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Elusione fiscale d’impresa: che fa l’Europa?

Il 12 aprile 2016 la Commissione Europea presenterà la propria proposta di direttiva in materia di maggiore trasparenza delle imposte sulle società, ma c’è il rischio che il provvedimento non sia all’altezza del problema che dovrebbe affrontare. La bozza, infatti, prevede condizioni che escluderebbero fino al 90% delle multinazionali dall’obbligo di rendicontazione. Per questo le organizzazione della società civile hanno scritto a Jean Claude Juncker e a Federica Mogherini 

Il 12 aprile 2016 la Commissione Europea presenterà la propria proposta di direttiva in materia di maggiore trasparenza delle imposte sulle società, secondo un modello che viene definito del “country-by country-reporting” pubblico (CBCR), ovvero di una rendicontazione pubblica da parte delle multinazionali di alcune informazioni finanziarie chiave per ogni singolo paese in cui operano tramite società controllate. 

Una misura di trasparenza che può permettere, se disegnata in modo efficace, di gettare luce su situazioni ‘patologiche’ in cui un gruppo multinazionale dichiara profitti considerevoli in un paradiso fiscale a fronte di una ridotta o inesistente attività economica o un numero di impiegati irrisorio. Il CBCR pubblico aiuterebbe così a ricostruire in dettaglio la struttura e l’operatività di una corporation e a seguire gli spostamenti degli utili fra le compagnie del gruppo effettuati con la finalità di ottimizzare il proprio carico fiscale globale.            
 
L’obbligo di country-by-country reporting pubblico è già in vigore in UE per il settore bancario, estrattivo e forestale, e con la nuova direttiva si intende ora estenderne l’ambito di applicazione alle multinazionali in tutti i settori economici. “La bozza di direttiva, anticipata nei giorni scorsi dal quotidiano The Guardian, evidenzia tuttavia tre grandi criticità, e se il testo finale del provvedimento rimanesse in questa forma sarebbe una misura di trasparenza incapace di disincentivare gli abusi fiscali delle imprese multinazionali -spiega ad Ae Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia sui temi di giustizia fiscale-: intanto, l’obbligo di reporting, che renderebbe informazioni importanti fruibili da Ong, giornalisti, think tank indipendenti, potrebbe riguardare solo quelle imprese con un fatturato consolidato annuo di almeno 750 milioni di dollari, e questo escluderebbe, stime OCSE alla mano, tra l’85 e il 90% delle multinazionali".
 
“C’è poi un ulteriore elemento estremamente preoccupante -continua Maslennikov-: mentre i dati finanziari verrebbero presentati paese per paese all’interno dell’UE, la Commissione Europea sembra intenzionata ad imporre l’obbligo di rendicontazione per le attività nei Paesi extra-UE, il che significa Paesi in via di sviluppo ma anche molti noti paradisi fiscali,  in modo aggregato. Questo non permetterebbe di denunciare e chiedere apertamente conto alle multinazionali del perché siano presenti in alcuni territori con attività economica ridotta, con poca forza lavoro, ma registrando utili significativi. È a serio rischio, se i dati extra-UE rimanessero aggregati, una rendicontazione efficace che permetta di indagare meccanismi e ragioni del trasferimento infragruppo degli utili, gli abusi di transfer-pricing e altre strategie e pratiche di ottimizzazione fiscale”, come ad esempio quelle denunciate in passato da Altreconomia per Ikea e Coca-Cola, e più recentemenre per Airbnb.
 
“Il terzo ordine di problemi -riprende l’analisi di Maslennikov- riguarda la tipologia dei dati che dovrà essere rendicontata, perché si lasciano fuori alcuni elementi chiave, come la lista delle sussidiarie, le vendite, gli asset e gli eventuali sussidi pubblici ricevuti. La società civile vorrebbe che la Commissione Europea facesse riferimento al modello predisposto dall’OCSE e sostenuto dal Parlamento europeo nella Direttiva sui diritti degli azionisti”.
 
Quindi: la misura è importantissima, perché potrebbe imporre chiarezza sul livello effettivo di tassazione in ogni Paese in cui ogni gruppo multinazionale opera, garantendo informazioni fondamentali a tutti i portatori d’interesse, “ma la direttiva non è all’altezza del problema che dovrebbe affrontare, e per questo speriamo che il testo possa essere modificato in sede di Collegio dei Commissari” conclude Maslennikov.
 
Proprio per segnalare le criticità del provvedimento e chiedere una revisione del testo, martedì è partita una lettera diretta a Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, firmata da 45 organizzazioni non governative e reti che lavorano per la giustizia fiscale (tax justice) in tutta Europa. Le realtà di ogni singolo Paese hanno poi inviato una lettera al proprio commissario, quindi nel caso italiano a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza.

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