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Farmaci, più affari meno salute – Ae 59

Numero 59, marzo 2005L’industria farmaceutica è spesso indicata come un caso di efficienzadel mercato. In realtà l’innovazione è scarsa e molte risorse, invece che in ricerca, sono spese semplicemente in pubblicità. Con qualche effetto collaterale Affari in pillole. Le case farmaceutiche…

Tratto da Altreconomia 59 — Marzo 2005

Numero 59, marzo 2005

L’industria farmaceutica è spesso indicata come un caso di efficienza
del mercato. In realtà l’innovazione è scarsa e molte risorse, invece
che in ricerca, sono spese semplicemente in pubblicità. Con qualche effetto collaterale

 
Affari in pillole. Le case farmaceutiche si sono dedicate al marketing e spendono più soldi in promozioni e pubblicità per vendere prodotti solo leggermente diversi tra di loro piuttosto che in ricerca e sviluppo di nuovi farmaci. I prodotti che presentano un reale progresso terapeutico in termini di efficacia, sicurezza o convenienza, non superano in genere il 15% di quelli immessi ogni anno sul mercato. 
La concorrenza tra aziende si fa così su farmaci-doppioni (me-too) sem-pre più costosi, non su prodotti innovativi, sicuri e convenienti. E non a caso il 2004 è stato archiviato come l’anno in cui sono stati ritirati dal mercato più farmaci perché ritenuti pericolosi.
L’industria farmaceutica, interessata alla conquista di quote crescenti di consumatori, tende a far apparire come innovativi anche i farmaci che non offrono alcun reale vantaggio rispetto a quelli già disponibili. Per questo realizza intensive campagne promozionali. Nel 2003 in Italia le case farmaceutiche hanno speso per le visite ai medici (esclusi i congressi, quindi) oltre 2 milioni di euro.
 
Il medico è influenzabile?
In questa situazione il medico è fatto oggetto di pressanti campagne promozionali per favorire la prescrizione della pletora di prodotti con caratteristiche similari (“me-too”) che si contendono il mercato farmaceutico.
La maggior parte dei medici ricava le sue conoscenze dagli informatori scientifici (i “commessi viaggiatori” delle aziende farmaceutiche), dalle riviste recapitate gratuitamente e dalle newsletter aziendali o partecipando a eventi accreditati dal ministero della Salute ma finanziati dalle industrie.
Solo una minoranza attinge a fonti indipendenti (riviste, eventi formativi non sponsorizzati o siti web non promozionali) pagando di tasca propria questi servizi indispensabili.
Così la spesa farmaceutica a carico dello Stato è aumentata nel 2004 anche per lo spostamento di prescrizioni da farmaci più vecchi ed economici verso farmaci più nuovi e costosi (che però non hanno dimostrato una maggiore efficacia). Questo fenomeno, detto effetto mix, consiste in pratica nello spendere di più per avere, nel migliore dei casi, lo stesso livello di salute. La prescrizione di farmaci generici, invece, unica possibilità di concorrenza basata sul prezzo, nel nostro Paese non è ancora decollata.
Esiste dunque una “sintonia” fra il comportamento prescrittivo dei medici e gli obiettivi di mercato delle industrie.
Tuttavia la maggior parte dei medici si considera incorruttibile, indipendente dai messaggi promozionali e assolutamente non influenzabile dalle seduzioni del marketing e quindi autorizzata a godere tranquillamente degli omaggi e delle cortesie delle aziende. Esiste una inconsapevolezza diffusa del fatto che i messaggi promozionali e le ricompense di vario tipo inducono pregiudizi e perdita della autonomia di giudizio.
(Non tutti conoscono e apprezzano la metafora del porcospino. Una novella inglese narra la vita di questi animali durante il freddo inverno. I porcospini, nelle loro tane, si avvicinano l’un l’altro per scaldarsi. Sono però consapevoli del fatto che, se l’abbraccio diventa troppo stretto, si pungono. Anche medici e industria hanno bisogno l’uno dell’altro, ma, se si avvicinano troppo, rischiano di compromettere la reciproca integrità e libertà).
 
