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Ambiente / Opinioni

L’era dei cambiamenti climatici in mostra

Il Museo di Roma ha organizzato un’esposizione fotografica con Greenpeace, aperta fino al 10 marzo. Ci siamo stati, con qualche sorpresa. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 212 — Febbraio 2019
Il pianista Ludovico Einaudi suona su una piattaforma galleggiante nell'Oceano Artico. Una delle foto in mostra a Roma

Passeggiando fra vie e piazzette arrivo davanti al Museo di Roma in Trastevere, con lo striscione della mostra “Vento, caldo, pioggia, tempesta. Istantanee di vita e ambiente nell’era dei cambiamenti climatici”, organizzata con la collaborazione di Greenpeace, aperta fino al 10 marzo. “Qualcosa sta cambiando!”, dico a chi mi accompagna. Ormai il riscaldamento globale è diventato un argomento di interesse per la popolazione, si trovano anche mostre nei musei. “Bene!”.

Entriamo, paghiamo il biglietto, saliamo al secondo piano e ci aspetta una galleria di belle foto che spaziano dall’alluvione in Texas alle barriere coralline, dalla distruzione portata nelle Filippine dal tifone Hayan alla siccità in Africa. In una calle di Venezia un ragazzo con l’acqua fino al ginocchio tira un carrello di ferro che trasporta i bagagli dei turisti. Davanti al Ponte di Rialto il trolley del turista è per metà in acqua. Ludovico Einaudi suona un pianoforte nero galleggiante su una piattaforma davanti ai bianchi ghiacci delle Svalbard. Uno spettacolo, ne valeva la pena. Non siamo in pochi, anche se non c’è l’affollamento tipico di altri musei romani. Dopo pochi minuti togliamo tutti il cappotto; nelle sale fa caldo, parecchio caldo.

Passo la foto della persona che rema sul canotto lungo la superstrada 610, nell’area di Houston e mi accorgo la finestra a fianco è aperta. Il custode non è lontano. Provo con una battuta: “Certo che la finestra aperta con questo caldo in una mostra sul cambiamento climatico…”. Ha voglia di parlare, mi racconta che è sempre così, che l’hanno segnalato, che ci sono momenti in cui è anche più caldo. Lui di solito lavora in un altro museo e là invece qualche settimana prima hanno preso molto freddo.

La deformazione professionale mi porta a fare due passi e controllare i termoconvettori: sono accesi, al massimo mi sembra. Accenno ad aprire la mascherina dei comandi e il custode mi dice che non ci si può fare nulla, c’è una società che è incaricata di fare la regolazione. Ma ho già la mano sulla manopola. È sul massimo, la giro sul minimo. Dico: “Intanto questo l’ho abbassato”. Mi risponde che non si potrebbe, lui non può farlo perché c’è una ditta. Con il sorriso provo a insistere. “Se ne abbassiamo qualcuno magari il caldo diminuisce, meno consumi energetici meno CO2 e questi bellissimi ghiacciai magari li aiutiamo”. Forse non l’ho detto in modo abbastanza convinto.

L’analisi dei dati ad oggi disponibili mostra che anche il 2018 si colloca tra gli anni più caldi della storia recente del nostro Pianeta, anche se non ha battuto il record del 2016. Per l’Italia i dati dell’ISAC-CNR mostrano come il 2018 è stato l’anno più caldo degli ultimi 219 anni

Come risposta mi invita a seguirlo davanti ad una foto mentre mi dice: “Ma sì, poi tanto guardi qui cosa fanno”. La foto è di un edificio di Lampedusa, sul tetto un grande impianto fotovoltaico, nella parete ci sono cinque split di condizionatori. Il problema sarebbe che è inutile fare l’energia rinnovabile se poi usiamo i condizionatori. Abbozzo che a Lampedusa d’estate fa parecchio caldo, magari non si poteva fare un cappotto isolante per l’edificio, ed è meglio usare i pannelli solari di un motore a gasolio. Cerco di chiudere il discorso e di godermi la mostra, ma il caldo non aiuta a cambiare i pensieri, così come le foto degli incendi in California.

Perché la sensazione è che in questi due minuti, in questo breve dialogo si è riassunta la complessità del problema su cui la mostra vorrebbe sensibilizzare. L’enormità della sfida. La difficoltà nel provare a cambiare i nostri comportamenti. La sfiducia che ormai ci accompagna. Il grave ritardo che abbiamo accumulato. E quelle foto ci ricordano.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2016)

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