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Cultura e scienza / Intervista

Enrico Bassi. Disegnare la felicità

"Glifo", uno degli ausili co-progettati da "OpenDot" © Opendotlab

L’innovazione in campo sanitario passa anche da oggetti di uso comune. L’esperienza del fablab “OpenDot” che realizza giochi e strumenti su misura per persone con disabilità

Tratto da Altreconomia 215 — Maggio 2019

“Spesso il successo di un prodotto di design si misura nel numero di progetti venduti e non in termini di impatto che quel prodotto genera o in termini di felicità”. Enrico Bassi ha scelto di dedicarsi al design che produce felicità e che può migliorare concretamente la vita delle persone più fragili. Dopo una laurea conseguita presso il Politecnico di Milano e alcuni anni di lavoro presso un importante studio internazionale ha fatto rientro in Italia dove, al termine di un periodo trascorso a Torino, dal settembre 2014 coordina il fablabOpenDot” di Milano.

Uno spazio suddiviso in aree di lavoro dedicate alla falegnameria, alle macchine a controllo numerico, all’elettronica dove sono presenti macchinari di alto livello tecnologico e di ultima generazione (su tutti, computer e stampanti 3D) che vengono messi a disposizione di chi ha un progetto da realizzare e vuole tradurlo in realtà. In autonomia o con l’aiuto di personale esperto. “Inoltre il progetto può essere pubblicato online oppure spedito a un fablab dall’altra parte del mondo che può replicarlo o costruire un nuovo oggetto derivato”, spiega Bassi. Nati circa vent’anni fa e diffusi oggi in tutto il mondo (sono circa 1.300, dagli Stati Uniti all’Europa, passando per diversi Paesi in via di sviluppo) i fablab hanno una forte impronta sociale: “Possiamo dire che ciascun fablab abbia la propria ‘anima’: c’è chi lavora in ambito educativo, chi sviluppa progetti per le comunità locali.

Qual è l’anima di “OpenDot”?
EB Noi lavoriamo prevalentemente sull’innovazione in ambito sanitario. Non si tratta però di dispositivi medicali, ma di oggetti di uso comune: giochi per bambini con disabilità, software per la riabilitazione neuro-motoria, sedute ergonomiche, mobili per chi ha esigenze specifiche, che devono essere progettati e realizzati su misura. Dal 2015 collaboriamo con la fondazione “Together to go” (TOG – togethertogo.org), che assiste bambini affetti da patologie neurologiche complesse, molti dei quali con gravi deficit motori, che necessitano di soluzioni personalizzate per favorire il miglioramento della qualità della vita e il raggiungimento di una maggiore autonomia.

Puoi farci qualche esempio?
EB Nell’ambito di questa collaborazione con Fondazione “TOG” abbiamo sviluppato “Glifo”. Si tratta di un ausilio di plastica, leggero e colorato, che permette a bambini con disabilità di colorare e divertirsi. La caratteristica interessante di questo progetto sta nel fatto che lo abbiamo sviluppato in collaborazione con i fisioterapisti della Fondazione: ci hanno spiegato che molti bambini non riescono a impugnare correttamente matite o pennarelli perché la stimolazione sul palmo della mano li porta a chiudere il pugno con molta forza, rendendo così inutilizzabile i dispositivi che vengono solitamente usati. Questo, ci ha portato a creare un oggetto completamente diverso, da applicare al dorso della mano, altrettanto funzionale. Abbiamo progettato e costruito una bicicletta a tre ruote, con un sellino ergonomico e un supporto ad hoc per la schiena, per un bambino che soffre di una patologia neurologica complessa; un rullo che viene utilizzato per la fisioterapia. Abbiamo anche rivisitato, in chiave giocosa, un ausilio che aiuta i bambini che non hanno ancora il controllo del tronco e rimanere seduti in posizione corretta.

“Abbiamo progettato e costruito una bicicletta a tre ruote, con un sellino ergonomico e un supporto ad hoc per la schiena, per un bambino che soffre di una patologia neurologica complessa”

Quali sono i punti di forza di questa tipologia di progettazione?
EB Sicuramente il fatto di poter produrre oggetti estremamente personalizzati in base alle esigenze di ciascuno in tempi relativamente brevi e a costi accessibili. Inoltre, molti progetti sono disponibili liberamente in rete per essere scaricati e questo permette di riprodurli in serie, oppure apportare ulteriori modifiche e personalizzazioni. Ma c’è un secondo livello che, secondo noi, sarebbe interessante raggiungere.

Quale?
EB Un coinvolgimento attivo, o meglio proattivo, della persona che si rivolge a noi, che diventa partecipe della progettazione dell’ausilio di cui ha bisogno: è quella che noi chiamiamo co-progettazione. Questo richiede un cambio di mentalità non semplice da effettuare. Ma lentamente questa idea si sta facendo strada. Da noi sempre più spesso arrivano persone che hanno una necessità e sul mercato trovano una serie di ausili che vanno più o meno bene, ma non sono mai ottimali. Hanno quindi l’esigenza di adattare un oggetto già esistente, oppure di costruirlo ex novo. Loro ci spiegano di che cosa hanno bisogno e noi ci mettiamo il lato tecnico per raggiungere una soluzione che sia replicabile e sempre modificabile.

Che cosa intendi per co-progettazione?
EB Significa creare uno spazio dove mettere le opinioni, le competenze e le competenze di ciascuno. Perché tutti siamo esperti in qualcosa e la formazione reciproca è fondamentale: medici, progettisti, e persone con disabilità, esperti della loro condizione, si ascoltano a vicenda, condividono conoscenze e competenze, incrociandole.

Quanti progetti riuscite a sviluppare, mediamente, in un anno?
EB Fare questa stima è molto difficile. Ci sono alcune soluzioni molto piccole che richiedono pochissimo tempo, altre invece, molto più complesse, richiedono anche un anno di lavoro. Realizzare il prototipo di un’idea ormai è abbastanza veloce, i problemi nascono quando devi renderla stabile, utilizzabile e replicabile anche da altri. Sono quelle le fasi che richiedono più tempo.

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