L’indipendenza della ricerca
L’industria ha interesse a sostenere generosamente il maggior numero possibile di lavori di ricerca sui farmaci per riaffermare il modello secondo il quale ad ogni problema si può rispondere con un farmaco. L’autonomia dei medici sperimentatori è spesso subordinata alle esigenze delle aziende che difficilmente instaurano rapporti con i ricercatori meno allineati e più problematici.
In ogni caso è quasi sempre l’industria a decidere se pubblicare o meno i risultati di una ricerca, ed è ovvio che di solito arrivino alla stampa solo gli studi più favorevoli o più utili alla promozione delle vendite. Recentemente i direttori delle maggiori riviste scientifiche internazionali hanno riaffermato che la pubblicazione dei risultati degli studi non può essere condizionata dalle esigenze di mercato e si sono riservati il diritto di rifiutare la pubblicazione di ricerche sponsorizzate dalle industrie che non abbiano garantito un’adeguata indipendenza sulla conduzione della ricerca e sulla stesura del rapporto finale.
Ma non basta. Dal punto di vista del paziente, le ricerche più importanti sono quelle che prendono in esame obiettivi come il prolungamento della sopravvivenza, la riduzione degli eventi clinici (per esempio infarto, reinfarto, ictus, fratture, eccetera), la capacità del paziente di mantenere uno stile di vita attivo (limitazione dell’autonomia e disabilità), la qualità della vita e il minore ricorso al ricovero ospedaliero o alla chirurgia.
Gli studi privilegiano invece parametri surrogati rispetto a quelli clinici: si misura per esempio la riduzione del colesterolo o della pressione arteriosa e non la riduzione del numero degli infarti, oppure si tiene conto dell’aumento della massa ossea e non dell’incidenza di fratture. Le conclusioni delle ricerche risultano quindi più fragili e meno idonee a stabilire il reale valore di un farmaco. Non sempre infatti alla riduzione di un parametro surrogato corrisponde una riduzione dell’incidenza degli eventi clinici che si intende prevenire o rimandare.
Ogni volta che un farmaco apre nuove e reali prospettive terapeutiche le industrie si affannano a mettere in commercio farmaci analoghi. Ma i me-too dispongono inizialmente di prove di efficacia meno robuste rispetto ai farmaci “capostipite”; i pazienti non ne traggono alcun vantaggio, anzi, l’utilizzo su larga scala di un me-too può talora esporli a spiacevoli sorprese (vedi il caso della cerivastatina scoppiato con il Lipobay della Bayer nel 2001).  !!pagebreak!! 
 
Interessi contrapposti
Come si vede, ogni giorno il medico è chiamato a scegliere i farmaci nell’interesse del paziente in un contesto caratterizzato da un’offerta straripante di nuove molecole, da un’ingente massa di informazioni da selezionare, dai controlli e dalle sanzioni imposte dai budget di spesa delle Asl. Come può difendere la sua autonomia, interagire con il progetto di vita e la cultura dei singoli pazienti ed essere sensibile alle esigenze imposte dalla limitatezza delle risorse?
La spesa ingente sostenuta dai sistemi sanitari pubblici e/o dai privati va a favore dei pazienti che ne traggono benessere e dell’industria che, attraverso le vendite, remunera il capitale e alimenta ulteriori investimenti nella ricerca di nuovi farmaci. L’impiego di molecole efficaci ed innovative, sebbene spesso molto costose, comporta dunque un duplice vantaggio per la comunità: uno immediato (il benessere dei singoli fruitori), uno differito nel tempo (disponibilità di risorse per la ricerca di nuove opportunità terapeutiche).
Se l’industria fosse realmente innovativa, i costi sarebbero pienamente giustificati e i guadagni si estenderebbero anche, e soprattutto, ai cittadini.
L’attività industriale è tuttavia troppo spesso condizionata dall’esigenza di fare profitti subito e dalla necessità di distribuire dividendi agli azionisti. Per questo è indispensabile depotenziare i fattori che, premiando solo il mercato, distolgono risorse alla ricerca di farmaci veramente innovativi.
La registrazione di un me-too rappresenta un sostanziale fallimento dell’innovatività dell’industria ed una sottrazione di risorse che potrebbero essere più utilmente destinate a ricerche in settori nei quali si avverte un grande bisogno di nuovi e più efficaci farmaci. Inoltre, se lo Stato concede lo status di “rimborsabile” a molecole che non comportano alcun vantaggio terapeutico questo di fatto innesca una martellante pressione promozionale sul medico da parte dei vari marchi in strenua lotta fra di loro per l’acquisizione di quote di mercato. Se la promozione va a segno, si registra un inevitabile incremento dei costi quasi mai associato a un miglioramento del livello di salute della popolazione.
 
