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Diritti

Firenze oggi non sogna

In giro per le vie della città che ieri ha assistito al massacro dei senegalesi da parte di un simpatizzante di Casa Pound. La gente racconta incredula della strage. Un foglio appeso alle bancarelle del mercato rimaste chiuse: "non siamo razzisti". Le storie che nessuno racconta dietro ai volti arrabbiati degli africani.

Una grande lezione di civiltà a Firenze arriva dalla comunità senegalese il giorno dopo la strage di connazionali, due morti e tre feriti che rimangono gravi. Sono arrabbiati, girano intorno a piazza Dalmazia senza pace, cercano, forse, di capire come sia stato possibile. Le bancarelle del mercato sono chiuse, un semplice foglio in bianco e nero esprime lutto, solidarietà e implora di credere ai fiorentini: "non siamo razzisti".

Mi avvicino ad un senegalese, sto per chiedergli cosa prova quando mi rendo conto della retorica di una domanda che invece dovrebbe essere posta a tutti quelli come me che si dicono sopresi, che cercano conferma che Gianluca Casseri sia stato solo un pazzo, che sono rassicurati dall’apprendere dai mezzi di informazione, veloci e superficiali come sempre, che era depresso. "Depresso", quindi si capisce, era un pazzo uno con dei problemi, non allarmiamoci troppo. Come se depressi e con dei problemi non fosse buona parte della gente che ci sta intorno. Come se i pazzi uccidessero solo le persone con la pelle scura.

Rinuncio alla domanda e accenno un sorriso, ricevendo dal "senegalese" lo stesso accenno. Lo lascio andare, oggi per fortuna piove e gli ombrelli sono la merce che traghetta verso la cena da passare chissà dove, chissà con chi. Forse a discutere con gli altri, forse a ribollire nuovamente di rabbia per l’agguato subito e per il quotidiano vagare in cerca di dignità.

Penso: ma avranno letto i giornali? Diversi oggi chiamano "vu cumprà" le vittime, ancora troppi giornalisti che, inconsapevolmente o meno, colorano la strada del razzismo con solchi di inchiostro, nonostante quella tenace minoranza che proprio qui a Firenze si batte per cancellare le "parole sporche" che creano discriminazione come dimostra il lavoro di Lorenzo Guadagnucci e Beatrice Montini

Penso anche al "giro" del killer, ai suoi amici: chissà che pensano, chissà se si vergognano o se versano una lacrima per il "vero" martire della giornata. Penso alle quasi seimila persone che su Facebook inneggiano già a "Gianluca Casseri è morto per noi". Possibile che nessuno abbia il potere di oscurarli?. Accanto a quei seimila quante decine di migliaia di brave persone che strizzano l’occhio ci sono?

Torno alla realtà. Molta gente in giro per Firenze, nei bar, nelle vie, parla incredula ancora della strage di ieri. Tanti ragazzi che ne riscorrono i particolari con il gusto del dettaglio, della tempistica, della dinamica. 

Ascolto le parole di Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese. L’ho conosciuto a Lucca durante le lotte per i diritti dei migranti a cui ha dato molto. Generoso, preparato e passionale, l’ho risentito un paio di anni fa per un’intervista sulla retorica dell’"Aiutiamoli a casa loro".

"Aiutare i paesi più poveri -mi aveva detto- è bello e umano, ma attenzione a come lo facciamo. Poi dovremmo  cercare di capire cosa si intende per aiutare, perchè ci sono varie forme di aiuto. Io ci trovo un impostazione coloniale, che si aggrava se giunge da un Paese come l’Italia che ha un drammatico passato coloniale".

Già, il passato coloniale, una delle più grandi rimozioni del nostro Paese, come se di stragi di africani non avessimo già fatte anche a casa loro o non si consumino nei cantieri e nelle campagne del Belpaese. Pape è sintetico e lucido: "otto dieci anni di politiche dell’odio, di attacchi da parte del governo che si permette di insultare gli immigrati alla televisione pubblica. Ho paura della crisi che aumenta le tensioni sociali e la politica è stata latitante. I nostri figli sono considerati stranieri, e queste persone possono approfittare di un clima avvelenato per fare atti di barbarie come è successo oggi". Chiede la chiusura della sede di Casa Pound "palestre dell’odio".

Penso a quante storie ci sono dietro questi volti oggi tristi e a quanto siano ignorate. L’informazione dovrebbe fare la sua parte e avere il coraggio di raccontarle invece che farsi colonizzare dai predicatori d’odio della politica sempre pronti a cercare consenso, solleticando gli umori più bassi della nostra civiltà in crisi. Forse invece che una massa di senegalesi, ieri ignorati e oggi "poverini", avremmo fatto in tempo a conoscere la vita dei "Mor" e dei "Modou". 

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