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Ecuador: il petrolio vale un pugno di riso – Ae 25

Numero 25, febbraio 2002Il documento è di quelli da sventolare con orgoglio davanti ai giornalisti, o agli idealisti critici.Un accordo tra una multinazionale petrolifera italiana, l'Agip, e sei comunità indigene ecuadoriane, che dicono: va bene, entrate pure a “esplorare” le…

Tratto da Altreconomia 25 — Febbraio 2002

Numero 25, febbraio 2002

Il
documento è di quelli da sventolare con orgoglio davanti ai giornalisti, o agli idealisti critici.

Un accordo tra una multinazionale petrolifera italiana, l'Agip, e sei comunità indigene ecuadoriane, che dicono: va bene, entrate pure a “esplorare” le nostre terre, a cercare petrolio, noi non ci opporremo. E in caso di incidenti non vi accuseremo di nulla. In cambio ci accontentiamo della manciata di riso e dollari che ci offrite.

Il problema sta nel bloque 10, un'area di sfruttamento petrolifero nell'Oriente amazonico che Agip ha gestito fino al 1999 con la Arco del gruppo Bp, fino a che non ne ha rilevato le quote. Ma la terra, dice le legge ecuadoriana, qui appartiene agli indigeni che dovrebbero avere diritto di veto sull'ingresso di estranei.

Il nodo è intricato perché alcune comunità indigene non vogliono proprio vedere le compagnie petrolifere sul proprio territorio. Sono disposte anche a lottare per tenerle lontane. Le multinazionali del petrolio, dicono, inquinano e distruggono le loro terre. Un esempio di questo tipo è l'organizzazione Mujeres por la madre tierra, ne abbiamo parlato sul numero 19 di AltrEconomia.

Altri gruppi indigeni, invece, sono più malleabili, li si convince con poco. Bastano un po' di denari e, forse, la speranza di guadagnare qualcosa dal petrolio che le multinazionali si portano via da anni.

Agip Oil Ecuador ha un contratto con l'azienda statale Petroecuador per l'esplorazione e lo sfruttamento petrolifero del bloque 10 e tra i progetti in cantiere anche la costruzione di una piattaforma di perforazione e di un oleodotto nella zona degli indigeni Huaorani, che hanno “diritti storici e legali” sulle loro terre, come sancisce una scrittura pubblica del 1983.

L'area in questione rientra nel progetto del “campo a olio” di Villano Norte, entrato in produzione nel 1999. Dovrebbe durare 18 anni.

7 pozzi produttori sono già stati perforati. Una condotta di 40 chilometri li collega a una centrale di trattamento. Da qui, un oleodotto di 140 chilometri trasporta il greggio al Sistema de Oleoducto Transecuatoriano (Sote). La produzione, secondo le previsioni, passerà da 22 mila barili al giorno a 31 mila nel 2003.

A marzo dell'anno scorso, Agip ha siglato un accordo di “mutua cooperazione” con la Onhae, l'organizzazione degli Huaorani. Ma chi si porta a casa il bottino più grasso è la multinazionale italiana. Con 19 firme segnate sul documento, gli indigeni si sono impegnati a non intralciare Agip nella realizzazione della piattaforma e nella fase di perforazione esplorativa. Di più, le comunità e la Onhae “autorizzano e appoggiano le attività di realizzazione del progetto” e si impegnano a sostenere “tutte le attività di Agip nel bloque 10 affinché questa possa effettuare un normale sviluppo delle sue attività di costruzione e perforazione esplorativa”.

In cambio, gli indigeni riceveranno aiuti su tre fronti.

L'educazione, prima di tutto. Agip si impegna a fornire un quintale di riso, un quintale di zucchero, burro e sale per la colazione degli alunni. Ma attenzione: “solo una volta e unicamente i mesi di maggio, agosto e novembre dell'anno 2001”.

Un po' poco per sei comunità indigene? Non è finita qui: per l'attività sportiva arriveranno ben due palloni, un fischietto per l'arbitro, un cronometro. E poi una lavagna, una bandiera dell'Ecuador, 15 piatti, 15 tazze, 15 cucchiai, una pentola, due secchi.

Tutto l'accordo continua con questo tono. L'Agip pagherà 40 dollari al mese (ma solo da maggio a dicembre 2001) per sei insegnanti, uno per comunità; finanzierà la costruzione di un'aula scolastica, che però non deve costare più di 3.500 dollari.

