduzione di Svevo D’Onofrio) con un sottotitolo eloquente: “Viaggio nelle religioni minacciate del Medio Oriente”. Si tratta di resoconti appassionati di vent’anni di incontri, relazioni e ricerche -soprattutto solitarie- su gruppi religiosi secolari che i grandi monoteismi hanno confinato e combattuto dal Nord dell’Eufrate fino a Persepoli, in Iran. Racconta i mandei e la loro cerimonia sacra del battesimo, i copti e i loro 210 giorni di digiuno all’anno, gli yazidi e lo stigma millenario d’essere “adoratori del diavolo” che li insegue. Ma non è la rassegna teologica di culti (sette, in totale), quanto un manifesto di profonda apertura culturale che si propone anche di “rammentare quello che i terroristi vogliono farci dimenticare”.

Signor Russell, com’è nato questo libro?
GR L’idea è nata nel 2006, quando mi trovavo a Baghdad in missione diplomatica. Incontrai un sommo sacerdote di un’antica setta religiosa di cui non avevo mai sentito parlare, i mandei.
Credono in un paradiso ma lo chiamano il “mondo della luce”, il loro spirito maligno è femminile (Ruha), riveriscono un poeta di nome Giovanni, in certi riti parlano l’antica lingua di Babilonia e celebrano la domenica come giorno festivo.
Fu straordinario incrociare un superstite tanto lontano in mezzo a una scena così tipica del ventesimo secolo. Tra filo spinato e attentati suicidi.

Le analogie tra le culture millenarie sono tantissime. L’“Angelo pavone” yazida, il demone mandeo “Dinanukht” che è mezzo uomo e mezzo libro e “siede in riva all’acqua in mezzo ai mondi leggendo se stesso”. C’è qualcosa che possiamo imparare “noi” da “loro”?
GR Sì. Io sono cristiano, devo dire, e non propongo di convertirsi in mandeo o druso (che comunque non consentono la conversione…). Però penso che possiamo imparare alcune cose da questi “regni”. La prima è la convivenza con l’Islam, un messaggio che sembra particolarmente importante alla luce degli eventi attuali. Un’altra è che a volte queste religioni conservano idee filosofiche che il mondo occidentale ha dimenticato e che sono degne di essere ricordate, e che invece gli aridi dibattiti teologici occidentali rimuovono. Alcuni di questi gruppi mediorientali credono, come i cristiani, che sia possibile essere al tempo stesso umano e divino; è interessante incontrare questa convinzione in un contesto così diverso. Sia il cristianesimo sia queste fedi hanno preso molto dalla filosofia greca e quindi hanno un patrimonio comune con “noi”, e che potrebbe essere difficilmente colto da un osservatore distratto.

A proposito dell’Iraq. A martoriare quella terra hanno contribuito anche i “nostri” interventi armati. Quali effetti hanno avuto sulle minoranze religiose?
GR La guerra ha danneggiato la causa delle minoranze anziché favorirle. Direi che siamo stati più bravi a buttare giù al posto di costruire. Abbiamo dimenticato quanto fosse difficile costruire un Paese.
Siamo andati in Iraq nella convinzione che avremmo potuto offrire ai suoi abitanti un governo migliore, senza in realtà comprendere la sua politica o la sua cultura. L’invasione recente ha incentivato un’emigrazione massiccia di cristiani e mandei dal Paese, precipitato in una guerra civile. Non so se abbiamo imparato. La premier britannica Theresa May sembrava aver voltato le spalle a questo tipo di intervento. Spesso, però, i politici sono tentati dall’idea della “guerra giusta”. Concetto che non condivido.

“Sarebbe bello se la diplomazia cercasse sempre di capire la cultura degli altri. L’ignoranza degli altri non è nuova; ma mai prima d’ora le persone sono state così ignoranti della loro ignoranza”

Come si relaziona il sedicente “Stato islamico” con queste storie e tradizioni?
GR Lo Stato islamico truffa la storia. Ha tratto soltanto un frammento della storia islamica, che è la sua brutalità. I califfi del passato si mostrarono spesso come esseri crudeli, ma ebbero anche il merito di sostenere l’arte, la scienza e la diversità religiosa, anche incoraggiandola. Un millennio fa a Baghdad, atei e pagani erano impiegati dello Stato. Lo scenario cui si appellano, in realtà, era molto più complesso e più ricco della barbarie semplicistica di Daesh.

La “sua” diplomazia è attenta alle culture altrui. Quanto manca questo approccio nei tempi che stiamo vivendo?
GR Sarebbe bello se la diplomazia cercasse sempre di capire la cultura degli altri. I moderni mezzi di comunicazione hanno prodotto però l’illusione che tutti siano in grado di capire gli altri alla perfezione, pur senza conoscere la loro lingua, la loro cultura, la loro nazione. Ma quando leggiamo le persone attraverso i tweet o un blog noi li stiamo comprendendo solamente a un livello superficiale; comprendiamo soltanto coloro che parlano inglese, e che non riflettono necessariamente il punto di vista della maggioranza. L’ignoranza degli altri non è nuova; ma mai prima d’ora le persone sono state così ignoranti della loro ignoranza.

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