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Ambiente / Attualità

A caccia di gas nell’Artico. Il ruolo di Intesa Sanpaolo

Intesa Sanpaolo sarebbe pronta a finanziare un gigantesco progetto fossile nell’Artico siberiano: Arctic Lng-2, guidato dal più grande produttore privato di gas russo, Novatek. Una volta a regime, l’impianto sarà in grado di produrre 19,8 milioni di tonnellate di gas liquefatto all’anno. Gli impatti sul clima potrebbero essere incalcolabili

Intesa Sanpaolo è pronta a finanziare un gigantesco progetto fossile nell’Artico siberiano. Lo ha comunicato alla stampa il presidente della divisione russa dell’istituto torinese, Antonio Fallico, aggiungendo che sarebbero in arrivo contratti del valore di oltre 2 miliardi di euro per società italiane.
Si tratterebbe del secondo progetto estrattivo nell’artico russo finanziato da Intesa in pochi anni, dopo quello di Yamal LNG, realizzato grazie a un prestito di 750 milioni di euro elargito dalla banca e garantito da SACE, l’agenzia di credito all’export italiano.

Arctic Lng-2 è un progetto di estrazione e liquefazione di gas fossile, guidato dal più grande produttore privato di gas russo, la Novatek, che vede coinvolte altre big del settore tra cui la francese Total, la China National Petroleum Corporation e la Saipem, partecipata di Eni. Una volta a regime, l’impianto sarà in grado di produrre 19,8 milioni di tonnellate di gas liquefatto all’anno, estratto dagli immensi giacimenti nascosti al di sotto della calotta artica. Trasformato in forma liquida, il gas verrebbe trasportato su navi verso i mercati asiatici ed europei, attraverso le rotte marittime che lo scioglimento dei ghiacci sta via via aprendo. I costi totali del progetto si aggirano intorno ai 27 miliardi di dollari.

Qualora il progetto Arctic Lng-2 entrasse a regime, gli impatti sul clima sarebbero incalcolabili. Secondo lo US Geological Survery, la regione artica di competenza russa contiene 45mila miliardi di metri cubi di gas fossile, ovvero circa un quarto delle riserve (recuperabili) globali.
Queste risorse fanno dell’Artico la nuova grande frontiera dell’industria fossile, il cui sfruttamento potrebbe garantire la produzione di gas per diversi decenni a venire. Una minaccia gravissima per il Pianeta, resa ancora più grave dal fatto che il gas liquefatto provoca impatti sul clima pari se non addirittura peggiori a quelli del carbone, a causa delle perdite di metano che avvengono durante le fasi di lavorazione e trasporto. Inoltre, viste le condizioni ambientali estreme della regione, i rischi di incidenti sono elevatissimi. Un’agenzia governativa statunitense ha calcolato che il rischio di spill associato a progetti estrattivi nell’Artico si aggira intorno al 75%. Sempre per via delle caratteristiche del territorio, le operazioni di bonifica, sempre complicatissime, risulterebbero pressoché impossibili da portare a termine. Il risultato è che un incidente causerebbe danni irreparabili per gli ecosistemi artici.

In passato, Intesa Sanpaolo aveva già partecipato al finanziamento di alcuni progetti di spicco nel settore del gas russo, tra cui i gasdotti Blue Stream (che collega Turchia e Russia) e North Stream (tra Russia e Germania). Tuttavia, di recente il coinvolgimento della banca torinese nel comparto energetico russo si è fatto sempre più rilevante. A gennaio del 2015, Intesa raggiunge un accordo con Gazprom, la più grande compagnia russa, per un finanziamento di 350 milioni di euro. È la prima volta che il colosso russo si rivolge all’istituto italiano, piuttosto che ai suoi tradizionali partner finanziari, come Deutsche Bank o JP Morgan. L’anno successivo è la volta del Yamal LNG, un mega progetto di estrazione e liquefazione di gas nell’artico siberiano guidato dalla russa Novatek, verso cui Intesa elargisce un finanziamento da 750 milioni di euro, nonostante la società fosse soggetta alle sanzioni imposte dopo l’invasione della Crimea.

È però durante il processo di privatizzazione della Rosfnet, compagnia petrolifera russa controllata dallo stato e anch’essa sottoposta a sanzioni, che Intesa Sanpaolo compie il salto di qualità. La banca accetta di fare da agente di garanzia delle azioni della Rosfnet, e approva un prestito record di 5,2 miliardi di euro nei confronti del consorzio interessato all’acquisto del 20% della società russa. L’affare desta parecchie perplessità, sia all’interno del mondo finanziario che tra le autorità europee e americane per via di possibili violazioni delle sanzioni contro la Russia. A detta dei principali analisti finanziari internazionali, accettando di prendere parte ad un affare così controverso, Intesa si è definitivamente guadagnata la fiducia del Cremlino. Non a caso, subito dopo la firma dell’accordo, il numero uno di Intesa Russia, Antonio Fallico è stato insignito dell’Ordine dell’Onore da Vladimir Putin in persona.

Quella di Intesa come partner finanziario del nuovo progetto Arctic Lng-2 non è dunque una scelta contingente da parte del Cremlino, bensì la prova del consolidamento di una relazione tra Mosca e Torino che si è fatta sempre più stretta. Intesa non è però l’unica società italiana a beneficiare da questa partnership. Come nel caso del precedente progetto artico, Yamal Lng, alla cui realizzazione hanno partecipato circa 20 imprese italiane specializzate nell’oil&gas, lo stesso potrebbe avvenire per Arctic Lng-2. La prima ad assicurarsi una fetta importante della torta è stata la Saipem, alla quale è andata una commessa da 1,1 miliardi di euro per la costruzione delle tre piattaforme sui fondali artici su cui verranno installati gli impianti per la liquefazione del gas estratto. A testimonianza del suo valore strategico, la firma del contratto tra Saipem e Novatek è avvenuta a Palazzo Chigi, presenziata dall’allora ministro dello Sviluppo economico, Luigi di Maio e dell’ambasciatore russo Sergey Razov. Come a dire, va bene il contrasto ai cambiamenti climatici, purché non ci siano miliardi di rubli di mezzo.

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