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Economia / Approfondimento

Gli effetti redistributivi delle politiche sul clima non sono per tutti

Un manifestante dei “gilet gialli” in Francia, movimento di protesta nato nel maggio 2018 contro l’aumento dei prezzi del carburante - © flickr.com/photos/131085807@N07/

Gli interventi per contenere le conseguenze dei cambiamenti climatici dovrebbero migliorare le condizioni dei più vulnerabili. Ma alcune misure (non solo fiscali) rendono più profonda la distanza tra ricchi e poveri

Tratto da Altreconomia 222 — Gennaio 2020

“La transizione verso un’economia a basso impatto ambientale deve essere ‘desiderabile’, in particolare per le fasce più deboli della popolazione”. Vittorio Cogliati Dezza è stato presidente di Legambiente e oggi è impegnato nel Forum Disuguaglianze e Diversità (ForumDD). Cita Alexander Langer, uno dei promotori del movimento dei Verdi in Italia negli anni Ottanta, per presentare la riflessione che il ForumDD (forumdisuguaglianzediversita.org), coordinato da Fabrizio Barca, economista ed ex ministro della Coesione territoriale, ha portato nel nostro Paese: oggi è fondamentale indagare gli effetti redistributivi degli interventi che dovrebbero mitigare e contenere le conseguenze del cambiamento climatico.

Il punto è uno: se è vero che per contenere l’innalzamento della temperatura media globale entro 1,5° dobbiamo intervenire al più presto e in modo radicale (e l’Emissions Gap Report 2019 presentato a fine novembre 2019 dallo United Nations Environment Programme misura la riduzione attesa delle emissioni, che dovrebbe essere del 7,6% ogni anno fino al 2030), le politiche pubbliche non possono più prescindere dall’attenzione nei confronti di chi ci perde e chi ci guadagna. “Giustizia ambientale e sociale si conquistano assieme” è una delle 15 proposte del ForumDD. Tradotto: “Le politiche ambientali devono come prima cosa mirare a migliorare le condizioni dei più vulnerabili”.

A metà ottobre Legambiente e ForumDD, nell’ambito del dibattito sulla legge di Bilancio 2020, hanno presentato una serie di  proposte, un documentato dal titolo “È ora il tempo del Green New Deal”. Spiega Cogliati Dezza: “Chiediamo che le spese per la mitigazione e l’adattamento al climate change siano escluse dal deficit e dal calcolo del debito pubblico. Consideriamo la leva fiscale fondamentale. Serve un aumento delle tasse per i prodotti nocivi, come la plastica, ma a due condizioni: che si accompagni a un incentivo per le aziende che creano prodotti a basso impatto e che le risorse siano investite per ridurre le disuguaglianze”.

In Italia non è successo negli ultimi dieci anni per gli incentivi alla riqualificazione energetica delle abitazioni, che non sono stati per tutti. Secondo i dati del ministero dell’Economia, gli interventi realizzati grazie all’ecobonus sono fortemente concentrati tra le famiglie più benestanti. In pratica, ad accedere ai benefici, che sotto forma di detrazione fiscale permettono di cambiare gli infissi o le caldaie, isolare i tetti o i muri con il “cappotto termico”, sono stati gli italiani ricchi. Ad analizzare la distribuzione dell’incentivo, con riferimento al periodo 2008-2017, è stato Giovanni Carrosio, che insegna Sociologia dell’ambiente e Governo dei sistemi a rete nel Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Trieste: “Le famiglie incapienti o a basso reddito non solo hanno minore o nulla capacità di spesa, ma non sono incentivate da un sistema che è fondato sulle detrazioni fiscali” spiega. In altre parole, sostiene Carrosio, nel nostro Paese “l’ecobonus ha rappresentato una politica regressiva perché ha favorito chi già stava bene”. Cogliati Dezza fa l’esempio della “povertà energetica”, che misura la difficoltà nell’acquisto di un paniere minimo di servizi energetici che garantisce uno standard di vita dignitoso ed evita conseguenze negative sulla salute (riscaldamento o raffrescamento, ma anche illuminazione e alimentazione delle applicazioni elettriche essenziali, come un frigorifero).

“In Italia riguarda oltre 4 milioni di famiglie, per un totale di 9,4 milioni di persone, ed è leggermente superiore a quello degli italiani che vivono in una condizione di povertà relativa. Tali soggetti non avranno il capitale necessario per riqualificare un immobile, per investire sugli infissi o sulla caldaia”. Queste famiglie continueranno necessariamente a consumare di più (in termini di energia) e a spendere di più. Perché le politiche non tengono conto delle loro esigenze, quelle di soggetti che possono essere affittuari, e non proprietari, o anche residenti in una casa popolare.

