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Opinioni

Educarsi alla speranza

Solo se abbandoniamo lo sconforto sarà possibile guardare a un futuro incerto immaginando che un cambiamento sia ancora possibile. E anche se non saremo in grado di evitare la catastrofe (sociale, economica ed ambientale), avremo dimostrato che l’uomo non è un essere fondamentalmente egoista

Tratto da Altreconomia 157 — Febbraio 2014

Stephen Emmott è uno scienziato inglese. Nel 2013 ha pubblicato un libro particolare, uno strano prodotto editoriale: si intitola “10 miliardi”, e fa riferimento alla popolazione mondiale (in Italia l’ha tradotto Feltrinelli). L’attacco è subito duro: “Questo libro parla di noi. Parla di te, dei tuoi figli, dei tuoi genitori, dei tuoi amici. Parla di ciascuno di noi. Parla del nostro fallimento: fallimento degli individui, dell’economia, dei nostri politici. Parla dell’emergenza planetaria senza precedenti che abbiamo creato. Parla del nostro futuro”.

Con molte pagine, ma poco testo e molta efficacia, Emmott affronta il tema della sovrappopolazione, dell’inquinamento, del caos climatico, della perdita di biodiversità, della scarsità d’acqua, di risorse, di cibo. Cerca dati e fonti incontrovertibili. Li trova. Ci sono grafici e foto. Siamo a tre quarti del libro quando scrive: “A chiunque lo guardi, un pianeta di 10 miliardi di abitanti appare come un incubo”. Ed ecco la domanda: “Quali sono quindi le nostre opzioni?”; e la risposta: “Io ne vedo due. La prima è affidarsi alla tecnologia.  La seconda un radicale cambiamento nei nostri comportamenti”.

Il “ma” l’avete già capito, arriva dopo una dozzina di pagine di altri dati, altri fatti: la tecnologia non può funzionare e anche affidarsi al “cambiamento” appare, in fin dei conti, ormai impraticabile.
Estenuati e depressi, leggiamo la conclusione: “Credo che dovremmo fare qualcosa di davvero radicale per evitare la catastrofe. Ma credo anche che non lo faremo. Io penso che siamo fottuti [corsivo nostro]. Una volta ho chiesto a uno dei più brillanti e razionali scienziati che conosco […] se ci fosse un’unica cosa che avrebbe fatto per fronteggiare la situazione. La sua risposta? Insegnare a mio figlio come usare una pistola”.
Ecco, il libro finisce così.

Nulla di quel che scrive lo scienziato è falso, o esagerato; ma abbandoniamo per un attimo lo sconforto (e magari l’astio verso Emmott). Una volta lo scrittore Francis Scott Fitzgerald scrisse che una mente intelligente riesce a contenere due idee opposte, mantenendo la capacità di funzionare correttamente. Possiamo ad esempio riconoscere che la situazione è disperata, eppure essere decisi a renderla diversa. Oppure possiamo condividere l’idea che noi non siamo altro che “macchine da sopravvivenza” per i nostri geni “egoisti” (secondo la fortunata teoria datata 1976 dell’etologo e biologo Richard Dawkins),  e tuttavia credere nell’altruismo (cui lo stesso Dawkins crede).
Infine, possiamo mettere al mondo figli anche se siamo certi che il loro futuro sia incerto. Ne “La strada” di Cormac McCarthy (scritto nel 2006) un padre fa di tutto per salvare la vita al proprio figlio, in un pianeta che l’umanità ha ridotto desolato, sterile e violento. Lo fa caparbiamente -e solo per questo rimane in vita egli stesso-, anche quando il bambino, sconsolato, scuote la testa e (si) chiede: “Non so cosa ci stiamo a fare qui”.
Il pensiero di Fitzgerald non è un dogma, né una tesi dimostrata, eppure se lo diamo per buono (senza pensare di essere schizofrenici) possiamo nutrire ancora speranza (si dovrebbe educare alla speranza, direbbe Paulo Freire).
E se è vero che la storia non marcia sempre in avanti, verso il progresso, né ruota in circolo -tra “corsi e ricorsi”- ma è un susseguirsi altalenante di eventi, forse (Emmott ci perdonerà) ha ancora senso fare la propria parte.
In una recente intervista, Noam Chomsky ha detto saggiamente che ottimismo e pessimismo sono solo stati d’animo (anche se il pessimismo strappa applausi più facilmente, aggiungiamo noi). Le cose da fare, conclude il linguista, le sappiamo e sono le stesse, in un caso o nell’altro. Se ci è consentito usare un linguaggio più vicino a noi, possiamo citare un giornalista, che un giorno disse: “Se non ti piacciono le notizie che leggi, esci di casa e fai tu la notizia che preferisci”.
Quest’anno ricorrono i 100 anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Non è lo scenario di Emmott (né quello di McCarthy) ma la situazione non deve essere stata facile.
Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto, la scrittrice Virginia Woolf scrisse nel suo diario: “Il futuro è oscuro, il che tutto sommato è la cosa migliore che possa essere il futuro, credo”. —
 

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