Salute e promozione
Per uscire da questa spirale che alimenta continuamente se stessa e che genera più mercato e meno salute, è necessario innanzitutto rivedere i meccanismi di registrazione e di concessione della rimborsabilità. Che sia il medico con le sue scelte oculate a bloccare gli “effetti indesiderati” della struttura del mercato del farmaco che contiene molti elementi che lo rendono poco efficiente, dissipatore di risorse e poco rispettoso della autonomia prescrittiva del medico e dei diritti dei cittadini è irrealistico.
È necessaria, invece, una politica di sostegno alla ricerca pubblica e indipendente e finalizzata alla soluzione dei problemi di salute più rilevanti che emergono a livello di popolazione. È indispensabile anche l’adozione di differenti criteri di registrazione e di ammissione alla rimborsabilità dei nuovi farmaci per evitare la pletora dei me-too.
 
Deve essere promossa una maggiore formazione di base specifica del medico, favorita la sua possibilità di accesso a fonti indipendenti di informazione, istituito un albo professionale degli informatori scientifici per qualificare meglio la loro professionalità e vincolarla ad un codice deontologico e prevedere un garante dell’informazione scientifica al quale segnalare i contenuti dell’informazione scientificamente non corretta. !!pagebreak!!
 
Dal Lipobay al Vioxx, ecco i prodotti sotto accusa
C’era una volta il Lipobay.
Il farmaco della Bayer contro il colesterolo ritirato dal mercato nel 2001 perché sospettato di avere provocato la morte di oltre 50 persone nel mondo.
Il 2004 passerà alla storia della farmacologia come l’anno record per il numero di accuse sulla pericolosità dei farmaci.
Il caso più eclatante, è stato il ritiro dell’antinfiammatorio Vioxx della Merck per i suoi rischi cardiovascolari (dal 1999 ad oggi il farmaco avrebbe causato 144 mila attacchi cardiaci, spesso mortali). Per lo stesso motivo sono finiti nella lista dei farmaci a rischio della Food and Drug Administration (l’authority Usa che deve garantire efficacia e sicurezza dei farmaci) gli antinfiammatori Celebrex e Bextra della Pfizer, l’Arcoxia (Merck), il Naprosyn della Roche, il Naproxen della Bayer e il Prexige della Novartis (questi ultimi tre non sono in commercio in Italia).    
Sotto osservazione anche l’antidolorifico Aleve della Bayer, il Crestor (un anticolesterolo) della Astra Zeneca e l’antidepressivo Prozac della Ely Lilly. Il Prozac, uno dei farmaci più venduti al mondo e che ha fatto la fortuna della sua casa farmaceutica, è accusato di aumentare l’aggressività e di spingere i malati al suicidio.
 
Volete guadagnare? Investite in pillole
Le società di investimento americane hanno scommesso, per quest’anno, sulla salute (oltre che sulle utility).
Gli analisti prevedono che il 2005 sarà l’anno d’oro per investire in pillole e sciroppi, perché dopo un anno difficile dovuto al pessimismo diffuso per il ritiro del Vioxx (il 30 settembre scorso, quando il farmaco è stato ritirato dal mercato le azioni sono crollate del 27%; il più grande fondo pensioni di New York ha perso 171 milioni di dollari in un sol giorno e ha fatto causa all’azienda farmaceutica) il settore farmaceutico vuole prendersi la sua rivincita e ha pronto nuovi brevetti da lanciare sul mercato. I broker seguono con attenzione la vita di un farmaco: in questo momento gli occhi sono puntati su un prodotto della Schering -un antitumorale- in attesa di ricevere l’autorizzazione in commercio dalla Food and Drug Administration e il titolo sale o scende a seconda delle previsioni sull’esito della richiesta. Sulla homepage di tutte le grandi multinazionali del farmaco spicca in bella vista la quotazione giornaliera del titolo. 
 
