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Ambiente / Attualità

Tra alluvioni e siccità, come prepararsi agli eventi estremi che ci aspettano

© jonathan Ford - Unsplash

I fenomeni che nei prossimi anni riguarderanno l’intera Europa hanno un denominatore comune: l’acqua. Ai periodi secchi si alternano piogge intense e violente, a cui bisogna adattarsi per evitare il rischio crescente di inondazioni. In gioco c’è la tutela degli abitanti e l’accesso all’acqua potabile. La situazione europea e i piani di gestione del rischio alluvionale in Italia

I fenomeni climatici estremi che nei prossimi anni riguarderanno l’intera Europa hanno un denominatore comune: l’acqua. L’Osservatorio europeo sulla siccità (European Drought Observatory), nell’ambito del Programma Europeo di osservazione della terra Copernicus, mostra nel rapporto Droughts in Europe – August 2019 che negli ultimi due anni in Europa è piovuto dal 15 al 25% in meno rispetto alla media di lungo periodo 1981-2010. Anche i Paesi tipicamente più piovosi hanno ormai problemi di siccità: “Negli ultimi tre anni il Regno Unito ha avuto un clima molto più secco della media storica, un aumento degli incendi e forti ondate di calore”, racconta Paul Hickey, Deputy Director of Water Resources presso la Environment Agency, ente pubblico del Regno Unito per la difesa ambientale.

Ai periodi secchi si alternano piogge intense e violente, a cui bisogna adattarsi per evitare il rischio crescente di inondazioni. In gioco c’è la tutela degli abitanti ma anche il nostro accesso all’acqua potabile. Infatti il team di scienziati di Climate Analytics, che conduce studi per conto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), in una ricerca sugli impatti dell’aumento della temperatura globale di 1,5°C, ha previsto che l’alternanza tra forti precipitazioni e periodi di siccità potrebbe provocare nell’area mediterranea una riduzione della disponibilità di acqua dal 9 al 17% nei prossimi vent’anni. Ma i fenomeni estremi aumenteranno in tutto il territorio europeo, a detta di uno studio del progetto UE Clim.Wat.Adapt, che mira a valutare la vulnerabilità agli impatti del riscaldamento climatico. Dunque, come si sta muovendo l’Unione europea?

La direttiva Quadro sulle Acque (2000) e la direttiva Alluvioni (2007) sono state le prime mosse ai fini di una gestione sostenibile della risorsa idrica e del rischio di alluvioni. Il responsabile europeo della Direttiva Alluvioni, Ioannis Kavvadas ha sottolineato che al secondo ciclo di implementazione (2016-2021), “La Commissione richiede agli Stati membri di potenziare gli sforzi in direzione dell’adattamento ai cambiamenti climatici”.
Il 22 dicembre 2019 gli Stati membri devono quindi completare l’aggiornamento delle Mappe di pericolosità e di rischio, fase propedeutica alla definizione dei Piani di gestione del rischio alluvionale del secondo ciclo di gestione.
“Il problema non è tanto la scadenza delle mappe, su cui siamo a buon punto rispetto ad altri Paesi -sostiene l’ingegnere Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (CIRF), che si occupa di monitorare lo stato dei fiumi e gli interventi sui bacini idrografici-, ma è sull’attuazione dei piani che la situazione è drammatica”.
La normativa europea prevede una gestione del rischio che avvenga a scala di bacino idrografico, valutando gli impatti che un determinato intervento può indurre sia a valle che a monte dell’area in cui viene realizzato. “Ma -continua Goltara- quella che prevale è ancora un’ottica emergenziale, per la quale si attuano interventi solo a disastro avvenuto”. A più di un anno da Vaia, la tempesta che a fine ottobre 2018 ha sradicato 42 mila ettari di boschi nel nordest italiano, “si ripropone la costruzione delle strutture precedenti, senza rivalutarle o considerare interventi meno impattanti”, afferma l’ingegnere del CIRF.

