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I ragazzini che mettono paura ai professionisti dell’ansia

“I professionisti dell’ansia hanno paura, pensate un po’, dei ragazzini. Di quelli che manifestano per le strade pretendendo rispetto e il futuro che gli spetta. Hanno paura dei ragazzini -e per questo tentano di bullizzarli- perché coi ragazzini il giochino dell’immigrato cattivo non funziona. E fra poco i ragazzini avranno l’età per votare”. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Pietro Raitano

Tratto da Altreconomia 214 — Aprile 2019

I danni per la salute derivanti dal fumo di sigarette -attivo e passivo- sono noti alla pubblica opinione almeno dagli anni Trenta del secolo scorso. Ci sono voluti 40 anni affinché venissero intraprese le prime misure di regolamentazione del consumo a livello globale, e ancora oggi, oggi che è chiaro quanto male faccia, e quanto costi alla collettività, il fumo non solo non è vietato, ma addirittura costituisce in taluni casi -quello italiano, ad esempio- una fonte di entrata. L’inquinamento causato dal piombo contenuto nella benzina era noto perfino da prima, dagli anni Venti, ma abbiamo aspettato fino agli anni Settanta -ovvero cinquant’anni- per intervenire a livello normativo e istituzionale.

I dubbi sul glifosato, composto chimico usato come erbicida, sono emersi già negli anni Ottanta, eppure i primi provvedimenti per limitarne -in alcuni casi vietarne- l’uso sono del 2015 (in Italia del 2016).

Tre esempi non sono una statistica ma possono far riflettere su quanto possano essere lunghi i tempi di risposta a situazioni negative, se non addirittura emergenziali. L’inerzia è dovuta a molti fattori, e indubbiamente tra questi ci sono svariati interessi economici. Capita inoltre che il cambiamento sia -dopo lunghi anni di stasi- repentino (è il caso del declino delle fonti fossili, o dell’avvento della mobilità elettrica). I cambiamenti repentini possono certamente essere frutto ancora una volta di interessi economici, ma non è impossibile che invece siano il risultato di un processo culturale massiccio e irreversibile.

La buona notizia è che sono quasi 60 anni che l’economia mondiale è trainata dal principio del consumo bulimico e predatorio delle risorse del Pianeta e da quello della disuguaglianza -tra persone, tra Paesi- come fattore positivo di sviluppo. Dopo 60 anni siamo all’alba di un cambiamento?

Le politiche economiche cui siamo stati abituati sinora, nel mondo occidentale e non solo, si basano sostanzialmente sulla deregolamentazione finanziaria, le privatizzazioni, tagli delle tasse per le imprese, flessibilizzazione del mercato del lavoro, austerità per le politiche pubbliche. In altri termini, nella cieca fiducia nella capacità dei “mercati” di rendere il sistema efficiente ed equo. La crisi del 2008 sembrava aver messo in discussione quel modello, che invece è ancora largamente praticato. In Europa il risultato è evidente: deindustrializzazione della maggior parte dei Paesi -salvo alcune eccezioni-, salari stagnanti che non crescono al pari della produttività, disoccupazione preoccupante, incapacità di aggredire i profitti delle multinazionali (in particolare quelle del web), crescita delle disuguaglianze. A questo poi si devono aggiungere la minaccia derivante dai cambiamenti climatici e la crescita di razzismo e autoritarismo.

Sì, questo è il momento migliore per il cambiamento che aspettiamo da 60 anni. Quali politiche potrebbero incentivarlo? Una definanziarizzazione dell’economia, ad esempio. Un mercato del lavoro meno flessibile, con l’introduzione di un salario minimo e l’aggancio alla produttività. Investimenti pubblici nella scuola e nella formazione. Uno Stato imprenditore orientato alla sostenibilità. Come col fumo, il piombo nella benzina e il glifosato, conosciamo i problemi, abbiamo le soluzioni e gli strumenti per metterle in pratica. Solo che abbiamo anche paura di cambiare. E questa paura qualcuno la cavalca sapientemente.

Anche i professionisti dell’ansia sociale però temono qualcosa. La verità e la libertà di dirla, ad esempio. Negano che ci sia razzismo perché sono razzisti e hanno paura di essere smascherati. Denunciano incoerenza perché sanno di essere incoerenti.

E infine, i professionisti dell’ansia hanno paura, pensate un po’, dei ragazzini. Di quelli che manifestano per le strade pretendendo rispetto e il futuro che gli spetta. Hanno paura dei ragazzini -e per questo tentano di bullizzarli- perché coi ragazzini il giochino dell’immigrato cattivo non funziona. E fra poco i ragazzini avranno l’età per votare.

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