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Opinioni

Droghe leggere, mano pesante

Dopo le incarcerazioni di massa, gli Stati Uniti ci ripensano: meglio i servizi sociali. Costano meno della galera e funzionano meglio. In Italia, invece, si parla ancora d’indulto e di amnistia _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 159 — Aprile 2014

I sistemi penali si confrontano con due grandi problemi, frutto del fallimento di politiche repressive propagandate per anni. Da un lato il sovraffollamento carcerario, che si traduce in palese violazione dei diritti umani e nell’incapacità di produrre condizioni di risocializzazione; dall’altro, il vicolo cieco del rigore proibizionista nella lotta agli stupefacenti, che non ha debellato il traffico gestito dalle grandi organizzazioni criminali, né ha ridotto il consumo delle sostanze.
L’Italia ha mutuato dagli Usa il rigore repressivo nei confronti dei recidivi e dello spaccio degli stupefacenti, senza cogliere tuttavia l’inversione di tendenza in realtà in atto.Negli Stati Uniti d’America, il Paese che con più determinazione ha fatto ricorso all’incarcerazione di massa, le leggi prevedono automaticamente pene molto più severe per chi è recidivo -di solito piccoli delinquenti di basso profilo, per la maggioranza tossicodipendenti-, e in questo modo ha riempito le galere oltre il sostenibile. Ciò ha provocato le reazioni della Corte Suprema che, come la Corte Europea dei diritti dell’uomo in Italia, ha imposto misure drastiche di riduzione della popolazione carceraria.

Il rigore sanzionatorio adottato nelle varie campagne di lotta al traffico di stupefacenti, che ha visto l’approvazione di leggi che punivano in proporzione di 100 a 1 il traffico di una particolare sostanza -il crack, diffuso quasi esclusivamente tra la popolazione di colore- ha portato a risultati con costi sociali aberranti, in pratica riempendo le galere di giovani di colore condannati per decine di anni (5 anni di pena minima per il solo possesso di 5 grammi di quella sostanza). Oggi una storica riforma bipartisan -in approvazione al Congresso- prevede di dimezzare i limiti di pena obbligatori, consente al giudice di derogarvi e apre la possibilità di un’applicazione retroattiva della nuova legge più favorevole per chi sta scontando le pesantissime pene già irrogate.

Anche l’Italia -dopo che la Corte costituzionale ha bocciato alcuni articoli sulla Fini-Giovanardi, e alcune innovazioni in materia contenute nel decreto “Svuota carceri”- potrebbe seguire gli Usa in questo cambio di rotta, seguendo l’evoluzione di un quadro che si è ulteriormente modificato poco più di un anno fa, con la legalizzazione della marijuana in due Stati, quello di Washington e il Colorado, mentre più della metà degli altri Stati considerano l’opzione di depenalizzare l’uso delle droghe leggere per ragioni mediche o ricreative.
La situazione è complicata perché la legge federale continua a richiedere l’incriminazione (il semplice possesso in luogo pubblico di droghe leggere, anche pochi grammi, è ancora punito, per la legge federale e per la maggior parte degli Stati, con l’arresto e il carcere). Nell’impossibilità realistica di un ritorno al passato, l’amministrazione Obama cerca di evitare l’interferenza con la legislazione statale, purché si garantisca quantomeno il divieto ai minori.

E anche se lo storico passaggio non è mosso da una riflessione sui costi sociali delle ingiustizie, ma dall’analisi di bilancio, che ha fatto dei repubblicani i primi promotori dell’abbandono della politica carceraria, ci sono addirittura le prove della sua efficacia. Nello stato del Texas, quello che ha le statistiche più alte di carcerazione, si sono adottate alternative alla galera, come tribunali specializzati per i tossicodipendenti, programmi di supervisione dei trattamenti di recupero in comunità, per evitare la recidiva e ha funzionato. C’è un constante declino del tasso di criminalità e si sono chiuse tre prigioni statali. E la riforma in approvazione al Congresso prevede anche la promozione dei programmi di trattamento, formazione professionale e istruzione, che sono il vero strumento per prevenire le recidive.
È difficile aspettarsi in Italia riforme impegnative su questo terreno: quando si parla di riforme della giustizia ritornano in primo piano le grandi questioni ideologiche e di potere legate al controllo politico della magistratura. È anche difficile nel Paese dell’illegalità e dei condoni restituire l’autorità allo Stato, che mostra i muscoli solo con i deboli. Non sarà un caso se nel frattempo premano le solite scorciatoie clemenziali, come l’invocazione di un’amnistia o di un indulto. Sarà ancora più difficile credere che in Parlamento non si colga l’occasione per strizzare l’occhio a qualche colletto bianco, fra i pochi condannati e fra i pochissimi in galera, combattendo la battaglia di facciata per il piccolo crimine. —

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