Secondo Barbara Lastoria, responsabile della direttiva alluvioni presso l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), “in Italia è diffusa la tendenza ad attuare interventi localizzati, che non tengono conto della necessità di adottare una visione pianificatoria a scala di bacino, come prevede la normativa”. Nonostante dal 2015 le autorità di bacino distrettuale siano obbligate a redigere un piano di gestione dei sedimenti, “le escavazioni in alveo o le pulizie dei corsi d’acqua che includono anche la rimozione di vegetazione condotte senza tale visione rischiano di provocare impatti ben più gravi dei problemi che vorrebbero risolvere”, segnala Lastoria.
La restituzione dello spazio sottratto ai fiumi è indicata come misura vincente anche nei Piani di gestione del rischio di alluvioni perché unisce la tutela ambientale alla mitigazione. “In Italia però raramente appare questo tipo di intervento nei progetti concreti -afferma Goltara- e più spesso si occupano terreni in aree alluvionali che andrebbero mantenuti liberi per lasciare esondare i fiumi”.

Sulla siccità l’Unione europea ha emanato due comunicazioni; nell’ultima, risalente al 2012, è citata una ricerca del progetto europeo Clim.Wat.Adapt, secondo la quale per il 2030 il numero dei bacini idrografici europei colpiti da carenza idrica aumenterà del 50%. Jippe Hoogeveen, funzionario del dipartimento Land and Water presso la FAO ed esperto di risorse idriche, ritiene che “prima di costruire ulteriori opere per sfruttare maggiormente la risorsa, bisognerebbe concentrarsi sulla riduzione degli sprechi negli usi irrigui, domestici e industriali”. L’importanza della questione emerge dai dati Istat 2019, secondo i quali il 47% dell’acqua potabile prelevata in Italia non raggiunge l’utente a causa delle perdite lungo la rete di distribuzione.
Vista la crescita dei consumi idrici domestici “è importante responsabilizzare la popolazione”, sostiene Paul Hickey, preoccupato per il consumo medio che raggiunge in Inghilterra i 140 litri per abitante al giorno, ma su cui l’Italia ha il primato in Ue, con 220 litri/ab. al giorno.
Per Hoogeveen è “prioritario prendere provvedimenti sull’agricoltura: l’irrigazione va resa più efficiente e razionalizzata”. In effetti, secondo i dati della FAO, il 70% dei consumi idrici globali è impiegato in questo settore (in Italia circa il 50%, secondo Istat).

Il segretario generale dell’autorità di bacino del Po Meuccio Berselli guarda con apprensione alle proiezioni per i prossimi decenni nella pianura padana indicate dal PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, 2017) in una riduzione di circa il 20% della disponibilità di acqua. Nell’area del Po, in cui è presente il 45% delle coltivazioni di tutto il Paese, secondo Berselli “non sarà sufficiente agire sugli sprechi, quindi abbiamo lavorato su un piano di invasi collinari e montani che faranno fronte ai periodi di maggiore richiesta idrica”. Sul Piano straordinario invasi il ministero delle Infrastrutture, guidato all’epoca da Danilo Toninelli, aveva previsto nel dicembre 2018 lo stanziamento di ben 250 milioni di euro. A tal proposito, il direttore del CIRF si dice “preoccupato di non riscontrare un approccio volto a salvaguardare gli ecosistemi e a non danneggiare le aree fluviali, già fortemente antropizzate”.
“La tutela degli ambienti fluviali e una gestione sostenibile della risorsa idrica sono fondamentali per evitare l’eccessivo depauperamento delle falde, il cui abbassamento -ricorda Barbara Lastoria- può incidere anche sull’avanzamento del cuneo salino”, rendendo inutilizzabile la risorsa per gli usi irrigui.
Le sfide da affrontare sono molte, ma ciò che rischia di vanificare le buone pratiche per l’adattamento agli eventi estremi è la continua crescita del consumo di suolo, che Goltara individua come “problema principale a lungo termine”.
Restituire lo spazio alla vegetazione è l’unica azione in grado simultaneamente di mitigare gli eventi estremi, ridurre i gas serra, ripristinare le falde, salvaguardare le risorse idriche e la biodiversità. Tuttavia la direttiva Ue sul consumo di suolo è rimasta una proposta e il disegno di legge in Italia ancora incompiuto. Come illustra il recente rapporto dell’ISPRA 2019, in Italia l’occupazione di suolo cresce al ritmo di due metri quadrati al secondo.

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