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Emergenza Covid-19: i bandi discriminatori negli ospedali a danno dei lavoratori stranieri

In piena emergenza sanitaria alcune strutture hanno pubblicato avvisi per l’assunzione di medici e infermieri riservandoli ai soli cittadini italiani o dell’Unione europea. Un’iniziativa discriminatoria e illegittima in contrasto con i decreti governativi approvati per affrontare l’epidemia. La denuncia di Italiani senza cittadinanza, Lunaria e Asgi

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In piena emergenza sanitaria da Covid-19 alcuni ospedali italiani hanno pubblicato bandi per l’assunzione di medici e infermieri riservandoli ai soli cittadini italiani o dell’Unione europea. Un’iniziativa discriminatoria e illegittima in contrasto peraltro con i decreti governativi approvati per affrontare l’epidemia e rispondere alla domanda straordinaria di personale.
È quanto denunciano le associazioni Italiani senza cittadinanza, Lunaria e Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), firmatarie di diverse lettere indirizzate tra gli altri all’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma e all’azienda ospedaliera “Garibaldi” di Catania.

“Tutte le competenze e le capacità disponibili, e quindi anche dei cittadini stranieri che risiedono nel nostro Paese, devono poter essere messe a disposizione, soprattutto in campo medico e paramedico”, affermano le associazioni.
L’inizio della vicenda risale all’11 marzo scorso quando il “Lazzaro Spallanzani” di Roma ha pubblicato due avvisi per l’assunzione a tempo determinato (12 mesi), “con disponibilità immediata”, di 24 dirigenti medici specialisti di anestesia e rianimazione e 16 operatori socio sanitari (OSS). Il primo requisito di partecipazione indicato per gli aspiranti candidati è la cittadinanza italiana, “salve le equiparazioni indicate dalle leggi vigenti”, oppure quella “di uno dei Paesi appartenenti all’Unione europea”.

A quel punto Lunaria e Italiani senza cittadinanza hanno contattato il servizio anti-discriminazione di Asgi “per capire, nel dettaglio, come far fronte a questa discriminazione contenuta nei bandi”, considerata “assurda in tempi difficili come quello attuale”. L’analisi condotta dall’associazione di giuristi ha confermato che il bando relativo ai medici anestesisti in particolare sarebbe discriminatorio.

L’attuale ordinamento del nostro Paese, infatti, prevede una sola ripartizione tra posti di lavoro in base alla cittadinanza: quelli che comportano l’esercizio di pubbliche funzioni, riservati ai soli cittadini italiani, e tutti gli altri ai quali devono essere ammesse tutte le categorie indicate all’art. 38 del Testo unico del pubblico impiego. “Il fatto stesso che il bando sia aperto ai cittadini Ue comporta quindi necessariamente l’ammissione anche delle altre categorie indicate in detto articolo -scrivono le associazioni-: lungo soggiornanti, titolari di protezione internazionale, familiari extra Ue di cittadini dell’Unione”.
Non solo: come ha più volte ribadito la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), gli Stati possono invocare la cosiddetta “riserva di cittadinanza” solamente per quelle mansioni che comportino “un esercizio continuativo di pubblici poteri”, non certo quando questo sia “sporadico” com’è quello della professione medica. Quando quella riserva è posta impropriamente, ricordano le tre associazioni, potrebbe configurarsi “una discriminazione secondo i principi affermati dalla CGUE, essendo idonea a dissuadere fortemente determinati candidati dal presentare le proprie candidature e, quindi, a ostacolare il loro accesso al mercato del lavoro”.

Di conseguenza per le tre firmatarie delle missive quel bando dello Spallanzani dovrebbe “essere aperto alla partecipazione di tutte le categorie” previste dal Testo unico del pubblico impiego. “Ci rendiamo conto della urgenza di chiudere la procedura ma riteniamo che la parità di trattamento e il conseguente divieto di discriminazione in base alla cittadinanza debbano essere comunque salvaguardati, anche nell’interesse della Pubblica amministrazione di attingere alle risorse migliori e più disponibili, indipendentemente dallo status civitatis”.

Accanto all’istituto di Roma c’è poi il “Garibaldi” di Catania, anch’esso autore di una serie di avvisi per il reclutamento di personale sanitario per l’emergenza legata al Covid-19. Il 13 marzo scorso l’ospedale siciliano ha pubblicato tre avvisi per individuare, tramite incarichi di lavoro autonomo, “collaboratori professionali sanitari – ostetriche, operatori socio sanitari e collaboratori professionali sanitari – Infermieri”. Anche per questi avvisi vale come primo requisito il possesso della cittadinanza italiana o di uno dei Paesi dell’Unione europea.
Si tratterebbe di un ostacolo “privo di base legale e discriminatorio”, come spiega ad Altreconomia l’avvocato Alberto Guariso di Asgi. “In materia di lavoro autonomo non c’è alcuna norma che consente di apporre limitazioni in base alla cittadinanza: vale il principio generale di parità di trattamento tra italiani e stranieri ed è espressamente vietato discriminare in base alla nazionalità nell’esercizio delle attività professionali”.
Guariso aggiunge un elemento interessante. “Il 9 marzo scorso il Governo ha approvato il decreto legge 14 per il il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza. Nelle misure straordinarie per l’assunzione degli specializzandi e per il conferimento di incarichi di lavoro autonomo a personale sanitario ha previsto che questi potessero essere conferiti anche ai laureati in medicina e chirurgia abilitati all’esercizio della professione medica e iscritti agli ordini professionali ‘anche se privi della cittadinanza italiana, abilitati all’esercizio della professione medica secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza, previo riconoscimento del titolo”. Non si capisce quindi l’atteggiamento dell’ospedale di Catania.

Peraltro non più tardi del 17 marzo scorso il governo ha approvato un altro decreto legge, il Dl “Cura Italia”, che al Titolo primo indica “misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale”. Come ricorda anche il comunicato di Palazzo Chigi, il testo ha introdotto “una deroga alle norme di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie, per consentire l’esercizio temporaneo sul territorio nazionale a chi ha conseguito una professione sanitaria all’estero, regolata da specifiche direttive dell’Unione europea”. Gli ospedali di Roma e Catania, a quanto pare, si muovono su un piano diverso.

Ecco perché Asgi, Italiani senza cittadinanza e Lunaria, “vista l’imminente scadenza dei bandi e tenuto conto dell’emergenza sanitaria in atto”, come ricordano, hanno scritto ai due istituti chiedendo di “rettificarli immediatamente, cessare la discriminazione e rendere così possibile l’accesso anche a chi ne è stato, se pur solo formalmente, escluso”.

L’obiettivo è anche quello di evitare che “in un momento così delicato si veda un proliferare inutile di bandi discriminatori ed escludenti che non fanno bene a nessuno”. Per l’avvocato Guariso potrebbe essere anche l’occasione per “rimettere mano finalmente a una normativa contorta e confusa oltreché a delle prassi frutto di preconcetti, chiarendo una volta per tutte che per l’assunzione di personale sanitario la cittadinanza non può rappresentare un elemento distintivo. Anche se tornati alla normalità sarà difficile affrontare l’argomento”.

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