Esteri / Intervista
“Gaza è tritata. Il papa ci chiamava ogni giorno”. Intervista a padre Gabriel Romanelli

Argentino come Jorge Bergoglio -che ha conosciuto quando era arcivescovo di Buenos Aires- Romanelli è missionario e parroco dell’unica chiesa cattolica della Striscia. Con i droni che ronzano sopra le loro teste ci racconta il rapporto quotidiano con Francesco, la devastazione “dantesca” e l’angoscia patita dai più piccoli. “Tutto questo deve fermarsi”
Padre Gabriel Romanelli, 55 anni, è stato probabilmente il primo al mondo a celebrare una messa funebre per papa Francesco, lo stesso giorno in cui è morto, il 21 aprile scorso. Argentino come lui, è missionario e parroco dell’unica chiesa cattolica della Striscia di Gaza, la Chiesa della Sacra Famiglia. Ma è diventato famoso, perché quasi ogni sera, dal 9 ottobre 2023 -cioè due giorni dopo l’attacco di Hamas contro Israele e l’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza- ha ricevuto una telefonata proprio dal papa. Lo abbiamo intervistato.
Buongiorno padre, può parlare?
GR Sì, abbiamo un drone sopra le nostre teste, ma possiamo procedere.
Com’è la situazione?
GR Molto brutta, purtroppo. Ci sono bombardamenti tutto il tempo. Noi stiamo bene, però i bombardamenti si sentono e a volte arrivano delle schegge e il fumo delle esplosioni. È veramente tutto dantesco.
Quanti siete normalmente nella parrocchia di Gaza?
GR Su 2,3 milioni di abitanti di Gaza, prima della guerra, come cristiani eravamo 1.017, tra ortodossi e cattolici. Di questi 135 erano cattolici. Durante la guerra, purtroppo, abbiamo perso 49 persone, 20 di morte violenta, cioè a causa dei bombardamenti e dei cecchini. Due di loro sono morte qui dentro la chiesa, due donne. E gli altri 29 per mancanza di cure mediche, tanti erano feriti o alcuni erano molti anziani. Quindi, 49 significa che il 5% della comunità cristiana di Gaza è morta durante questa guerra. La nostra parrocchia si è convertita in un rifugio dopo il 7 ottobre 2023, anche se non c’è nessun posto sicuro in tutta la Striscia di Gaza.
In questo momento quanti siete dentro la chiesa?
GR Ora siamo 500 persone, che per la maggior parte appartengono alla comunità greco-ortodossa, 100 sono cattolici. Inoltre 58 persone sono fedeli musulmani con disabilità e che stanno con le suore di Madre Teresa. Cerchiamo di fornirgli il necessario per vivere, cibo, acqua e medicinali. Grazie alla Chiesa, soprattutto al cardinale Pierbattista Pizzaballa, il patriarca latino di Gerusalemme, siamo riusciti ad aiutare decine di migliaia di persone, anche i nostri vicini musulmani, con del cibo prima di tutto.
Come fate ad avere del cibo?
GR Durante la guerra, la Chiesa è riuscita a ottenere i permessi delle autorità israeliane per fare entrare aiuti umanitari. Purtroppo in questo ultimo mese, da quando è finito il cessate il fuoco, però, non siamo riusciti ad avere altro. Stiamo usando tutto quello che abbiamo, razionandolo.
E quanto potete andare avanti?
GR Non lo sappiamo, perché dipende dal bisogno delle persone fuori. Ci sono sempre più persone che devono abbandonare le tende e le case, oppure che subiscono ruberie nelle loro case, quindi dipende da quanti sono e dalle loro esigenze. Forse ne abbiamo per qualche settimana, ma non so dire con precisione.
Venendo alla sua relazione con papa Francesco, com’è iniziata, quando l’ha conosciuto?
GR L’ho conosciuto quando era arcivescovo di Buenos Aires, mentre io ero sacerdote, ma l’ho visto solo una volta e l’ho salutato. La conoscenza personale è nata dopo che è diventato papa. Lo incontrai in Egitto, facevo il missionario e in quel momento ero superiore di undici Paesi in Medio Oriente e Africa. In Egitto mi diede la sua benedizione e mi incoraggiò in diverse missioni che avevo in mente e a cuore di fare. Poi lo ritrovai a Roma, a Gerusalemme e a Gaza ha continuato a chiamarci.
Già prima di diventare papa era legato alla parrocchia di Gaza?
GR No, solo dopo essere diventato papa, ma già da prima che io diventassi parroco di Gaza. Quando sono arrivato, è continuato il rapporto che aveva con la parrocchia. Per esempio, durante la guerra del 2021, che è stata forte, ma niente a confronto di questa, chiamava e ci dava la sua benedizione. Invece, da quando è iniziata questa guerra, ci ha chiamato dal 9 ottobre 2023 ogni giorno, a volte anche più di una volta. Anche quando è stato ricoverato chiamava quando poteva e pure quando è tornato a Santa Marta.
E che cosa vi diceva?
