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Altre Economie / Opinioni

Le potenzialità e i limiti delle altre economie

I movimenti dell’economia alternativa hanno rinnovato la tradizione marxista, introducendo nuovi principi come quello delle comunità territoriali che si auto-organizzano, dei beni comuni e della sostituzione dell’economia di mercato con circuiti solidali. Ma “solo” questa logica non basta. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 222 — Gennaio 2020
economie alternative
© Christos - Flickr

Un bilancio per ripartire meglio. Serve alla galassia dei soggetti dell’altra economia per capire come andare avanti. Il primo grande tentativo di dare vita a un’alternativa fu quello del socialismo marxista. Al di là dei suoi esiti disastrosi nei regimi del socialismo reale, con la loro degenerazione totalitaria, quell’esperienza storica prefigurava tre passaggi fondamentali: l’umanizzazione del lavoro per tutti; il superamento del regime della proprietà privata dei mezzi di produzione; la costruzione di una sintesi di governo per conseguire l’effettiva attuazione del nuovo ordinamento dell’economia. Queste istanze trovarono poi varie espressioni nell’azione dei partiti comunisti e socialisti e nei sindacati più critici del sistema capitalista. Oggi questi soggetti o sono venuti meno, o si sono in gran parte adattati al sistema vigente.
Credo che il principale punto debole della tradizione marxista stia nell’aver criticato il regime del capitale senza però procedere alla critica del potere come tale, poiché il capitale è solo una delle sue forme, magari la più aggressiva e diffusa ma non l’unica. Basta ricordare la contraddizione del colonialismo, quella del maschilismo e quella del dominio sulla natura per cogliere quanto sia necessaria la critica sistematica di tutti i rapporti di potere e non solo la critica del dominio sulla classe operaia.

Da parte loro i movimenti di economia alternativa in Italia e nel mondo che cosa hanno portato di nuovo rispetto a quella tradizione? Riassumendo la risposta nell’indicazione di alcuni principi essenziali, abbiamo: il principio del superamento della centralità dell’Occidente; il principio dell’auto-organizzazione delle comunità territoriali; il principio dell’armonia con la natura; il principio della tutela dei beni comuni; il principio della radicale trasformazione del mercato oppure della sua sostituzione con circuiti economici solidali; il principio dell’educazione delle persone alla solidarietà, alla condivisione e alla giustizia; il principio della liberazione delle donne dalla mentalità maschilista; il principio della democratizzazione dell’intero sistema delle relazioni sociali e con la natura. Se si guarda all’insieme di queste istanze si vede che i movimenti di altra economia stanno di fatto sviluppando la critica al principio del potere come tale e la ricerca di un ordine alternativo, veramente democratico, dove il potere stesso è riconvertito in cura, servizio, corresponsabilità, governo dei problemi e non sulle persone.

Il principale punto debole di questi movimenti sta nella frammentazione che impedisce loro di elevarsi a movimento transnazionale popolare dotato di efficacia culturale e politica. In questa prospettiva non aiuta la scarsa consapevolezza del dovere di farsi carico delle giuste istanze della tradizione marxista. Per dirla con una battuta: se non basta rifarsi a Marx ignorando Latouche, non si può neppure sostituire Latouche a Marx. Le diverse prospettive vanno integrate portandosi entro un orizzonte più avanzato, illuminato da molte altre esperienze e culture. Da questi movimenti deve maturare un ampio progetto politico che riguardi non solo le pratiche svolte da piccoli gruppi o microimprese, ma anche l’intero comparto dell’agricoltura, quello dell’industria e quello dei servizi.
Serve una grande campagna di valorizzazione del lavoro come diritto per tutti e come attività umanizzata, prospettando un ordinamento che rafforzi le forme democratiche, collettive e pubbliche di proprietà. Perciò occorre integrare le buone pratiche nei processi sociali e il riferimento ai territori con l’attenzione alla vita complessiva dell’Italia, dell’Europa e del mondo. I soggetti dell’altra economia dovranno sia trovare coesione tra di loro che realizzare una stretta collaborazione con tutti gli altri movimenti che lottano per la democratizzazione della società, compresa la parte più lucida del sindacato. Quando la coscienza collettiva si eleva, il mondo si rimette in cammino.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Nel 2016 ha pubblicato “La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società” (Pazzini editore)

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