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La Francia e il feticcio del burkini

Le polemiche dell’estate 2016 sull’utilizzo della veste da bagno che copre il corpo femminile sono solo indice di un conflitto sociale che le istituzioni francesi alimentano. “Distratti dalla libertà”, la rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 186 — Ottobre 2016
La Francia e la messa al bando dei "burkini": una delle notizie dell'estate 2016

Sisco (o Siscu, in lingua corsa) è un piccolo centro del Cap corse, assurto a improvvisa notorietà nazionale e internazionale alla metà dell’agosto scorso. Niente, in verità, di cui vantarsi, perché la notizia che ha fatto breccia sui media è delle più miserevoli: una rissa nei pressi di un accesso al mare, protagonisti, da una parte, un gruppo di famiglie di origini marocchine, e dall’altra qualche decina di abitanti della cittadina. All’origine dell’episodio, secondo quanto ricostruito qualche giorno dopo dalla polizia, ci sarebbe stata una lite causata dalla “occupazione” del tratto di mare da parte delle famiglie di immigrati e dalla loro reazione -con lancio di oggetti- alle rimostranze di alcuni residenti. La rissa sarebbe scattata quando è arrivato sulla spiaggia un manipolo di abitanti di Sisco: le famiglie marocchine “occupanti” sono state costrette alla fuga, le loro automobili incendiate.

30 le ordinanze firmate da sindaci francesi per vietare il costume integrale. Il Consiglio di Stato ha giudicato e bocciato quella del Comune di Villeneuve-Loubet perché vìola “le libertà fondamentali di movimento, la libertà di fede religiosa e la libertà personale”

Sul momento era corsa voce che all’origine del diverbio ci fosse il burkini, la veste da bagno creata da una stilista per coprire il corpo delle donne secondo un principio di decenza diffuso nella cultura islamica. Alcuni passanti si sarebbero fermati a scattare fotografie dell’insolita veste, suscitando l’irritazione dei mariti e fratelli delle bagnanti. Era solo una voce, ma nell’estate scorsa in Francia il burkini è stato un autentico affare di Stato, un punto di rottura fra visioni ideologiche contrapposte. I teorici del laicismo e i pratici dell’islamofobia hanno invocato il divieto di simile capo d’abbigliamento, in nome della libertà femminile. Il sindaco di Nizza, città colpita dal terrorismo di matrice jihadista, ha emesso un’ordinanza per proibire l’uso dell’indumento sulle spiagge della città, presto imitato da altri colleghi di città balneari. Ne è nata un’ovvia contesa giuridica e politica: la prima risolta in qualche modo dal Consiglio di Stato che ha giudicato sproporzionate e illegittime le ordinanze, la seconda tuttora aperta e cruciale, col premier socialista Manuel Valls che ha dato l’avallo, tramite intervista (prima del giudizio del Consiglio di Stato), ai sindaci anti burkini.

Il dibattito in Francia è stato acceso e a tratti paradossale: difficile dimenticare le immagini dei gendarmi in divisa sulla spiaggia di Nizza che costringono una donna a togliersi veli giudicati eccessivi. E altrettanto straniante è l’ordinanza contro il burkini firmata dal sindaco di Sisco nel pieno del caso politico e giudiziario, causato dalla rissa che pure nulla aveva a che vedere col non-bikini dello scandalo.

La questione, si dirà, è puramente simbolica e politica, un modo per colpire la componente di fede musulmana della società francese e per lucrare consenso nell’affollato mercato elettorale della paura. È indubbiamente così, ma si tratta di un gioco assai pericoloso, che espone fasce cospicue di cittadini al pericolo dell’isolamento e incoraggia i gruppi più oltranzisti nel cavalcare la tigre dello scontro di civiltà e dell’islamofobia. A Sisco, il peggio si è visto nelle ore e nei giorni seguenti la rissa, quando centinaia di cittadini hanno assediato i posti di polizia e il tribunale dov’erano custoditi e ascoltati i responsabili del violento diverbio balneare, e quando un minaccioso corteo si è diretto verso i quartieri di Bastia abitati in prevalenza da persone d’origine araba, con la gendarmeria che è dovuta intervenire per evitare il peggio.

Si legge burkini e si presenta come una questione di principio e di libertà, ma sotto la superficie lavora il tarlo dello scontro sociale e della prepotenza.

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