Ogni comunità verrà poi dotata di un armadio farmaceutico più un massimo di 200 dollari per l'acquisto di medicine. Quante e quali lo decide il medico comunitario di Agip. Verranno formati dei “promotori di salute” che riceveranno 25 dollari al mese, ma solo per il 2001.

Una delle sei comunità ha ottenuto anche il rifacimento delle tubature per l'acqua potabile, costo: 2.500 dollari.

Perché gli indigeni hanno accettato un accordo così squilibrato? Forse perché le alternative non sono molte e in fondo anche questo è meglio che niente in un Paese come l'Ecuador, dove la gente vive con salari minimi di 100 dollari e il 64% delle regioni a maggioranza indigena è denutrito.

Di sicuro chi si porta a casa di più (a parte Agip) è la Onhae, a cui va qualche migliaio di dollari per attività varie: acquisto di mobili, attività operative, trasporto aereo.

In chiusura Agip aggiunge una clausola importante: gli indigeni saranno gli unici responsabili “per qualsiasi atto od omissione nell'esecuzione di questo accordo da parte delle stesse, così come per incidenti, danni a terzi, danni all'ambiente o qualsiasi altro tipo di responsabilità. Pertanto, l'organizzazione Onhae e le sei comunità suddette” assicurano “che Agip sarà libera da qualsiasi responsabilità legata alle attività motivo di questo accordo”.!!pagebreak!!

Chilometri pericolosi
Il nuovo Oleoducto de Crudo Pesado (Ocp) in Ecuador si farà e l'Italia aggiunge un nuovo tassello al progetto approvato qualche mese fa. Dopo l'Agip, partner del consorzio che realizzerà e gestirà per 20 anni la struttura, adesso c'è anche Bnl, la Banca nazionale del lavoro.

L'oleodotto è lungo 500 chilometri e collegherà la zona di Lago Agrio nell'Oriente amazzonico con la città di Esmeraldas, sulla costa a nord del Paese, non lontano dal confine con la Colombia. Il costo di realizzazione è di 1 miliardo e 100 milioni di dollari. Il consorzio, formato da 7 multinazionali petrolifere, ha ottenuto un finanziamento di 900 milioni di dollari da un gruppo di banche, la capofila è la tedesca Westdeutsche Landesbank. La Banca nazionale del lavoro ha la funzione di “managing agent”, cioè di intermediario del prestito.

Il progetto Ocp è considerato un disastro dal punto di vista ecologico e sociale: il tracciato attraverserà 11 parchi e zone a rischio sismico con 94 faglie e 6 vulcani attivi, zone a rischio idrogeologico oltre a terre indigene protette dalla costituzione.

Associazioni come l'ecuadoriana Accion ecologica e la statunitense Amazon Watch hanno chiesto la cancellazione del prestito, per fermare la realizzazione della struttura. In Italia è partita a gennaio una campagna parallela per chiedere alla Bnl di sospendere l'attività di intermediazione. L'hanno promossa Amici della Terra Italia, Campagna per la riforma della Banca mondiale, Cric, Terra nuova e la supportano anche Legambiente, Greenpeace, Centro nuovo modello di sviluppo, Federazione dei Verdi e Comitato internazionalista Uwa.

L'Ocp è il primo progetto a vedere la luce con una nuova legge, la Trole II, che autorizza la proprietà e le operazioni private per le strutture petrolifere. La normativa fa parte di un pacchetto economico siglato con il Fondo monetario internazionale per il ripianamento del debito estero che ammonta a quasi 13,5 miliardi di dollari, pari al 96,7% del Prodotto interno lordo. E il petrolio è la principale fonte d'entrate per il Paese.

I rischi legati all'Ocp sono soprattutto ambientali ma la valutazione di impatto -denunciano le associazioni ecologiste- è stata affrettata: “Le procedure si discostano molto dalle linee guida che la Banca mondiale ha adottato”. Tanto che la stessa Banca mondiale il 19 dicembre 2001 ha scritto al presidente esecutivo del consorzio Ocp per “esprimere la nostra profonda preoccupazione per l'impatto della costruzione dell'oleodotto Ocp”. E questo nonostante il progetto sia supportato anche dalla Banca, che nel processo di dollarizzazione del Paese aveva approvato una Strategia di assistenza Paese (Cas) con riforme legislative per “permettere alle compagnie private di costruire un secondo oleodotto trans-andino”.

