Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente

Durban e Ginevra. The day after

Le conclusioni della COP di Durban e dell’ultima Ministeriale Wto di Ginevra confermano che il multilateralismo è in crisi. In un mondo con tanti problemi globali da risolvere la scelta è procedere per affinità senza troppi vincoli. Questo mette in discussione le ambizioni della Wto, ma rischia di indebolire anche ambiti più legittimi come quello delle Nazioni Unite. Leggere tutto questo senza ingenuità né ideologie è la nuova sfida che abbiamo davanti.

Molto è stato detto sull’ultima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite, forse poco è stato scritto, visto il sostanziale disinteresse dei nostri media per tutto ciò che non sia gossip o austerity. Ma le "non conclusioni" della 17a COP sudafricana ci mettono davanti agli occhi un mondo in piena transizione che va oltre la cornice della stessa Conferenza sul clima.
Il primo elemento su cui riflettere è la crisi del multilateralismo, in ogni sua forma. Pochi giorni dopo la chiusura di Durban, si è tenuta dal 15 al 17 dicembre a Ginevra la Conferenza Ministeriale della Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Aldilà delle conclusioni retoriche e, per fortuna in questo caso di basso profilo, Ginevra ci mostra uno scenario dove pochi Governi procedono nonostante gli altri, dove 24 Paesi si accordano (e tra questi c’è anche l’Unione europea) per varare un accordo commerciale sugli appalti pubblici che parla di "plurilateralismo" e che fa fare le capriole dialettiche al presidente di turno nigeriano per tenerlo insieme al "multilateralismo", concetto che sta alla base dell’esistenza stessa della Wto. Lo stesso blocco del negoziato di Doha, il ciclo negoziale di liberalizzazioni in sede Wto fermo al palo dal novembre 2001, mostra come le arene multilaterali siano in seria crisi.
E’ un bene? Dipende. Nella politica internazionale non è possibile tenere un approccio manicheo, le cose sono troppo spesso sfumate. Che la Wto vada in crisi è sicuramente un bene, soprattutto se le permette una seria cura dimagrante magari escludendo quei settori delicati come l’agricoltura (legata alla sovranità alimentare) o quei nuovi temi (come il cambiamento climatico) che alcuni Paesi vorrebbero forzare al suo interno. Ma se la crisi è in ambito Conferenza delle Parti la cosa è più complessa, perchè aldilà della denuncia sulla "Conference of Polluters" che ha alcune basi di verità, pensare di combattere il cambiamento climatico solamente con azioni locali senza imporre agende internazionali ha la stessa pretesa ingenua di svuotare il mare con un cucchiaino. La COP è un consesso di Governi, e se gli accordi non si trovano è perchè i Governi non vogliono trovarli, se le imprese e le lobby economiche hanno la precedenza rispetto agli interessi collettivi è perchè le leadership politiche, le stesse che magari diversi di noi hanno convintamente votato, lo consentono.
Il fatto che l’economia stia sostituendo la politica è una sciocchezza. E’ la politica che, consapevolmente e per interesse, lascia sempre più spazio alle lobby economiche ed alle pretese che si portano dietro.
Durban si è chiusa con la stessa retorica con cui si è chiusa la ministeriale Wto di Ginevra. Si è ribattezzato con la parola "successo" l’incapacità di fare delle scelte. In Sudafrica si è fatta passare come una grande vittoria dell’Unione Europea l’accordo sul "secondo periodo di impegni del Protocollo di Kyoto" che, sia chiaro, non è stato "ottenuto", ma si è "mantenuto", visto che già c’era ed era a rischio di essere buttato dalla finestra. La contropartita è che il periodo, definito nelle date, rimane indefinito nei contenuti. Che sono quelli che contano, visto che parlano di obblighi di riduzione.
Il grande rumore fatto sulla difesa di quello che c’è, necessaria visto che il Protocollo di Kyoto è l’unica cornice vincolante oggi esistente, ha di fatto nascosto gli altri capitoli delicati di questa Conferenza africana. Come il Green Fund, il fondo verde per finanziare le politiche di adattamento e la mitigazione, che vede non solo la Banca Mondiale stare comoda seduta nei posti che contano, ma i privati fare capolino per trovarne qualche vantaggio. O come la dichiarazione secondo la quale i Paesi membri della Wto presenti alla COP sono tenuti a rispettare le direttive dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel momento in cui negoziano sul clima. E che cos’è questo se non un tentativo di commissariamento di un ambiente Nazioni Unite da parte di una realtà che risponde ad altri fini?
I Governi, a Durban, hanno fallito. Ma far diventare questo sinonimo di fallimento della COP vuol dire non solo forzare una lettura, ma fare il gioco di chi, come il Canada, gli Stati Uniti o la Russia, vogliono mano libera a spese dell’intero pianeta. La COP è uno spazio politico che va giocato strategicamente, intelligentemente, senza sacrificare il lavoro portato avanti "outside", fuori dai confini dell’Onu e che parla di mobilitazioni, di esperienze concrete ed alternative e di progressiva sensibilizzazione dei cittadini.
Ma la strategia politica dovrà essere di ampio spettro, agita con laicità e soprattutto efficace. Il cambiamento climatico  ha dalla sua l’inesorabilità del passare del tempo ed il punto di non ritorno si avvicina, come ci ricorda l’IPCC. Davanti a questo scenario difficile persino da immaginare è richiesto senso di responsabilità e molta serietà.
Non solo ai Paesi ed ai loro leader politici, ma anche a tutti coloro che, collettivamente e dentro i movimenti, vogliono impegnarsi per la transizione necessaria. E’ l’ora di mettere da parte la retorica movimentista e le facili soluzioni perchè la posta in gioco è veramente molto, troppo alta.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.