GR Ci dava animo e ci incoraggiava a continuare a servire. Ci chiedeva di proteggere i bambini, di non avere paura di continuare a fare del bene, ci ringraziava per quello che facevamo da missionari e noi gli raccontavamo l’aiuto che davamo a migliaia di famiglie. Abbiamo aperto un dispensario esterno e uno interno, curato persone anziane e dei feriti, sia interni sia esterni del quartiere, e lui ci chiedeva sempre come stavano. Nel tempo abbiamo fissato l’orario della chiamata, alle otto per noi, alle sette per l’Italia. Era l’ora del papa, le persone della comunità lo sapevano e portavano i bambini o i loro sentimenti, a volte gli dicevano “Stiamo male, stiamo tristi” e lui aveva imparato a conoscerli per nome. A volte venivano gruppi di giovani o delle famiglie a chiedergli una benedizione speciale. Una famiglia, per esempio, aveva una bambina piccolissima con un problema gravissimo all’intestino, i genitori erano disperati perché il sistema sanitario qua è crollato e doveva essere operata senza anestesia. Hanno chiesto la benedizione al papa e la bambina dopo è stata meglio: non dico che sia un miracolo, però la bambina è stata meglio e sono tornati per ringraziarlo. Lui diceva “Voglio che sentiate che non siete soli, che la Chiesa è con voi” e le persone l’hanno capito. Tanti giovani mi hanno detto che già solo sentire la sua voce per loro era un sollievo.
Non è molto comune che il papa chiami una piccola parrocchia infatti.
GR Per niente. Ci rendiamo conto e abbiamo sempre saputo che era una cosa assolutamente straordinaria. Non so se ci sia stato un precedente nella storia, perché per più di un anno e mezzo ci ha chiamato ogni ogni giorno, salvo rare eccezioni.
Come ha saputo della sua morte?
GR Eravamo nella chiesa greco-ortodossa per scambiarci gli auguri di Pasqua, non avevamo internet e un laico si è avvicinato al parroco greco per dirgli qualcosa. Lo aveva scoperto leggendo le notizie provenienti dalla Russia. A quel punto siamo tornati nella nostra chiesa, erano tutti commossi e tristi, e i nostri vicini musulmani ci hanno fatto le condoglianze. Abbiamo recitato il rosario con tutta la comunità e il lunedì dell’Angelo, quando è morto, abbiamo celebrato in maniera solenne la messa funebre. In seguito ci siamo scambiati le condoglianze, secondo l’usanza araba, con un caffè amaro e parole di conforto pronunciate dai principali rappresentanti delle famiglie cristiane e dai sacerdoti.
Avete fatto una tenda, secondo l’usanza araba?
GR Sì, abbiamo fatto quello che si chiama “la casa della consolazione”, ma soltanto per i rifugiati, con la guerra non potevamo aprire e ricevere tutti.
Quando lo aveva sentito l’ultima volta?
GR Il giorno prima di Pasqua. È stata una chiamata breve, ci ha ringraziato per le nostre preghiere, ha chiesto come stavamo, come stavano i bambini e poi ci ha assicurato le sue preghiere e ci ha benedetto.
Di tutte le cose che le ha detto, quale l’ha colpita di più?
GR Forse, nei momenti più gravi di bombardamenti, il fatto di dirci “Grazie, coraggio, non siete soli, continuate a fare del bene, a proteggere i bambini e le persone”. E poi il fatto che, pur essendo il papa, si prendesse cura di questo piccolo gregge, così esiguo numericamente parlando. Al papa interessava ogni persona umana, specie se malata o sola. Il suo ultimo messaggio “Urbi et orbi” è come il suo testamento in questo senso: ha chiesto la fine della guerra di Gaza, ha parlato ancora una volta della sofferenza della nostra comunità cristiana, ha chiesto la liberazione degli ostaggi, l’ingresso di aiuti umanitari, la pace per la Palestina e Israele. È stata una perfetta sintesi del suo pontificato, dei suoi desideri e di tutto il suo impegno per la pace e la giustizia.
Lei potrebbe uscire da Gaza?
GR No, ora è impossibile, è tutto chiuso. E poi adesso il bisogno è qui. Il santo padre mi aveva invitato di persona, a inizio febbraio, al summit sull’infanzia presso la Città del Vaticano. Ma non sono riuscito a uscire e ho inviato un contributo video.
Che cos’è in assoluto la cosa che manca di più, oltre alla pace, naturalmente, a Gaza?
GR Avrei detto la pace, ma nel senso di dare alle persone un segno chiaro che potranno vivere nella loro terra. Sono più di due milioni di persone e questa è la cosa che li angoscia tutti. E poi il cibo: i latticini, la verdura e la frutta non ci sono, non si trova acqua potabile e i medicinali.
Voi avete acqua?
GR Sì, ma non tanto buona, abbiamo rincominciato a purificarla. Avevamo riempito due tank poche settimane fa, ma l’interno ora è verde. La farina ha i vermi fin dall’inizio della guerra, per cucinare dobbiamo setacciarla due o tre volte e noi non siamo nelle condizioni peggiori. Quando il papa ha detto che la sofferenza di Gaza è inimmaginabile ha detto il vero. L’altro giorno, mentre andavo all’ospedale Al-Ahli, che è stato bombardato, a trovare due della nostra comunità che erano lì, ho visto delle persone che facevano il caffè di lenticchie. A pochi chicchi di caffè aggiungevano lenticchie tostate. L’ho raccontato a un anziano e mi ha detto: “Io fumo sigarette di foglie di more. Le sigarette costano troppo dall’inizio della guerra e quindi prendo le foglie di mora e le faccio seccare. Fanno male o bene, non so”. E altre cose inimmaginabili. Quindi, manca di tutto, ma la cosa che manca di più è che si fermi tutto questo, che si dia un segno di speranza alle persone e un aiuto massiccio per ripulire le strade, rifarle. Gaza è tritata.
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