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Altre Economie / Intervista

Dalla parte giusta della filiera. Altromercato guarda al futuro

Un piano industriale su tre anni che prevede investimenti, il rafforzamento del marchio e miglioramenti della logistica. Il consorzio del commercio equo si ripensa e apre a nuovi partner. Intervista al presidente Alessandro Franceschini

Tratto da Altreconomia 228 — Luglio/Agosto 2020

Prima di parlare di obiettivi economici o di nuovo piano industriale, Alessandro Franceschini, neopresidente di Altromercato dalla metà di giugno, tiene a far sentire il “nuovo tono di voce” della principale realtà di commercio equo e solidale in Italia che è stato chiamato a guidare. “Un tono forte per un messaggio di rinnovata radicalità: Altromercato ti chiede da che parte stai rispetto al caporalato, allo sfruttamento dei lavoratori, alla cura del Pianeta. Che tu acquisti prodotti in bottega, online o anche al supermercato”, tasto dolente quest’ultimo dal quale Franceschini non sfugge. È con questo “tono forte e non più neutro” che Altromercato -impresa sociale formata da 95 soci, 225 botteghe a insegna Altromercato, e che gestisce rapporti con 155 organizzazioni di produttori in oltre 45 Paesi del mondo- si affaccia sui prossimi tre anni. In mano ha un piano industriale ambizioso e in testa un’ossessione: da soli non si va da nessuna parte. Franceschini, già presidente della cooperativa Pace e Sviluppo di Treviso e di Equo Garantito, e anima della Fiera4Passi sui temi dello sviluppo sostenibile, sarà affiancato, oltreché dal consiglio di amministrazione, da Cristiano Calvi (tra i fondatori della Bottega Solidale di Genova) divenuto amministratore delegato di Altromercato dopo tre anni e mezzo di presidenza.

Alessandro partiamo dalla tua nomina. In quale contesto è avvenuta e perché?
AF Il passaggio non è un “semplice” cambio di presidenza ma una riorganizzazione coerente con la nuova impostazione che si è dato il consorzio. A inizio giugno infatti il consiglio di amministrazione, su mandato pieno dei soci, ha approvato il nuovo piano industriale e un budget rivolto ai prossimi tre anni, e non più come in passato su prospettiva del singolo anno. E volevamo per questo sancire un passaggio importante.

Qual è il piano di Altromercato e da dove arriva?
AF Il consorzio sta cercando di uscire da anni molto difficili, il trend dei ricavi è negativo e solo due anni fa ci siamo trovati di fronte a una situazione di bilancio molto complicata, a rischio irreversibilità. Il piano di lungo periodo prevede investimenti coraggiosi nel primo anno, puntando a realizzare utili da distribuire tra i soci a partire dal terzo. Non accade da 10 anni, dall’“epoca d’oro”. L’obiettivo è passare dagli attuali 29 milioni di euro di ricavi a 39 milioni, più 30% di aumento. Senza quella che abbiamo definito “serenità economica” determinata da un nuovo protagonismo sul mercato non credo possano esserci altre prospettive.

Come puntate a raggiungere quel risultato?
AF Innanzitutto attraverso un deciso rafforzamento del brand. Parlo di una strategia di marca che punti a riempire i prodotti di Altromercato di contenuti, storie ed elementi in cui un consumatore possa riconoscersi. Un aspetto valoriale che faccia capire che cosa c’è dietro un nostro prodotto con una differenziazione forte in un mercato dell’economia solidale dove oggi dobbiamo quasi sgomitare.

Messa così potrebbe sembrare “solo” comunicazione. Invece?
AF È una politica di marca: nel “nostro mondo” le campagne o la promozione del brand sono sempre state viste come semplici iniziative di comunicazione o pubblicità. Invece questo è un tema trasversale, direi apicale. Il nostro è un marchio molto complesso: è un marchio di prodotto, un marchio di filiera, un marchio di attivismo, di movimentismo, culturale. È un’insegna, è co-branding con partner industriali, è un nome e un oggetto sociale, è un marchio di e-commerce. Vogliamo che questa complessità e distintività di marchio e identità diventi il driver dei prossimi anni e influenzi tutte le scelte e politiche della società.

95 sono i soci di Altromercato, impresa sociale che conta 225 botteghe e che gestisce rapporti con 155 organizzazioni di produttori in oltre 45 Paesi nel mondo

L’interlocutore è il consumatore?
AF Certamente: è lui che deve riconoscersi e sentirsi parte di un sistema, fare proselitismo positivo. È quello per cui siamo nati 30 anni fa. Negli anni scorsi invece abbiamo cercato di raggiungere il maggior numero di consumatori con un messaggio neutro: “I nostri prodotti sono belli e buoni”. Ci siamo resi conto che è un messaggio debole. Non racconta quello che sei, non ti identifica e non ti differenzia. Vogliamo recuperare quella radicalità del messaggio. Altromercato ti chiede da che parte stai su diritti, sul lavoro, sull’ambiente. Sicuramente allontanerà qualcuno ma siamo convinti che ci sia grande parte della popolazione italiana sensibile ad aspetti sociali e ambientali, consumatori in crescita cui vorremmo rivolgerci di più e meglio.