“Le politiche ambientali devono come prima cosa mirare a migliorare le condizioni delle persone più vulnerabili” – ForumDD

In Europa il dibattito è più avanzato. Bruegel, un think tank con sede a Bruxelles specializzato sui temi dell’economia (bruegel.org), ha dedicato al tema uno studio presentato nel novembre del 2018, finanziato da Fondazione Cariplo. S’intitola “Gli effetti distributivi delle politiche sul clima” e spiega come alcune tra le misure più evocate per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici abbiano in realtà effetti potenzialmente regressivi, andando quindi a rendere più profonda la distanza tra ricchi e poveri.

Alcuni esempi: degli incentivi per l’acquisto di veicoli alimentati da energie pulite, l’isolamento degli edifici o i tetti fotovoltaici, che rappresentano quindi sussidi alle tecnologie a basso consumo, fruiscono in larga parte le famiglie ad alto reddito; se viene introdotta una tassa sull’energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, una forma di carbon pricing, costerà di più a chi ha una reddito medio-basso in quanto la “spesa elettrica” per queste famiglie incide di più sul reddito in termini percentuali e perché la domanda è inelastica (non è facile ridurre i consumi, non potendo investire per acquistare apparati più efficienti). Anche l’introduzione di standard di efficienza per le autovetture è considerata una misura regressiva dai ricercatori del Bruegel: sono i poveri a non poter rispondere immediatamente di fronte a norme che limitano la circolazione dei veicoli Diesel Euro 0, 1, 2, 3 e 4, e Benzina Euro 0, come ha fatto Milano dal 1° ottobre 2019 con l’Area B.

9,4 milioni di persone in Italia vivono in condizioni di povertà energetica

Spiega ad Altreconomia Gustav Fredriksson, ricercatore del Bruegel e uno dei curatori del paper: “Le politiche per il clima dovranno essere sempre più stringenti. Toccheranno in modo diverso le famiglie ad alto e a basso reddito, e ciò rappresenta un problema se sono in particolare queste ultime a subirne gli impatti negativi. Preoccupazioni che devono essere affrontare per migliorare l’accettabilità politica delle misure di decarbonizzazione. Se non dovesse accadere, è altamente probabile che le misure più stringenti vedano reazioni negative. Crediamo che la capacità di comprendere gli effetti di determinate politiche su segmenti diversi della popolazione può permettere di disegnare interventi che contribuiscano alla riduzione delle emissioni senza rendere più povere le famiglie a basso reddito”. Secondo l’analisi dei ricercatori Bruegel, l’unica politica sicuramente progressiva, e cioè che andrebbe a colpire in misura maggiore i più ricchi, prevede di tassare i viaggi in aereo perché – come mostrano citando i dati di Eurostat e della Civil Aviation Authority del Regno Unito – “il viaggiatore tipo è più ricco del cittadino medio”.

“Negli Stati Uniti, dove stanno discutendo di carbon tax, di interventi fiscali legati alle emissioni, esistono analisi previsionali sul tema, redatti dall’OTA (Office of Tax Analysis), che è un’agenzia governativa. Hanno provato a costruire un’ipotesi di tassazione delle emissioni basata sull’impronta ecologica di ogni cittadino e, per quanto riguarda il trasporto aereo, hanno dimostrato che questa andrebbe ad incidere in misura maggiore sul dieci per cento di chi ha i redditi più alti, per l’1,8%, mentre il costo sull’ultimo decile della popolazione, il più povero, sarebbe dello 0,8%”, racconta Carrosio dell’Università di Trieste.

“Le politiche per il clima toccheranno in modo diverso le famiglie ad alto e basso reddito” – Gustav Fredriksson

In generale, suggerisce Fredriksson di Bruegel, “coloro che disegnano le politiche sul clima dovrebbero dare priorità a quelle che riducono le emissioni minimizzando gli effetti negativi in ambito redistributivo. Ad esempio, forme di tassazione del carburante definite in modo corretto, i cui ricavi siano redistribuiti alle famiglie meno abbienti, sono tipicamente meno regressive rispetto all’introduzione di nuovi standard sull’efficienza dei veicoli”. Quando non è possibile disegnare politiche progressive, è opportuno, sottolinea Fredriksson, prevedere trasferimenti forfettari per compensare le famiglie a basso reddito. Un modo di operare che, ad esempio, potrebbe riguardare le tasse sul combustibile usato per il riscaldamento delle abitazioni. “Dobbiamo evitare una seconda ondata di Forconi, il movimento di protesta di agricoltori e trasportatori nato nei primi anni Dieci contro il caro carburante”, ha sottolineato Giovanni Carrosio. “Il conflitto sociale, di fronte a un peggioramento delle condizioni di vita di fasce vulnerabili, non aiuterà a limitare gli effetti dei cambiamenti climatici”. La transizione dobbiamo volerla tutti.

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