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Esteri / Approfondimento

Le assicurazioni che investono (ancora) nel carbone. Il caso Generali in Polonia

Turow Coal Mine, Polonia

Il colosso italiano ha un ruolo di primo piano nella copertura assicurativa delle più importanti centrali a carbone polacche, tra le più inquinanti d’Europa. È quanto rivela “Dirty Business”, report lanciato dalla rete internazionale Unfriend Coal, di cui fanno parte anche Greenpeace e Re:Common

C’è un Paese in Europa che invece di dismetterlo, sta aumentando l’estrazione e l’impiego del carbone come fonte energetica: è la Polonia. Ci sono delle assicurazioni senza le quali lo sviluppo di progetti così inquinanti non sarebbe possibile, o lo sarebbe solo in parte; tra queste compagnie c’è pure l’italiana Generali. Questo corto-circuito ambientale ce lo racconta Dirty Business, la nuova pubblicazione della rete internazionale Unfriend Coal, di cui fanno parte tra gli altri Greenpeace e Re:Common, partendo da un dato quanto mai significativo: dal 2013 le assicurazioni hanno sottoscritto almeno 21 contratti di copertura dei rischi (Generali ne ha siglati otto) e investito fondi per 1,3 miliardi di euro.

In Polonia si brucia sia antracite sia lignite, quest’ultima è la tipologia di carbone più inquinante, impiegata nelle centrali di Ze Pak, Bełchatów e Turów. A pochi chilometri dai confini con Germania e Repubblica Ceca, Turów usa 7,5 milioni di tonnellate di carbone l’anno. E se l’Unione europea ha in programma di decretare lo stop definitivo al carbone entro il 2030, val la pena ricordare che la centrale continuerà a inquinare almeno fino al 2044, sempre che i suoi gestori non siano costretti a cambiare idea prima. Come è facile immaginare, la centrale di Turów ha pesanti impatti transfrontalieri, in primis sulla qualità dell’acqua potabile di ben 30mila persone.

Il Leone di Trieste, insieme a AEGON, Allianz, Aviva, Nationale Nederlenden e AXA possiede l’8,6% della PGE. La principale compagnia energetica polacca ha in programma di aumentare di 5 GigaWatt la produzione legata al carbone. L’impianto di Opole, che già emette 5,8 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, passerà così da 1.532 a oltre 3.000 MegaWatt. Altri 5 GigaWatt saranno sviluppati da altre aziende locali. Ammonta invece a 2,2 miliardi di tonnellate il totale della lignite che sarà estratta da nuove miniere a cielo aperto.

Tra le molte cifre menzionate in Dirty Business, una lascia esterrefatti: 5.830 morti premature dovute alla polvere nera tra Polonia e paesi vicini. La stima, per difetto, è stata redatta nel 2016 dal WWF e da altre associazioni ambientaliste. Ma a fronte di tutte queste indicazioni così esplicative, il governo e le imprese polacche tirano dritte per la loro strada, di fatto minando “preventivamente” i risultati della 24esima Conferenza delle Parti sul Clima (COP24), che si terrà il prossimo dicembre a Katowice, a una centinaio di chilometri di distanza dalla centrale di Opole. “Con i suoi programmi così aggressivi, il comparto carbonifero polacco sta compromettendo gli sforzi globali per combattere i cambiamenti limatici”, lancia il grido di allarme Kuba Gogolewski della Ong polacca “Sì allo Sviluppo No alle Miniere”. “Le compagnie che lo assicurano e finanziano non si possono più nascondere, devono agire in maniera decisa e rivedere i loro piani se vogliono preservare la loro reputazione”, aggiunge Gogolewski.

In realtà qualcosa nel ramo delle assicurazioni si sta iniziando a smuovere. Axa, Zurich e SCOR hanno già annunciato una serie di restrizioni di carattere “ambientale” in merito alla sottoscrizione di nuove polizze. Swiss Re dovrebbe fare lo stesso a breve. Le già citate società sono inoltre tra le 15 che hanno disinvestito per 16 miliardi di euro dall’industria del carbone. Evidentemente i conti salatissimi da pagare a causa dei disastri naturali legati al surriscaldamento globale stanno iniziando ad avere un impatto sui consigli direttivi delle grandi assicurazioni globali. E Generali che cosa fa? Per ora non sembra voler seguire l’esempio virtuoso di grossi competitor come Axa e Zurich. Ma chissà se una accurata lettura di Dirty Business non possa far cambiar idea al management del Leone di Trieste.

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