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Ambiente / Attualità

Eni continua a investire sul petrolio. Legambiente chiede un cambio di rotta

Il rapporto “Enemy of the Planet” dell’associazione evidenzia i bassi investimenti per progetti su rinnovabili ed economia circolare da parte della multinazionale, che nel 2018 ha registrato il record di produzione di petrolio con oltre 1,9 milioni di barili al giorno. Comportamenti distanti dai messaggi pubblicitari sulla “sostenibilità” dell’impresa

@Legambiente

Mentre in tutto il mondo si discute di come ridurre le emissioni di anidride carbonica e la sfida globale è quella di contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, la multinazionale degli idrocarburi Eni -controllata dal ministero dell’Economia- continua a puntare sui combustibili fossili. A fronte degli importanti risultati raggiunti nel settore “gas&oil” gli investimenti di Eni nel settore delle rinnovabili resta infatti esiguo. “Briciole” le ha definite Legambiente che, con il rapporto “Enemy of the Planet. Perché Eni ci riguarda e  rischia di diventare sempre più un nemico del Pianeta” ha lanciato, per il secondo anno, un allarme sulla situazione e sui danni ambientali già evidenti e sul pericolo che Eni rappresenta per il Pianeta se non cambierà direzione di marcia. Per le fonti pulite, Eni “ha come obiettivo una potenza installata di energia elettrica pari a circa 5 GW al 2025” ma nel 2018 ha investito solo 143 milioni di euro in sviluppo di progetti su rinnovabili ed economia circolare evidenzia Legambiente nel report.

da eni.com

Il 2018 è stato un anno record per il cane a sei zampe: l’azienda italiana, attiva in 67 Paesi nel Mondo, ha raggiunto un nuovo record di produzione, con oltre 1,9 milioni di barili al giorno -la quota più alta mai registrata dalla compagnia- con un incremento del 5% rispetto al 2017. Un risultato importante per i conti della società che ha registrato nel 2018 ricavi complessivi per 75.822 milioni di euro, in crescita del 13% rispetto al 2017 (quando i ricavi complessivi si attestarono a 66.919 milioni di euro) e del 36% rispetto al 2016 (55.762 milioni di euro). Sempre nel corso del 2018, Eni ha effettuato interventi tecnici per un valore pari a 9.119 milioni di euro, di cui 463 milioni in ricerca esplorativa e 6.506 milioni in sviluppo riserve di idrocarburi. Oltre ai 59.362 milioni di euro di capitale netto investito per l’anno 2018, di cui l’84,8% in attività di esplorazione e produzione, con un aumento dello 0,6% rispetto all’anno precedente.

“L’uscita dalle fonti fossili di energia è una condizione non più negoziabile. Nei prossimi mesi l’Italia dovrà come tutti gli altri Stati membri, presentare un piano coerente con gli obiettivi europei su clima e energia al 2030, in grado anche di guardare agli obiettivi al 2040, mentre Eni continua a investire soprattutto sugli idrocarburi”, ha commentato Stefano Ciafani, direttore di Legambiente. “Eni sta sbagliando rotta e chiediamo al governo Conte di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale, indirizzando le politiche dell’azienda sulle fonti rinnovabili”.

E il futuro dell’azienda -in base a quanto prospettato dal Piano industriale al 2022- non sarà affatto diverso. “Si evidenzia una crescita del portafoglio esplorativo con l’obiettivo di scoprire 2,5 miliardi di barili nel quadriennio, la crescita delle produzioni ad un tasso medio annuo del 3,5% con una conseguente crescita della generazione di cassa con un free cash flow cumulato pari a 22 miliardi euro. Tutto questo con la perforazione di più di 140 nuovi pozzi in più di 25 Paesi”, si legge nel rapporto di Legambiente. L’azienda, inoltre, ha acquisito oltre 29mila chilometri quadrati di nuovi titoli esplorativi distribuiti tra Messico, Libano, Alaska, Indonesia e Marocco.

Oltre alle criticità legate ai cambiamenti climatici, Legambiente evidenzia anche le diverse vertenze giudiziarie e le proteste contro progetti e impianti controversi in Italia e nel resto del mondo. A Milano, alcuni ex manager di Eni sono a processo per la maxi tangente da oltre un miliardo di dollari versata a pubblici ufficiali e politici nigeriani per lo sfruttamento del giacimento petrolifero Opl 245, in cui lo Stato nigeriano si è costituito parte civile. In Congo le comunità locali protestano contro i progetti di Eni per l’esplorazione di sabbie bituminose e la produzione di olio di palma a scopo alimentare ed energetico denunciando l’assenza di coinvolgimento e di consultazione. Tra le accuse, elenca Legambiente, la pratica del gas flaring (bruciando a cielo aperto il gas naturale collegato all’estrazione del greggio) le cui emissioni, entrando nel ciclo dell’acqua, sono correlate al fenomeno delle piogge acide.

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