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Cultura e scienza / Reportage

La luce di Budapest è a “Kolorádó”, il festival multiculturale che resiste nell’Ungheria di Orbán

Reportage dalle colline della capitale ungherese, dove il 19 giugno è partita la rassegna attenta alle questioni di genere e sociali, giunta alla quarta edizione. Musica di qualità ma anche laboratori sullo stile di vita rifiuti zero e proiezione di documentari. La situazione politica e sociale ungherese è il convitato di pietra, i partecipanti non hanno tanta voglia di parlarne: “Meglio non pensarci, se lo faccio sento un mix di frustrazione, vergogna e impotenza”

© Alexandra Hinkelmann

Niente posto qui per odio, sessismo, razzismo e omofobia. Così recita un cartello all’ingresso di Kolorádó, il festival musicale che dal 19 giugno si svolge in un campo scout circondato da una foresta sulle colline di Budapest. Giunto alla quarta edizione, dopo un inizio in sordina nel 2016, Kolorádó si è già affermato come uno dei piccoli festival europei più interessanti, al punto che per il secondo anno consecutivo il “Guardian” l’ha inserito tra gli eventi estivi da tenere d’occhio.

L’area in cui si svolgono le attività culturali giornaliere e pomeridiane è chiamata la scuola del bosco: dai laboratori sullo stile di vita rifiuti zero alla proiezione di documentari, a Kolorádó le occasioni per imparare e discutere non mancano. Molti laboratori hanno una forte componente sociale e femminista, si va dal teatro dell’oppresso su tematiche queer a incontri aperti sul concetto di relazione abusiva, o un corso di autodifesa per donne. Anche quando il tema dell’attività è più generico, come nei laboratori introduttivi di dj o falegnameria, i corsi sono tenuti da donne e pensati soprattutto per loro: “L’obiettivo è creare uno spazio sicuro in cui una ragazza possa prendere in mano un trapano e imparare a utilizzarlo. Essendo un’attività considerata generalmente maschile, le donne non hanno molte possibilità di farlo senza sentirsi inadatte o imbranate”, spiega Réka Holánszky, facilitatrice del laboratorio.

© Alexandra Hinkelmann

Ma a Kolorádó si va soprattutto per la musica, e anche nel cartellone è ben visibile l’attenzione per le questioni di genere e sociali. Oltre ad artisti impegnati come il musicista nigeriano afro-beat Femi Kuti, la componente femminile è consistente: “La diversità musicale è un marchio di fabbrica di Kolorádó, qui c’è spazio per punk, techno, afro beat e indie, ma soprattutto teniamo alla parità di genere sul palco. La nostra esperienza ci dice che non è affatto difficile raggiungerla: la qualità tra dj, musiciste e band in cui suonano anche delle donne è eccezionale”, spiega Márton Bede, giornalista e parte del team organizzativo. Tra gli ospiti internazionali di quest’anno spiccano la dj tunisina Deena Abdelwahed, del collettivo culturale Arabstazy, che prova a rompere con gli stereotipi che circondano la musica araba, mentre un’altra dj d’eccezione è l’ugandese Kampire.

Quali sono le difficoltà nell’attuale clima politico ungherese? “Organizzare un festival in Ungheria non è difficile, il problema è renderlo finanziariamente sostenibile. Ma se le difficoltà sono più economiche che politiche, va anche detto che le due cose in Ungheria sono strettamente collegate. Nel Paese regna un capitalismo clientelare, l’economia è condizionata da Viktor Orbán e un pugno di oligarchi vicini al governo. Anche un piccolo festival come il nostro ne avverte la presenza”, afferma Bede, che aggiunge: “Se un imprenditore vicino al governo organizzasse un festival gli sponsor farebbero la fila per partecipare, consapevoli che si metterebbero in buona luce. Inoltre l’evento verrebbe sovvenzionato generosamente con fondi pubblici. Al contrario, qualsiasi progetto indipendente in Ungheria non ha vita facile”. Il 70 per cento degli incassi di Kolorádó arriva dalla vendita dei biglietti, il 20 per cento dalla somministrazione di cibi e bevande e un 10 per cento da sponsor. Su un budget complessivo di 300.000 euro per l’edizione in corso, Kolorádó ha ricevuto solo 6.000 euro di fondi pubblici. Bede prevede un’affluenza complessiva di 15.000 spettatori, con un picco di 4.500 durante il giorno clou di sabato.

In parte per facilitarne l’organizzazione, in parte perché in linea coi valori di cooperazione alla base del festival, Kolorádó anche quest’anno coinvolgerà i club e le cooperative locali che durante l’anno portano avanti a Budapest iniziative ed eventi culturali fuori dal coro: “Gli accordi sono diversi di volta in volta, ma il principio è lo stesso: durante il festival gli spazi culturali cittadini salgono a bordo di Kolorádó, curano insieme a noi la programmazione dei palchi, i bar e dividiamo insieme gli incassi”, spiega Bede.

Ma se la situazione politica e sociale ungherese è il convitato di pietra di Kolorádó, i partecipanti non sembrano avere tanta voglia di parlarne: “Meglio non pensarci, se lo faccio sento un mix di frustrazione, vergogna e impotenza. Con le ultime elezioni ho perso la speranza che le cose possano cambiare nel prossimo futuro”, afferma Andrea, una ragazza trentenne. L’età media a Kolorádó è più bassa, il pubblico è composto soprattutto da millennial ungheresi. Tra di loro la percezione del futuro appare un po’ meno fatalista. Bence, un ragazzo sui vent’anni alla sua seconda edizione, la vede così: “a modo suo questo festival parla dell’Ungheria odierna, ma invece che lamentarsi di cosa non funziona, si concentra su cosa lo renderebbe migliore. Questo festival è un esercizio d’immaginazione, forse bisognerebbe ripartire da qui per cambiare il paese”.

La location in mezzo a una foresta di certo aiuta a creare una barriera tra il popolo di Kolorádó e una situazione politica che non sembra destinata a migliorare. Barriera, va detto, non solo metaforica: essendo organizzato nel mezzo della natura, a Kolorádó non solo non c’è wi-fi, ma manca addirittura la copertura telefonica. Sari, una ventenne alla sua prima esperienza a Kolorádó, non sembra preoccupata: “meno male. Per quattro giorni, il mondo là fuori può aspettare”.

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