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Economia / Intervista

Faccia a faccia con la commissaria che ha chiesto 13 miliardi ad Apple

Nemmeno la lettera di 185 amministratori delegati USA le ha fatto cambiare idea: “Per costruire una società giusta e un mercato aperto è necessario che la tassazione sia corretta ed equa”. Abbiamo incontrato Margrethe Vestager

Tratto da Altreconomia 187 — Novembre 2016
Danese, 48 anni, Margrethe Vestager ricopre il ruolo di commissario europeo per la Concorrenza dal primo novembre 2014. Dal 2011 al settembre 2014 era stata ministro dell’Economia e dell’Interno e vice Primo ministro nel suo Paese

Margrethe Vestager è la commissaria europea alla Concorrenza. A fine agosto si è presentata in conferenza stampa a Bruxelles annunciando una decisione storica: l’Ue ha intimato all’Irlanda di farsi dare 13 miliardi di euro non versati al fisco da Apple grazie ad “accordi fiscali” stipulati dal Paese con la multinazionale nel 1991 e nel 2007. Prima di Apple, Vestager si era già occupata di “aiuti di Stato” ad Amazon, Starbucks, Fiat-FCA. A metà settembre, dagli Stati Uniti, 185 amministratori delegati di altrettante multinazionali le hanno gettato addosso lo stigma in una lettera aperta ai 28 capi di Governo dell’Ue. Chiedevano di “ribaltare la decisione”. Lei, danese, non ha fatto una piega. E con lo stesso atteggiamento -sereno ma inflessibile- ci ha aperto le porte del suo ufficio a Bruxelles.

“Penso sia evidente che se scrivi una lettera aperta ai 28 capi di governo dell’Ue il tuo sia un tentativo di influenzare le cose. Però abbiamo preso una decisione basata sulle nostre leggi, regole, e le nostre procedure. E la sosteniamo, senza dubbio”

Commissaria Vestager, nel provvedimento relativo al caso “Apple-Irlanda”, la Commissione ha dichiarato di non mettere in discussione il regime tributario irlandese ma “solo” i ruling fiscali tra il Paese e la multinazionale. Eppure è attraverso quel regime che imprese multinazionali (Apple, Facebook, Microsoft) abbattono i ricavi conseguiti, e quindi le tasse che devono pagare, nei Paesi europei. Per quale motivo?
MV Gli irlandesi hanno deciso di cambiare il proprio regime fiscale in autonomia, e questa è una loro responsabilità. Da un paio d’anni hanno iniziato a superare il meccanismo conosciuto come “double irish”, parte di quel processo che consente quelle pratiche cui faceva riferimento. Gli irlandesi stanno lavorando con gli altri Stati membri, discutendo le regole proposte dal mio collega Pierre Moscovici (Commissario europeo per gli affari economici e monetari, ndr) a proposito di tassazione in generale. Il mio compito è verificare se gli accordi fiscali (tax ruling) siano usati per assicurare benefici ad hoc a singole imprese, che non sono invece rivolti ad altre imprese. E questo è uno strumento della concorrenza. I nostri padri fondatori avevano constatato che se vuoi costruire un mercato giusto, non può essere consentito a singoli Stati di concedere risorse a singole imprese sotto forma di benefici fiscali o prestiti agevolati o simili.

Confrontando i ricavi di un anno di un soggetto come Apple -oltre 250 miliardi di dollari- con la “multa” inflitta a fine agosto, 13 miliardi di euro, pare che i “regolatori” abbiano armi spuntate. È così?
MV Nei casi degli aiuti di Stato che riguardino ad esempio la tassazione, non si tratta di penalità o multe ma di un dovere del Paese in questione di recuperare le imposte non versate. È valso per Starbucks, Fiat, Apple e le 35 multinazionali, prevalentemente europee, coinvolte in casi analoghi. Quello degli aiuti di Stato è un tema che ricade nel campo della concorrenza. Un ruolo fondamentale è giocato dalla legislazione, che compete agli eletti al Parlamento europeo o i membri del Consiglio. Così come una parte di responsabilità l’hanno i singoli Paesi.