E anche la lotta al fumo diventa un business
Lo stop al fumo si sta trasformando in una gallina dalle uova d’oro per le aziende del farmaco. Le multinazionali hanno lanciato le loro campagne pubblicitarie: la Glaxo Smith Kline ha investito 6 milioni di euro per promuovere un cerotto alla nicotina che serve a combattere i sintomi da astinenza. La Pfizer le fa concorrenza con cerotti, gomme da masticare, capsule sublinguali e inhaler con cartucce alla nicotina. Questi prodotti sono venduti come farmaci da banco e il costo è carico del cittadino.In altri Paesi europei, dove il divieto di fumare in luoghi pubblici è entrato in vigore già alcuni mesi fa, le vendite di questi prodotti hanno avuto un boom: in Irlanda, ad esempio, la Gsk ha aumentato le vendite del 36%. Le stesse multinazionali, mettono in guardia, che gomme e cerotti –da soli- non bastano per smettere di fumare e hanno messo in offerta ai loro clienti programmi di supporto psicologico via internet, con tanto di e-mai e newsletter.
 
La pillola falsa che corre sul web
I farmaci contraffatti sono in forte aumento e invadono anche i mercati occidentali. L’allarme arriva dall’Oms: nel mercato mondiale un medicinale su dieci è falso e il 30% proviene dai Paesi sviluppati. I farmaci più contraffatti (senza principio attivo o insufficiente; con ingredienti sbagliati; in confezioni false) sono antibiotici,  ormoni, analgesici e i farmaci anti-malaria. La situazione è molto grave nei Paesi poveri (secondo l’Ordine dei farmacisti della Guinea, nel loro Paese il 70% dei farmaci anti-malaria sono contraffatti) ma crescono le segnalazioni anche nei Paesi industrializzati, soprattutto negli Usa, dove manca un aiuto sanitario pubblico e il costo dei medicinali è sempre più elevato. In Europa i “falsi farmaci” si stanno diffondendo attraverso internet: sul web si possono acquistare farmaci a prezzi ridotti senza ricetta medica (tra cui anche antidepressivi e psicofarmaci delle più note marche), senza però alcuna garanzia di autenticità. La legge italiana lo vieta ma internet sfugge alle sanzioni. !!pagebreak!!
 
Antidepressivi in aumento per i bimbi
La denuncia arriva diretta dall’Istituto Mario Negri di Milano: la visita dal pediatra termina, quasi sempre, con la prescrizione di un farmaco.
La maggior parte di questi farmaci sono per le comuni affezioni, molte delle quali potrebbero essere risolte senza un immediato trattamento farmacologico.
E ancora: sebbene 20 farmaci sarebbero sufficienti per rispondere all’81% dei bisogni terapeutici dei bambini ne vengono, invece, utilizzati 645 per un totale di 2.813 specialità farmacologiche. Un terzo di questi farmaci sono off-label, ovvero la loro efficacia e sicurezza sui bambini non è documentata da prove di evidenza. La potenziale utilità dei farmaci non approvati specificamente per l’età pediatrica viene dedotta dai dati di efficacia e tollerabilità ricavati nell’adulto e i dosaggi sono “adattati” alle caratteristiche del bambino. Questo “ragionevole” modo di procedere non tiene conto delle numerose differenze che esistono fra adulti e bambini. Infatti, il modo in cui un farmaco viene assorbito, trasportato, trasformato ed eliminato dal bambino e la sua attività terapeutica e gli effetti indesiderati, oltre ad essere diversi rispetto all’adulto, cambiano anche a seconda della fase di sviluppo e di maturazione del bambino.
Il dato più preoccupante della ricerca dell’Istituto Mario Negri però, riguarda l’aumento dell’uso di psicofarmaci: tre minori ogni mille (circa trentamila in Italia) risultano in terapia con psicofarmaci.
Le prescrizioni di antidepressivi nei bambini italiani sono triplicate negli ultimi cinque anni (www.marionegri.it).
 
