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Le buone politiche del cibo che fanno crescere le città

Amministrazioni locali o gruppi di cittadini sperimentano nuovi percorsi per connettere gli spazi urbani a quelli rurali, per una gestione sostenibile e senza sprechi delle filiere alimentari. Il nostro viaggio da Torino a Matera

Tratto da Altreconomia 214 — Aprile 2019
Una festa nella città di Ede (Olanda) che ha ottenuto il "Milan Pact Awards" 2017 per la sua innovativa strategia alimentare © 2015 Floris Heuer - flickr

Può sembrare curioso, ma quando si è a Matera le politiche del cibo passano da un piatto di orecchiette con le rape. O da una forma di pane “firmata” con il timbro di un artigiano locale. “Il cibo è il prodotto simbolico dell’intesa tra città e campagna -dice Mariavaleria Mininni, architetto e paesaggista dell’Università della Basilicata-. In questa relazione possiamo indagare come i soggetti rurali partecipano alle dinamiche urbane”. È l’idea su cui si basa la politica del cibo di Matera, per capire come si nutre la città, ma anche i suoi “abitanti temporanei”, come li chiama Mininni: “I viaggiatori, oltre che i cittadini, esercitano un grande potere nei confronti della produzione del cibo e del paesaggio agricolo di una località turistica”. Un ruolo che non va trascurato, perché “la richiesta di prodotti locali -il pane di Matera, il canestrato- può valorizzare il territorio coinvolgendo chi il cibo lo produce”.

La politica del cibo materana ha l’obiettivo di sostenere queste filiere alimentari locali in un dialogo con la dimensione urbana e gli enti locali, verso pratiche alimentari sostenibili. “L’obiettivo è arrivare a costruire in modo partecipato una ‘Carta del cibo’, che rafforzi una filiera più stretta tra la produzione e il consumo, valorizzando la sobrietà e il pensiero critico”, dice Mininni, che con l’Università sta lavorando alla costruzione dell’Atlante del cibo Matera, una piattaforma open source per approfondire le tematiche alimentari attraverso sei interpretazioni: città, paesaggio, spazio aperto, produzione, risorse e società. Temi che stanno trovando ampio spazio, e fondi, anche nell’anno della Capitale europea della Cultura, in progetti come “Breadway. Le vie del pane”, “Architettura della vergogna” -sugli spazi rurali, a partire dalla parabola dei Sassi di Matera, definiti da Togliatti “vergogna nazionale” e oggi patrimonio Unesco- e “Gardentopia”, per trasformare in orti e giardini le aree abbandonate grazie a “un’utopia verde”. D’altra parte, la politica del cibo di Matera in senso stretto “risente di un’assenza da parte dell’amministrazione, le cui energie oggi sono tutte dedicate all’anno della cultura”, osserva Mininni, che pure è fiduciosa che questa opportunità sarà colta più avanti dagli enti locali.

Secondo Egidio Dansero, docente di Geografia economica all’Università di Torino, affinché le politiche locali del cibo funzionino davvero “è fondamentale che ci sia chi si prenda a cuore questi temi”, indipendentemente che la spinta venga dalla società civile o dalle amministrazioni. Le food policy in corso in numerose città italiane sono un tema “per nulla e del tutto nuovo”, dice Dansero, uno dei promotori della Rete italiana politiche locali del cibo, che connette chi si occupa di ricerca su questi temi. “Se pensiamo alla ristorazione scolastica, ai mercati, ai Gruppi d’acquisto solidale o alle iniziative antispreco, non sono temi nuovi: la novità sta nel metterli in rete grazie a diverse competenze -universitarie, istituzionali e della società civile- che uniscono la dimensione urbana e quella rurale”. Nuova è anche “la dimensione delle analisi e delle politiche sul cibo: finora, infatti, ciascuno lavorava sul piano locale senza collegarlo in modo esplicito e programmatico ad altre attività, ma oggi i tempi sono maturi per un cambio di prospettiva che ci porti a una maggiore conoscenza dei sistemi alimentari che nutrono i territori, per poi intervenire e renderli più virtuosi nella pratica”. Dansero osserva come ci sia ancora molta disomogeneità tra le politiche del cibo italiane: “C’è chi ha siglato il ‘Milan Urban Food Policy Pact’, ma è ancora indietro nelle pratiche, o viceversa, chi è oggi molto attivo pur non avendolo firmato”.