Irlanda, Olanda e Lussemburgo praticano dumping fiscale?
MV Per costruire una società giusta e un mercato aperto, sia per le realtà imprenditoriali appena nate, quelle medie o i giganti, è necessario che la tassazione sia corretta, equa. Passo dopo passo potremo rendere le cose più trasparenti e migliori. Ma non credo che possa accadere attraverso un sistema unico europeo, perché gli Stati sono molto preoccupati dal ruolo che la tassazione può svolgere in merito a quali attività di business o quanti posti di lavoro possano essere creati. Ma io credo che si possa andare avanti. Attraverso i pubblici report dei singoli Paesi stiamo preparando una proposta per una base imponibile comune per le società, che non renderà soltanto più semplice controllare le multinazionali, ma ridurrà anche le difficoltà delle piccole aziende a pagare le tasse, perché tutto sarà più semplice. Si potrà rendere tutto più aperto e più trasparente per i cittadini, che certamente non hanno grande scelta su dove pagare le tasse o meno.

“Le persone pensino ciò che vogliono a proposito di Barroso e di Kroes ma non giungano alla conclusione che sono tutti uguali. O che le istituzioni siano tutte uguali”

Dopo il caso “Apple-Irlanda”, 185 manager statunitensi hanno chiesto all’Unione europea di “ribaltare” la decisione. È un tentativo di condizionare le decisioni di interesse pubblico?
MV La questione è complicata. Penso che mostri le differenze tra il modo di agire statunitense e quello europeo. Qui, in Europa, negli anni, siamo stati molto severi nell’affermare che benefici specifici concessi a singole imprese non sono consentiti, perché non è giusto. E perché i “piccoli” non avrebbero chance se i più grandi pagassero poche tasse. Negli Stati Uniti, invece, è all’ordine del giorno il fatto che ciascuna impresa possa negoziare l’ammontare delle imposte con lo Stato in cui esercita il suo business. Penso sia abbastanza evidente che se scrivi una lettera aperta ai 28 capi di governo dell’Unione europea il tuo sia un tentativo di influenzare le cose. Dal punto di vista della Commissione, però, abbiamo preso una decisione basata sulle nostre leggi e regole, le nostre procedure. E la sosteniamo, senza dubbio.

Il premio Nobel Angus Deaton ha recentemente biasimato “quelle aziende che con i loro lobbisti scrivono leggi a loro favore”. Le stesse aziende che “si adoperano contro le legislazioni antitrust”. A questo proposito, Deaton denuncia un “cancro che ci minaccia tutti”. Alcuni ex commissari europei sono al centro di polemiche per i loro conflitti di interesse o per le posizioni che hanno assunto presso importanti multinazionali. Che cosa ne pensa del meccanismo delle “revolving doors”?
MV È un beneficio il fatto che le persone possano conoscere sia il lato pubblico delle cose sia quello privato. Il conflitto nasce ovviamente quando le tue decisioni sono “imposte”. E purtroppo, molto spesso, pare che le scelte di business influenzino le scelte politiche pubbliche, quando in realtà dovrebbe essere il contrario. Penso però che stiamo facendo dei progressi importanti a tal proposito. Guardo ad esempio al caso del “Tax Dialogue on corporate responsibilty”, dove Ong e grandi imprese si confrontano sul ruolo della tassazione nella responsabilità sociale d’impresa. È uno strumento utile per non avere “porte girevoli”, ma avere un dibattito trasparente su come funziona la nostra società. Ed è qualcosa di completamente diverso dal servire interessi particolari in maniera opaca.

Pensa che i casi di José Manuel Barroso (l’ex presidente della Commissione finito a Goldman Sachs) e Neelie Kroes (ex commissaria europea, direttrice di una società offshore) abbiano colpito la credibilità e l’affidabilità delle istituzioni europee?
MV Le persone pensino ciò che vogliono a proposito di Barroso e di Kroes ma non giungano alla conclusione che sono tutti uguali. O che le istituzioni siano tutte uguali.

“Se le persone si sentono escluse, perché dovrebbero partecipare? È questa la principale sfida politica che abbiamo davanti”

Le operazioni di fusione tra multinazionali hanno superato il valore di cinquemila miliardi di dollari nel 2015, e oltre 2.200 nei primi mesi del 2016 (vedi “L’economia ai piedi delle multinazionali”, Ae 186). Quali conseguenze comportano, ad esempio nel comparto agrochimico con le operazioni Bayer-Monsanto, Dow-Dupont?
MV Ogni volta che avvengono delle fusioni, il mercato cambia per i consumatori. Ed è il motivo per cui dobbiamo essere molto rigidi nel nostro lavoro, affermando che dopo una fusione dovrà esserci competizione e concorrenza, consentendo ai consumatori di avere prezzi accessibili e possibilità di scelta, e quindi permettere all’innovazione di potersi sviluppare. Faremo questo anche a proposito del settore dei semi e dei pesticidi, garantendo ai cittadini e ai produttori di poter scegliere semi e pesticidi diversi, anche in senso innovativo, superando la vecchia generazione di pesticidi e fungicidi.

