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Sversamenti di petrolio in Nigeria, Eni va a processo in Italia

A citare in giudizio la multinazionale del petrolio è la comunità degli Ikebiri che, di fronte all’impossibilità di ottenere giustizia nel Paese d’origine, ha scelto di ricorrere a un tribunale italiano. Chiesto un risarcimento di due milioni di euro. Il processo è stato aggiornato al 18 aprile

Uno sversamento di petrolio nel Goi Creek, Nigeria, agosto 2010. © Friends of the Earth International

Si svolgerà in Italia, presso il Tribunale di Milano, a partire da aprile, lo storico processo che vede sul banco degli imputati la multinazionale italiana del petrolio Eni e la sua controllata Nigerian Agip Oli Company (Naoc). Le aziende sarebbero responsabili di uno sversamento di petrolio nella regione del Delta del Niger avvenuto il 5 aprile 2010 che avrebbe contaminato un territorio di 17,5 ettari. A citare in giudizio il gigante italiano degli idrocarburi è stata la comunità Ikebiri, una popolazione di cinquemila persone che vive di pesca e agricoltura, con il supporto dell’ong Friends of the earth.

“Oggi (ieri per chi legge, ndr) è stata fatta la storia”, commenta Godwin Ojo, direttore di Friends of the earth Nigeria e ieri ha partecipato all’udienza preliminare del processo. Gli Ikebiri e l’associazione ambientalista chiedono una bonifica totale della superficie inquinata e una compensazione per i danni subiti pari a 2 milioni di euro. Eni e Naoc, per contro, affermano di aver già effettuato la bonifica e avrebbero proposto un’offerta di risarcimento -stando alle affermazioni di Ojo- di 4,5 milioni di naira (equivalente a circa 20mila euro). “Il nodo critico dell’udienza di oggi (ieri per chi legge, ndr) era il possibile rifiuto del giudice nell’accogliere il provvedimento per mancanza di giurisdizione -spiega Luca Saltalamacchia, avvocato civilista che segue pro bono la causa in rappresentanza degli Ikebiri-. Il giudice ha scelto invece di non pronunciarsi su questo punto, aggiornando il processo al 18 aprile quando si entrerà nel merito della questione. E questo è sicuramente un elemento positivo”.

“In Nigeria episodi di questo tipo sono molto frequenti -aggiunge Saltalamacchia -. Purtroppo per le comunità è molto difficile avere giustizia. Anche le poche volte in cui riescono ad arrivare ai tribunali e a ottenere sentenze favorevoli, difficilmente queste vengono implementate”. Da qui la decisione di Friends of the Earth e della comunità Ikebiri di ricorrere in giudizio davanti a un tribunale italiano. “Naoc ha ammesso la propria responsabilità e riconosce il fatto di dover risarcire la comunità, anche se in forma minima, mentre Eni si dichiara estranea -spiega l’avvocato-. Noi abbiamo cercato di ricostruire la responsabilità della controllante, in base a quelle regole che Eni stessa si è data con le norme di due diligence”.

C’è poi il nodo della bonifica. Naoc afferma di aver effettuato l’intervento e ha prodotto un documento che attesta lo sversamento dell’equivalente di 50 barili di greggio. Le analisi condotte da Friends of the Earth, però, attestano livelli di inquinanti “ben al di sopra del limite stabilito dalle leggi nigeriane” spiega Saltalamacchia. Sulla questione dovrà decidere il Tribunale di Milano, la prossima udienza è fissata per il 18 aprile.

Gli Ikebiri, così come molte comunità locali che vivono nella regione del Delta del Niger, vivono di pesca e agricoltura. “L’inquinamento causato dal petrolio ha reso impossibile il sostentamento per la comunità -spiega Godwin Ojo-. Le multinazionali hanno sfruttato le nostre risorse e hanno inquinato gravemente il territorio. Venendo in Italia spero di ottenere giustizia più velocemente, il nostro obiettivo è quello di ottenere sia la bonifica, sia il pagamento dell’indennizzo per i danni subiti: la nostra comunità è stata privata dei mezzi di sussistenza”.

Il Delta del Niger è un territorio potenzialmente ricchissimo. Nel 1956 vennero scoperti i primi giacimenti petroliferi, risorse importanti che avrebbero potuto assicurare ricchezza e benessere per le popolazioni locali, che invece oggi vivono in condizioni di estrema povertà, in un ambiente devastato dalle trivellazioni, dal gas flaring (la combustione del gas naturale in eccesso estratto assieme al petrolio) e dalle fuoriuscite di petrolio che inquinano i terreni, i fiumi e le falde acquifere. Gli sversamenti di petrolio (in inglese oil spills) sono molto frequenti in Nigeria, anche se raramente vengono documentati e denunciati. “Negli ultimi cinquant’anni ci sono stati almeno 10mila sversamenti -spiega Godwin Ojo-. Quello che è più grave è il fatto che a queste fuoriuscite di petrolio  non seguono le bonifiche. Ma non solo: in diversi casi, invece di ripulire il terreno viene dato fuoco al combustibile, nel tentativo di cancellare le tracce”.

Una situazione di cui è responsabile anche il governo nigeriano. “La dipendenza dal petrolio è forte e davanti a questa situazione il nostro governo non vuole agire e non vuole responsabilizzare le grandi imprese -spiega Godwin Ojo-. Il gas flaring, ad esempio, è illegale. E nel 2005 c’è stata una sentenza che ha condannato la Shell per questa prassi. Eppure le aziende continuano a bruciare il gas in eccesso. Vorremmo che venisse messa fine all’impunità delle aziende e che queste smettessero di agire come se fossero al di sopra della legge”.

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