L'Ocp affiancherà, infatti, per buona parte del suo percorso il Sote, oleodotto costruito oltre 30 anni fa dalla Texaco: in tutta la sua esistenza si sono verificati oltre 50 incidenti, con il versamento di almeno 16,8 milioni di galloni di petrolio; tra gli incidenti si devono contare anche degli attentati, cinque nell'ultimo anno. La vicinanza al confine colombiano di una parte del nuovo oleodotto aumenta i rischi: secondo gli organizzatori della campagna italiana, negli ultimi dieci anni in Colombia ci sono stati 760 attentati a oleodotti.

L'Ocp passerà per 11 aree protette, tra cui la riserva forestale di Mindo-Nabillo: 25 comunità si trovano lungo quello che sarà il percorso dei tubi e vivono grazie all'eco-turismo e ad attività di ricerca. Nell'area vivono oltre 450 specie di uccelli, 46 a rischio di estinzione, e 30 di mammiferi. Il 70% degli anfibi della regione sono endemici di questa zona. Per protesta, nelle scorse settimane gruppi di attivisti hanno “occupato” la foresta, incatenandosi agli alberi per cercare di impedire i lavori di costruzione dell'Ocp.

E poi uno dei grandi dubbi è se l'oleodotto serva davvero. Secondo Accion ecologica, le multinazionali oggi riescono a estrarre 80 mila barili di greggio pesante al giorno e, stando agli studi della compagnia del governo Petroecuador, potranno arrivare a 250 mila sovrasfruttando i loro pozzi. Ma l'Ocp ha una capacità giornaliera di oltre 400 mila. Con il Sote si superano i 700 mila barili. Per soddisfare questa richiesta si dovranno aumentare le esplorazioni e realizzare nuove piattaforme estrattive.!!pagebreak!!

Info sulla Campagna Bnl:

– Amici della Terra Italia, Laura Radiconcini, tel. 06-68.68.289, amiterra@amicidellaterra.it;

– Campagna per la Riforma della Banca mondiale, Jaroslava Colajacomo, tel. 06-78.26.855, jaro@crbm.org;

– Cric, Isabella Giunta, tel. 0965-81.23.45, isa.giunta@cric.it

A chi piace l'oleodotto
“Dopo 30 anni di operazioni petrolifere non siamo più ricchi, in termini economici. Il debito estero è aumentato di 72 volte e il 70% della popolazione è povera. 500 mila ecuadoriani sono emigrati”. Ivonne Ramos, responsabile della campagna “Amazonia por la vida” di Accion Ecologica, ti spiega coi numeri perché il petrolio -la principale risorsa del suo Paese- non salverà l'Ecuador: “La maggior parte del guadagno resta alle multinazionali straniere”. E le royalty che queste pagano al governo finiscono nel tritacarne del debito. L'Ecuador ha il debito estero pro capite più elevato di tutta l'America Latina, con quasi 1.100 dollari per abitante.

Secondo un rapporto di Amazon Watch, l'Ecuador nel 2000 ha incassato 2,4 miliardi di dollari dal petrolio. Di questi, 1,3 miliardi sono stati usati per pagare il debito e un altro miliardo di dollari per ripianare il fallimento di banche commerciali. Al Paese sono rimaste solo le briciole. Il debito verso l'Italia, sempre nel 2000, era di 275,1 milioni di dollari, mentre per quanto riguarda il settore privato, la banca italiana più esposta è proprio la Banca nazionale del lavoro, che in qualche modo ha interessi nella costruzione dell'Oleoducto de Crudo Pesado.

Come se non bastasse, a gennaio i carburanti sono aumentati del 10%, provocando un aumento del 40% dei prodotti di base. La gente è scesa in piazza a manifestare contro le misure economiche del presidente Noboa e il governo, come palliativo per lo scontento popolare, ha preso due decisioni: ha iniziato un dialogo con gli importatori e gli industriali per congelare il prezzo della farina, dell'olio e delle bevande, e ha dato carta bianca ai governatori e alla polizia per il controllo dei prezzi nei supermercati, contro gli aumenti abusivi.

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