Il primo Paese al mondo per guadagni realizzati dalle multinazionali nel 2014 attraverso le proprie consociate è l’Olanda, regime di fiscalità agevolata. Come garantire l’equilibrio in Europa?
MV Nel Trattato dell’Unione è scritto che ciascun Paese è responsabile al 100% in merito al proprio sistema fiscale. Di conseguenza abbiamo enormi differenze tra diversi regimi. Se ciascuna impresa può beneficiare degli stessi benefici, io non ho nulla da eccepire proprio perché riguarda la materia fiscale. Penso però che sia molto importante che tutti i membri del Consiglio raccolgano le proposte elaborate dal mio collega Pierre Moscovici. Quella che preferisco è il sistema del Country-by-Country Reporting. Infatti, una volta pubblicati, è possibile sapere per ciascun colosso imprenditoriale il numero dei dipendenti, le attività, i risultati, i profitti e le tasse dovute. Qualora, come accade talvolta, non dovessero esserci dipendenti o attività, si può domandare all’impresa il motivo di un risultato economico importante o di enormi profitti.

State monitorando gli accordi fiscali (tax ruling) tra Paesi e imprese?
MV Dallo scorso anno, il Consiglio ha proposto di cambiare il sistema dei tax ruling, poiché il problema più grande era che le autorità fiscali potevano conoscere unicamente solo alcuni dei “capitoli” della “storia fiscale” di un’impresa. Abbiamo proposto che la Commissione possa essere parte di questo processo, ma il Consiglio ha deciso che solamente le autorità potessero prenderne parte. Quello che ho fatto è stato chiedere a ciascun Paese se avesse in corso tax ruling. Ai ventitré che ci hanno risposto di averne in atto, abbiamo chiesto l’elenco dei settori di business in cui questi ricadono. Da questi elenchi poi abbiamo estratto un campione. Sommando questi campioni agli atti relativi ai cosiddetti “Lux-leaks”, abbiamo raccolto un migliaio di accordi. Li abbiamo analizzati, giungendo talvolta alla conclusione che alcuni di questi fossero idonei (tutti quelli italiani, ndr), anche in tema di transfer pricing. È una buona notizia.

La sede della Commissione europea di Rue de la Loi 200, a Bruxelles. È guidata da Jean-Claude Juncker; i commissari che ne fanno parte sono 28 (uno per ciascuno Stato membro dell’Ue)
La sede della Commissione europea di Rue de la Loi 200, a Bruxelles. È guidata da Jean-Claude Juncker; i commissari che ne fanno parte sono 28 (uno per ciascuno Stato membro dell’Ue)

Quali poteri hanno oggi i cittadini per controllare gli accordi di questa natura perfezionati dal loro Paese?
MV I poteri dei cittadini in materia sono molto limitati, anche perché in certi casi, giustamente, le autorità fiscali trattano materie confidenziali. Credo che il miglior alleato a tal proposito sia il sistema del Country-by-Country Reporting, perché fornirà ai cittadini e ai media le informazioni di base a proposito di come operano le nostre imprese. Perché si resterebbe sorpresi, e da lì deriverebbero nuove domande, qualora un’impresa non contasse dipendenti o non avesse attività. È un cambiamento culturale importante. Pretendiamo, giustamente, piena trasparenza dai politici, dai bilanci pubblici, dalle tasse dovute dai cittadini, ed è naturale quindi che questo valga anche per coloro che svolgono attività d’impresa.

Una certa sudditanza delle istituzioni europee nei confronti degli interessi delle multinazionali ha contribuito al rafforzamento delle ritrosie populiste e nazionaliste?
MV La questione complicata di questi anni è che le persone sono state “toccate” negativamente dal commercio internazionale, dalle attività di impresa oltre confine, scoprendo di aver a disposizioni ben poche “seconde occasioni”. Se senti di non poter acquisire nuove competenze, trovare un altro lavoro o spostarti verso luoghi che offrono occasioni diverse, i problemi di cui abbiamo discusso non verranno mai percepiti come vicini, ma al contrario lontani, affari “della società”. Se le persone si sentono escluse, perché dovrebbero partecipare? Questa è la principale sfida politica che abbiamo davanti.

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