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Consumate meno! ve lo chiede il presidente…
“Cara amica, caro amico. Vi invio questa pubblicazione per fornirvi alcuni suggerimenti per un uso accorto e appropriato dei farmaci.” Forse qualcuno di voi ha già ricevuto l’opuscolo del governo per consumare meno pillole e sciroppi e si sta meravigliando di questo accorato appello alla sobrietà farmaceutica. Una premura che arriva in perfetta coincidenza con il boom della spesa farmaceutica a carico dello Stato: nel 2004 i conti del servizio sanitario nazionale sono lievitati dell’8,7%. Scopo della campagna, la “difesa della salute degli italiani”, ma anche riportare la spesa farmaceutica a carico dello Stato sotto il tetto del 13% della spesa sanitaria. C’è da dire, però, che il consumo pro-capite di farmaci in Italia è tra i più bassi d’Europa, mentre i prezzi sono lievitati (e le prescrizioni si sono spostate verso farmaci nuovi e più costosi). Al punto che il ministro della Salute è intervenuto chiedendo alle case farmaceutiche di ridurre gli aumenti ingiustificati minacciando provvedimenti legislativi e l’Agenzia italiana del farmaco ha deciso di ridurre il prezzo di 56 principi attivi (294 confezioni) e di imporre uno sconto del 4,12%. Rimane il dubbio che questi interventi contenitivi e gli appelli ai cittadini siano insufficienti per governare la spesa farmaceutica e ripianare lo sfondamento, se prima non si agisce su un meccanismo che permette di registrare e concedere la rimborsabilità a farmaci sempre nuovi, più costosi ma “inutili”.
 
Medici contro
I medici dicono “no grazie” alle pressioni delle case farmaceutiche. Oltre 100 operatori sanitari hanno già aderito all’iniziativa italiana che si ispira al gruppo di New York “No free lunch”.
Si sono dati delle regole e hanno scritto un manifesto per chiarire il loro rapporto con l’industria.
www.nograziepagoio.it
 
 
Anomalia Italia: qui i brevetti durano di più
Ostacoli per nulla generici
Vent’anni. Tanto dura il brevetto di un farmaco. Anzi, 38, ma solo in Italia. Il nostro Paese batte il record europeo della durata di copertura brevettuale in campo farmacologico.
Tutto risale a una legge del 1991 che ha introdotto il Certificato di protezione complementare che ha esteso di altri 18 anni il periodo brevettuale oltre ai venti già stabiliti (come richiesto dalle aziende farmaceutiche per compensare il tempo impiegato per le sperimentazioni e l’autorizzazione in commercio). Una legge entrata in vigore proprio un soffio prima del Regolamento europeo che concede al massimo una dilatazione di cinque anni e che, di fatto ha abrogato le nostre disposizioni nazionali.
Tuttavia, nel periodo in cui la legge è rimasta in vigore, una larga parte dei 420 principi attivi presenti sul mercato italiano, precisamente 364 pari all 84%, ha ottenuto il Certificato di protezione complementare.  
Il prolungamento della tutela brevettuale ha fatto perdere quote di mercato alle aziende italiane. Conferma Alberto Mangia, presidente dell’Associazione italiana che rappresenta oltre 30 produttori di principi attivi: “Il nostro Paese deteneva la leadership: siamo stati i maggiori fornitori delle società americane sin dagli anni ’80. La nostra produzione di principi attivi era richiesta perché affidabile e di alta qualità. Poi però le aziende hanno iniziato a rifornirsi negli altri Paesi europei o in Cina e in India che potevano già lavorare sulle molecole scadute”. Un esempio? “Il brevetto sulla Paroxetine, una molecola che serve per produrre antidepressivi, è scaduto negli Usa nel 1992 e in Europa nel 1999. In Italia la protezione arriva fino al 2009, con un ritardo di dieci anni”. L’estensione del periodo brevettuale ha penalizzato la diffusione dei più economici farmaci generici (che per legge costano come minimo il 20% in meno) con conseguenze negative per la spesa sanitaria.
L’Italia si colloca agli ultimi posti della graduatoria della diffusione dei farmaci generici. Perché c’è poca informazione, perché il medico prescrive ancora solo quello di marca, perché il farmacista non sostituisce quello griffato con quello generico equivalente.
E alla fine il malato acquista sempre il farmaco più costoso. In Gran Bretagna, invece, funziona così: il medico prescrive il principio attivo, senza indicare il nome commerciale del medicinale, e il farmacista prepara sul momento una confezione sulla quale incolla un foglietto con la posologia. I generici si trovano dunque su un piano di parità con tutti gli altri medicinali, senza alcuna differenza dovuta alla pubblicità o alla facilità di ricordare un nome di marca.
 
GENERICO
Medicinale intercambiabile con il prodotto innovatore, e quindi bioequivalente (deve avere cioè lo stesso principio attivo nella medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche) messo in commercio dopo la scadenza del brevetto e il certificato complementare di protezione.

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