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Il recupero delle ex colonie: un’occasione di partecipazione

Le strutture di origine fascista che costellano la riviera romagnola, importanti da un punto di vista storico-architettonico e socio-culturale, sono oggi al centro di una riconversione che guarda a progetti educativi e di tutela ambientale

Tratto da Altreconomia 218 — Settembre 2019
Un momento del festival “Le città visibili” nella Colonia Bolognese di Rimini. La struttura è il cuore dell’attività dell’associazione “Il Palloncino rosso” © Palloncino Rosso

Passeggiando sul lungomare tra Rimini e Riccione, la Colonia Bolognese si vede da lontano. La struttura imponente, più duecento metri di lunghezza di laterizio rosso, è sfregiata in alcuni punti da murales e scritte con la vernice spray. I quattro padiglioni che ospitavano i dormitori dei bambini e i refettori nel piano seminterrato, per quasi quarant’anni sono rimasti vuoti e abbandonati. Almeno fino all’estate 2018, quando alcuni spazi dell’ex colonia di chiara origine fascista (era intitolata alla X Legio del Fascio bolognese) hanno iniziato ad animarsi con mostre fotografiche, reading letterari, sfilate di moda, cineforum, concerti e lezioni di yoga.

“Quando abbiamo iniziato ci hanno preso per folli”, racconta Luca Zamagni, avvocato e presidente dell’associazione “Il Palloncino Rosso” che dal 2015 si occupa di rigenerazione urbana partecipata, promuovendo eventi e proposte culturali finalizzate a una riappropriazione dei beni comuni sul territorio di Rimini e provincia. “Il nostro obiettivo è ripristinare immobili dismessi per farne luoghi di scambio culturale e di ricreazione -spiega Luca Zamagni-. Nel 2018, con un certo candore, abbiamo contattato la società che gestisce la curatela fallimentare della Colonia Bolognese per poter utilizzare parte degli immobili per organizzare attività aperte al pubblico”.

La prima edizione della rassegna “Riutilizzasi-Colonia Bolognese” si è svolta nell’estate 2018 e ha avuto un ritorno inatteso: la convenzione per la gestione della struttura, infatti, prevedeva l’organizzazione di un numero minimo di eventi, ma ben presto gli organizzatori sono stati sommersi dalle proposte avanzate da associazioni e realtà del territorio. Altrettanto ricca e partecipata, la programmazione dell’estate 2019, che si è aperta con il racconto delle storie degli ex bambini che hanno trascorso le loro vacanze alla Bolognese. “La colonia ‘funziona’ perché è il luogo di un progetto che recepisce e catalizza proposte, non è teatro di un progetto calato dall’alto e che vede i cittadini come semplici spettatori -spiega ancora Zamagni-. La colonia è diventato un hub in cui si fa sperimentazione di un welfare nuovo”.

La costa che va da Marina di Ravenna a Nord fino a Cattolica a Sud è punteggiata da decine di colonie ed ex colonie di proprietà pubblica, appartenenti a enti statali, istituti religiosi, società immobiliari e privati. Non esiste un censimento ufficiale delle strutture sul litorale romagnolo, ma secondo le stime fornite da Roberto Ricci, presidente dell’Ordine degli architetti della provincia di Rimini, dovrebbero essere circa 250. Non esiste invece un censimento a livello nazionale di queste strutture la cui proprietà è frammentata tra diversi soggetti ed enti gestori.

È una storia che parte da lontano, quella delle colonie marine e affonda le radici nella scienza medica di metà Ottocento che proponeva l’utilità dei “bagni di mare” -la talassoterapia- per migliorare la salute di adulti e bambini. Per questi ultimi, in modo particolare, i nemici da combattere erano rachitismo e tubercolosi ossea. A fine Ottocento erano oltre 50 le colonie marine, localizzate soprattutto in Toscana, Emilia e Romagna, scrive l’enciclopedia Treccani. Ma è con l’avvento del fascismo -attraverso l’Opera nazionale per la maternità e l’infanzia- che l’attività delle colonie marine si intensifica, rivolgendosi non più solo ai bambini e agli adolescenti malati, ma anche ai figli di famiglie meno agiate, con circa 250mila bambini coinvolti nel biennio 1929-1930.

Con la caduta del fascismo, le colonie non scompaiono: a partire dagli anni Settanta, infatti, la gestione di queste strutture è passata ad amministrazioni locali ed enti pubblici, cui si sono aggiunte quelle costruite dalle grandi aziende private -Fiat, Edison e Olivetti, solo per citare alcuni nomi-, riservate ai figli dei dipendenti.