Da solo il consorzio può farcela?
AF No. Per questo rafforzeremo e avvieremo collaborazioni non più secondo una logica amicale ma industriale. La gran parte dell’aumento previsto di fatturato è prevista nei canali di partnerariato con gruppi industriali che vogliano acquisire prodotti e materie prime da filiere Altromercato: Ferrero (già in corso da qualche anno sullo zucchero delle Mauritius), Parmalat, Esselunga, Loacker.

E sul fronte delle collaborazioni “identitarie”?
AF Rispetto al mondo della cultura e dell’università abbiamo appena sottoscritto un protocollo con i tre Magnifici Rettori di Genova, Torino e Piemonte orientale per un progetto comune di sostegno alla ricerca sul commercio equo da sottoporre alla Compagnia di Sanpaolo. Collaboriamo con prospettive strategiche anche con Ecor NaturaSì e alla prossima assemblea dei soci di novembre porremo il tema di soggetti finanziatori che potrebbero entrare nella compagine sociale. Alcuni sono percorsi di avvicinamento “industriale”, non per forza di affinità, altri più valoriali. È scontata la collaborazione con Equo Garantito, l’associazione di categoria delle organizzazioni di commercio equo e solidale italiane.

E sui prodotti a marchio che cosa succederà?
AF Interverremo sull’assortimento focalizzandoci sulle categorie che più ci rappresenteranno e per le quali vediamo più spazio di mercato. Penso alle tre filiere di cacao, caffè e zucchero. Svilupperemo le gamme e spingeremo nuove linee di prodotto, lasciando come complemento l’alimentare e la cosmesi. Dismetteremo le categorie non più strategiche e identitarie.

Che cosa succederà sul versante delle botteghe?
AF Da due anni stiamo portando avanti un progetto ambizioso di sistema per ottimizzare la logistica e gli ordini. Il movimento del commercio equo e solidale oggi ha sovrapposizioni antieconomiche. Faccio un esempio: abbiamo quattro o cinque importatori che comprano gli stessi presepi e li vendono con diverse piattaforme informatiche alle stesse botteghe. È sostenibile? No. Con il progetto Hub che sarà operativo da settembre nel magazzino di Verona di Altromercato confluiranno i magazzini di diverse realtà, così che le botteghe possano acquistare una volta sola con un software comune e ricevere un’unica spedizione. Partiremo con quattro realtà:  EquoMercato, progetto Quid, Meridiano 361, AltraQualità. A tendere nel giro di un anno alcuni di questi soggetti ridurranno o addirittura chiuderanno i propri magazzini.

Una logistica garantita “solo” alle botteghe?
AF No: in prospettiva vorrebbe garantire sia l’assortimento alle botteghe (non food) sia la vendita al consumatore tramite piattaforma e-commerce. Entreranno i prodotti dell’economia carceraria, Girolomoni, Libera Terra, Valdibella. L’Hub mira alla semplificazione e all’ottimizzazione delle risorse. Altromercato non coprirà più la moda perché sarà fatta dai conferenti Quid e Altraqualità. Smobilitiamo? Niente affatto: l’unità retail di Altromercato curerà la regia della collezione e dello sviluppo del prodotto. Un processo virtuoso che fa risparmiare al sistema enormi risorse.

Avete proposto ai soci di rivedere anche l’attuale “politica degli sconti”.
AF L’alleanza rete distributiva Altromercato (Arda) è il patto tra soci e centrale che disciplina come vengono distribuite le risorse. Non solo una tabella degli sconti ma i criteri con cui il sistema si pone di fronte al mercato. Negli ultimi quattro anni il sistema degli sconti funzionava a volume. Puntiamo a superare questo approccio inefficiente introducendo due criteri nuovi oltre il volume: reciprocità -con premialità rispetto a prodotti identitari- e capacità di integrazione -promozione, assortimento, layout, ingresso dei prodotti nuovi-. Una sorta di franchising in chiave decisamente “nostra” che punti a una maggiore integrazione della rete. La biodiversità del nostro mondo è stata un grande vantaggio ma anche una zavorra che ci ha impedito di fare politiche efficaci.

Mal di pancia assicurati?
AF Sicuramente, ci sono già. Dopo la grande crisi del consorzio del 2018 però abbiamo deciso insieme, con forte mandato dei soci, di guardare dentro alle ragioni delle nostre difficoltà. E questo piano industriale è il risultato e vogliamo fortemente raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. So che una parte del movimento ha ancora perplessità verso la grande distribuzione organizzata -settore che ha letteralmente tenuto in piedi il consorzio durante la pandemia, faccio notare, dato l’azzeramento della ristorazione scolastica e le fatiche delle botteghe-. A ogni seminario o webinar salta fuori l’argomento, Amazon incluso, in una specie di narrativa negativa interna. Ma noi stiamo cercando di fare e proporre scelte di lungo periodo che raggiungano i consumatori, tutelino i nostri produttori, siano sostenibili e volontarie che non precludano in alcun modo lo sviluppo ai soci che non ci volessero stare.

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