Il patto alimentare milanese è un documento politico lanciato nel 2015 in parallelo alla food policy cittadina avviata l’anno prima -il percorso più strutturato a oggi in Italia su questi temi-, firmato oggi da 183 sindaci del mondo con una copertura di 450 milioni di abitanti. “Da Milano è partito un processo politico e culturale sul cibo con una rilevanza istituzionale molto forte e il messaggio è che i temi alimentari vanno affrontati nella loro complessità e interconnessione nel tessuto urbano, dalle mense alla pianificazione urbanistica, dal sistema di welfare alle politiche sui rifiuti”, osserva Andrea Calori, presidente del centro di ricerca “EStà – Economia e Sostenibilità” di Milano. La politica del cibo milanese -guidata dal Comune e sostenuta da Fondazione Cariplo- è nata chiedendosi come mangia Milano ed è un processo di lungo periodo, fondato su un primo protocollo di cinque anni dal 2015, “per collegare idealmente l’Expo di Milano a quello di Dubai 2020”, nella consapevolezza che “più che un progetto fosse necessario un processo sul lungo periodo, per essere incisivi dal punto di vista delle politiche alimentari”, continua Calori. Anche per questo, nel 2017 il Comune ha deciso di investire in un ufficio food policy, con due tecnici dedicati all’attuazione di queste politiche. Tra le ultime iniziative, c’è stata la creazione di un food hub nel quartiere Isola, per promuovere il dono del cibo e ridurre lo spreco alimentare recuperando circa 70 tonnellate di cibo l’anno. Un progetto inaugurato lo scorso gennaio che si vorrebbe estendere a tutti i quartieri.

“Il cibo è il prodotto simbolico dell’intesa tra città e campagna. In questa relazione possiamo indagare come i soggetti rurali partecipano alle dinamiche urbane” – Mariavaleria Mininni

Tra le città che ancora non hanno siglato il “Milan Urban Food Policy Pact”, ma che stanno costruendo una solida politica locale del cibo c’è Livorno, che lo scorso febbraio ha inserito -seconda in Italia dopo Torino- il “diritto al cibo” nello Statuto comunale. Il progetto “SALute – Strategia Alimentare di Livorno” incentiva un percorso partecipativo verso una democrazia alimentare che “garantisca a tutti l’accesso a un’alimentazione sostenibile, piacevole e consapevole”, spiega Giaime Berti della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e presidente del Consiglio del Cibo della città. Il progetto è stato reso possibile grazie a un cofinanziamento nel 2017 del Comune e dell’Autorità regionale per la Partecipazione. Circa cento persone stanno partecipando attivamente al percorso per definire una strategia alimentare cittadina e hanno prodotto il “Piano del cibo”, un documento per indirizzare una politica integrata del cibo.

“Ogni assessore ha dovuto prendere un impegno personale sulle pratiche rispetto a questi temi”, spiega Berti che ritiene questo “un aspetto fondamentale affinché i piani del cibo non restino solo dei bei libri dei sogni”. Quindi è stato istituito un soggetto consultivo, il “Consiglio del cibo” e si è siglato un patto di cittadinanza alimentare con il quale il Comune s’impegna a garantire il diritto al cibo sostenibile e salutare per i cittadini, ma in un rapporto alla pari: “È necessario che anche gli abitanti e le imprese facciano la loro parte per implementare questo percorso”. Per capire che passi fare in questa direzione, ci si è ispirati al percorso della città metropolitana di Torino, che nel 2015 ha avviato il progetto “Nutrire Torino metropolitana”, un’agenda strategica che ha avviato numerosi progetti di politica alimentare, finanziati con fondi europei.

La tradizione
del pane di Matera rivivrà nella prossima edizione di “Breadway”, dal 7 al 9 giugno © facebook.com/breadwaymatera/photos

Si tratta di un modello virtuoso di food policy, dove tuttavia gli enti locali non si sono ancora spesi abbastanza, secondo il professor Dansero. “Finora, chi ha investito maggiormente per raccogliere e sistematizzare le conoscenze sul sistema del cibo torinese è il mondo universitario”, dice, con un costo che si avvicina ai 150mila euro se si considerano tutte le ore di ricerca messe a disposizione del progetto. Dalla collaborazione tra il Politecnico, l’Università degli Studi di Torino e l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (TO), è nato l’Atlante del cibo di Torino metropolitana, che sta per pubblicare il terzo rapporto sulla città del cibo: una fotografia frutto di un lavoro di riflessione, ricerca e sensibilizzazione diffusa su questi temi. Perché, come dice Dansero citando Luigi Einaudi, “conoscere per deliberare: la conoscenza produce azione”.

