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Ambiente

Finanza per il clima. Quando il gioco si fa duro…

Oltre 500 miliardi di dollari all’anno per il 2020. E’ quello che indicano il World Economic Forum ed il Bloomberg New Energy Finance per fare il salto in avanti alla lotta al cambiamento climatico. Soldi necessari per ristrutturare completamente il…

Oltre 500 miliardi di dollari all’anno per il 2020. E’ quello che indicano il World Economic Forum ed il Bloomberg New Energy Finance per fare il salto in avanti alla lotta al cambiamento climatico. Soldi necessari per ristrutturare completamente il mercato energetico mondiale, riorientandolo verso un basso contenuto di carbonio. I privati fanno sentire la loro voce prima di Cancun e paradossalmente riallineano i conti finanziari a quelli dei Governi del sud del mondo, che a Copenhagen chiesero quasi 600 miliardi di dollari. La risposta, sotto gli occhi di tutti, è di 100 miliardi di dollari, né un dollaro in più né, forse, un dollaro in meno. Chi li verserà e chi li amministrerà sarà da vedere.
Ma sul tema della finanza per il clima si stanno muovendo calibri da novanta. I principali fondi di investimento finanziario hanno appena preso posizione sulla necessità di accordi chiari sul tema delle risorse per il clima: oltre 250 investitori internazionali come Allianz, Axa, Hsbc, Société Générale per citarne alcuni, assieme ai fondi pensione e agli investitori istituzionali (l’Oregon, la California), tutti riuniti nel UNEP Finance Initiative (la partnership tra UNEP e settore finanziario per valutare l’impatto dei danni ambientali e sociali sulle performance finanziarie) hanno chiesto che si chiuda una volta per tutte il "climate investiment gap".
Parliamo di oltre 15mila miliardi di dollari gestiti molti dei quali a rischio, soprattutto, per la volatilità dei mercati finanziari di fronte alle incertezze di un futuro che sta cambiando velocemente.
"Non possiamo continuare a trascinarci sul tema del cambiamento climatico", ha dichiarato
Barbara Krumsiek, presidente dell’UNEP FI ed Amministratore delegato della statunitense of Calvert Investments.
"Calvert è profondamente preoccupata degli impatti devastanti del cambiamento climatico sull’economia globale" ha continuato la Krumsiek. "Secondo il Rapporto Stern questi impatti potrebbero determinare un crollo del Prodotto interno lordo globale fino ad un 20% all’anno".
Su Cancun come momento di svolta, in verità, credono poco. Al punto che puntano sul Sudafrica per un accordo realmente vincolante, ma le richieste sono chiare ed evidenti: l’approvazione di un fast-fund (quello da 30 miliardi di dollari all’anno fino al 2012), un serio investimento sulle politiche nazionali di riduzione delle emissioni basate su misure reali, riportabili e verificabili. Ed, ovviamente, un rafforzamento ed un ampliamento del Carbon Market, in particolare i Clean Development Mechanism (CDM) che pure qualche problema lo stanno creando proprio sulla parte di reale riduzione dei gas serra e verificabilità dei risultati ottenuti, oltre che per l’impatto sulle comunità e sull’ambiente.
Non ultimo il megaprogetto indiano del Bhilangana III Hydro Power Project nel distretto di Tehri nello stato indiano del Uttarakhand che è inserito come CDM dal gennaio 2008.
Un progetto faraonico che ha già sommerso completamente 40 villaggi e parzialmente altri 72, contaminando e distruggendo le falde idriche e mettendo a rischio la stabilità idrogeologica della zona.
Eppure secondo il Protocollo di Kyoto “l’obiettivo del CDM è quello di assistere i Paesi membri non inclusi nell’Annex I della Convenzione nel raggiungere uno sviluppo sostenibile e nel contribuire agli obiettivi sostanziali della Convenzione".
Un approccio teorico che sembra sostanzialmente diverso dalla sua applicazione nei progetti reali. 
 

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