La mostra “Un mare di foto” nei locali della colonia © Palloncino Rosso

“Le colonie sono importanti sia da un punto di vista storico, sono splendidi esempi di architettura razionalista, sia da un punto di vista culturale e sociologico: erano lo specchio di una società organizzata e per certi versi molto innovativa -riprende Roberto Ricci-. Inoltre si tratta di un patrimonio urbanisticamente già esistente e ormai consolidato. Perché non partire proprio da questi edifici quando si parla di fermare il consumo di suolo?”. Oltre il 30% delle strutture presenti sul litorale romagnolo, infatti, sarebbe abbandonato e alcuni spazi hanno già trovato una nuova destinazione. L’ex colonia “Le Navi” di Cattolica ora ospita un acquario, gli spazi della “Colonia comasca” dal 2004 ospitano una scuola e l’ex colonia “Veronese” di Cesenatico è stata trasformata in un albergo di lusso. “In questi mesi si sta aprendo un grosso dibattito sul recupero di queste strutture -aggiunge Ricci-. Come Ordine vogliamo intervenire in questo percorso per fare in modo che nei processi decisionali vengano coinvolti i cittadini e le comunità: servono percorsi condivisi”. Il tema sarà al centro del ciclo di incontri “Le giornate del riuso”, tra ottobre e fine novembre a Rimini, promosso dall’Ordine degli architetti proprio con l’obiettivo di promuovere adeguate strategie di rigenerazione urbana per il recupero di questi “giganti” disseminati lungo la costa romagnola.

Il recupero e la valorizzazione di queste strutture non è semplice. Per riportare alla piena operatività l’ex colonia elioterapica di Benevento ci sono volute le risorse del Fondo sociale europeo per lo sviluppo regionale e dieci anni di burocrazia e lavori. “È sempre stata un punto di riferimento per il quartiere Ferrovia”, spiega Italo Montella, presidente della cooperativa Bartololongo, che dal settembre 2017 gestisce la struttura in collaborazione con la Federazione Italiana Scherma. Costruita in epoca fascista, tra gli anni Sessanta e Novanta la colonia è stata utilizzata come centro di aggregazione e centro sportivo (dotato di palestra, campo da basket e di tennis, pista di pattinaggio) per poi essere accantonata nei primi anni Duemila.

“La struttura aveva diversi problemi e così per molti anni è stata utilizzata solo in parte per le attività estive dell’oratorio della parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli -spiega Montella, che proprio all’interno degli spazi dell’ex colonia ha operato inzialmente da volontario-. Il nostro obiettivo era quello di far diventare questa struttura un centro di aggregazione sociale, per fare in modo che gli abitanti del quartiere potessero tornare a viverlo. Abbiamo iniziato con le attività per i minori, oggi ci sono circa 200 bambini e ragazzi che frequentano il centro estivo, abbiamo potenziato i servizi di accompagnamento e sostegno ai minori, l’assistenza scolastica”.

Il grande parco che abbraccia l’ex colonia è diventato un punto di ritrovo per il quartiere, un luogo in cui trascorrere i momenti di pausa e le serate di festa organizzate dalla cooperativa. “Molti anziani hanno trascorso la loro infanzia in questi spazi e ci ringraziano per aver riportato in vita un luogo così importante -conclude Montella-. Abbiamo raccolto le loro memorie in una mostra fotografica partecipata, con oltre cento immagini”.

Anche nel grande parco della “Colonia Enrichetta” di Abbiategrasso (MI) sono tornati a giocare i bambini. Nata nel 1919 come centro elioterapico per curare i piccoli malati di tubercolosi attraverso i “bagni d’aria e di sole” nei boschi di quello che oggi è il Parco del Ticino, la colonia ha continuato le sue attività fino agli anni Ottanta. Negli ultimi vent’anni, tuttavia, la struttura è stata sotto-utilizzata rispetto le sue potenzialità: chiusa per buona parte dell’anno, veniva riaperta solo alcuni mesi come centro estivo comunale. Nel maggio 2017 il Comune di Abbiategrasso ne ha affidato la gestione alla cooperativa “Nuova Seco”. “Durante l’estate abbiamo ogni giorno circa 130 bambini che frequentano gli spazi della colonia, che funziona come centro estivo comunale -spiega Sara Pirali, coordinatrice della struttura-. Abbiamo riqualificato alcuni spazi, compresa la piscina che non era più agibile”. Durante tutto l’anno, invece, i bambini hanno la possibilità di frequentare in gita scolastica i 10mila metri quadrati di terreno della colonia o di partecipare a escursioni guidate (anche notturne) all’interno del Parco del Ticino.

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