Allo stesso tempo, “l’Università, attrice delle politiche locali del cibo, sta lavorando su se stessa in senso critico, per promuovere sostenibilità”, per esempio ripensando le forniture dei distributori automatici. Un percorso in atto anche in nove scuole secondarie di secondo grado della città metropolitana di Torino, con il progetto “Liberi di scegliere”. Un nome che esemplifica il fatto che “la qualità dev’essere un’acquisizione democratica”, come spiega Elena Di Bella, dirigente della Città metropolitana. “L’obiettivo, infatti, è riflettere sull’importanza di un cibo sano e pulito, e capire insieme come migliorarne la qualità e renderlo accessibile alle diverse fasce sociali”. In quest’ottica, si sta lavorando sulla filiera locale del mercato di Pinerolo -il secondo per dimensioni dopo Porta Palazzo a Torino, con circa 80 produttori agricoli su 450 totali- e alla creazione di un “Distretto del cibo” nell’area chierese carmagnolese -con il Comune di Santena capofila- in adozione della legge 1/2019 della Regione Piemonte che valorizza le produzioni di qualità “con un nuovo ruolo per le enoteche regionali, i distretti del cibo, le filiere agroalimentari”.

“Le politiche del cibo devono sempre avere una spinta locale e una forte condivisione tra i diversi assessorati” – Gianluca Brunori

Secondo Di Bella serve molta volontà politica per sostenere nel lungo periodo questi processi, ma il suggerimento che viene da Gianluca Brunori -professore del Dipartimento di Scienze agrarie dell’Università di Pisa, tra i primi ad avviare una food policy in Italia- è “ripartire dal piccolo”. L’esperienza del “Piano del cibo” -avviata nel 2007 a Pisa e oggi conclusa-, infatti, era iniziata con una mappatura del sistema territoriale alimentare su scala provinciale, grazie a un finanziamento regionale di 40mila euro su quattro anni. “Oggi so che sarebbe stato importante cominciare con un singolo Comune, non con tanti, per rafforzare inizialmente il piano locale e poi diffondere pratiche condivise”. Sono processi lunghi e molto differenti tra loro, continua Brunori: “C’è chi sceglie di dedicarsi alla democrazia alimentare e al superamento delle diseguaglianze sociali, chi alla valorizzazione dei prodotti tipici, chi alle politiche antispreco e all’educazione al cibo, chi all’impatto ambientale delle filiere”. Ma per avere successo e garantire un respiro più lungo dei cicli elettorali, “le politiche del cibo devono sempre avere una spinta locale, una forte condivisione tra i diversi assessorati e robuste gambe tecniche”.

Poco distante da Pisa, il Comune di Capannori (LU) da diversi anni ha iniziato a costruire un “Piano intercomunale del cibo”, aggregando altri quattro Comuni della piana: Lucca, Altopascio, Porcari e Villa Basilica, per circa 200mila abitanti. Un lungo percorso partecipativo co-finanziato dalla Regione con circa 20mila euro, in collaborazione con Sociolab di Firenze, “unico nel suo genere perché supera la dimensione comunale con una gestione associata”, spiega Silvia Innocenti del Laboratorio di studi rurali Sismondi di Pisa. Dopo una serie di eventi pubblici, la “Piana del cibo” è stata inaugurata alla fine di gennaio e ora è al lavoro “per mettere in pratica, con il sostegno dei Comuni in rete, la food policy con la società civile, attraverso il “Consiglio del cibo”, impattando sui processi amministrativi che regolano le dinamiche alimentari del territorio”. A Capannori è molto sentito il tema dell’educazione alimentare ed è già in corso un confronto con le Commissioni mensa e con gli attori della comunità educante. “Tutte queste riflessioni fatte in modo orizzontale resteranno comunque un patrimonio delle persone che hanno partecipato”, osserva Innocenti. Il tentativo, ora, è trasformare l’orizzontalità in circolarità, per riportare questi temi al piano comunale e costruire politiche che sappiano alimentare il futuro.

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