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Doppiaggio versus sottotitoli? Quel che conta è la qualità

Pochi -ma in crescita- gli italiani che amano la lingua originale. Per gli altri c’è il lavoro di centinaia di attori. Con l’avvento delle piattaforme digitali e l’aumento di serie tv e film da tradurre il mercato si sta rapidamente modificando

Tratto da Altreconomia 201 — Febbraio 2018
Luca Ward, 61 anni, attore, doppiatore e direttore del doppiaggio. Ha prestato la voce -tra gli altri- Richard Gere a Samuel L. Jackson

Inaspettatamente, la voce dall’altra parte del telefono non ricorda quella di Massimo Decimo Meridio, il gladiatore romano interpretato da Russel Crowe, cui Luca Ward, attore e doppiatore, ha dato la voce nel kolossal di Ridley Scott. Nel curriculum di Ward ci sono tanti altri personaggi: il James Bond interpretato da Pierce Brosnan; Neo, il protagonista della trilogia “Matrix”; il Robin Hood di Kevin Costner; Jules Winnfield, il personaggio di Samuel L. Jackson in “Pulp fiction”. A ciascuno di questi personaggi Luca Ward ha saputo dare una voce e una potenza diversa: “Se li doppiassi tutti allo stesso modo sarebbe un disastro”, spiega.

Questa versatilità è uno degli elementi che contribuiscono alla qualità di un buon doppiaggio.  Professione che in Italia ha una storia lunga (nasce infatti negli anni Trenta del Novecento) e che può vantare eccellenze insospettabili. Quasi si stenta a crederlo, ma uno dei capolavori del doppiaggio italiano è il lavoro di adattamento di “Frankenstein Junior” in cui la verve comica viene resa (quasi) perfettamente nel passaggio dall’inglese all’italiano anche nelle battute e nei giochi di parole più difficili. Ma gli esempi in questo senso abbondano: “Giancarlo Giannini, che presta la voce ad Al Pacino in Ogni maledetta domenica è magistrale -aggiunge Ward-. Quando si rispetta la potenza recitativa del protagonista e c’è una traduzione fatta a regola d’arte, possiamo dare agli spettatori un ottimo prodotto. Non ci si accorge del doppiaggio”.

“Un sondaggio diffuso lo scorso novembre da Netflix rivela che tra i loro abbonati in Italia l’84% preferisce la versione doppiata: questo per noi è confortante, segno che facciamo un buon lavoro”, commenta Roberto Stocchi, presidente dell’Associazione nazionale attori doppiatori (Anad). Le piazze principali sono quelle di Roma e Milano, con alcune piccole realtà tra Torino e Bologna. Non esiste un elenco o un albo ufficiale che raggruppi questi professionisti “ma possiamo stimare che i doppiatori attivi in Italia siano fra gli 800 e i 1.200 -dice Stocchi-. Il nostro è un mestiere artigianale: cerchiamo di offrire un buon servizio agli spettatori e al tempo stesso di valorizzare al meglio la nostra lingua”.

Quella del doppiaggio è una filiera articolata, che vede l’intervento di diverse professionalità. Quando una società di distribuzione decide di trasmettere in Italia una serie americana la affida a una società di doppiaggio. Questa a sua volta affida la lavorazione a un direttore del doppiaggio, che propone la distribuzione delle parti e sceglie gli attori per le varie voci da interpretare. Parallelamente, il testo viene affidato a un traduttore e a un adattatore dialoghista. Solo a questo punto si può entrare in sala per iniziare a recitare.

Quella del doppiatore è una professione complessa che, con l’ingresso sul mercato italiano delle piattaforme digitali, ha dovuto affrontare una serie di cambiamenti: “Sono aumentate le serie tv e i film da tradurre; di conseguenza anche l’offerta di lavoro è aumentata in maniera esponenziale -aggiunge Stocchi-. Ma la tendenza generalizzata a tagliare i costi per risparmiare hanno portato a un abbassamento delle tariffe. Inoltre si sono ridotti notevolmente i tempi di lavorazione, può capitare di registrare martedì la puntata di una serie che andrà in onda il venerdì sera. Tutto questo, incide sulla qualità del nostro lavoro”.

“Nel 1994 per doppiare Pulp Fiction di Tarantino, un film difficilissimo, il distributore italiano ci diede tutto il tempo di cui avevamo bisogno: ci abbiamo messo due mesi. Oggi avremmo a disposizione cinque giorni” (Luca Ward)

“Nel 1994 per doppiare Pulp Fiction di Tarantino, un film difficilissimo da tradurre e da interpretare, il distributore italiano ci diede tutto il tempo di cui avevamo bisogno: ci abbiamo messo due mesi -ricorda Luca Ward-. Oggi avremmo a disposizione cinque giorni, solo per il lavoro in studio”. Altrettanto stretti i tempi di lavorazione per le serie tv: “Una decina di giorni per una serie da 12 puntate, che non permettono di dare all’utente un buon prodotto -sottolinea Ward-. Mi è capitato di vedere alcuni programmi in cui manca totalmente la recitazione, non c’è interpretazione dei personaggi”.

Chi opta per la visione di un film doppiato spesso lo fa per comodità e per la difficoltà a seguire lo svolgimento della trama contemporaneamente alla lettura della traduzione. “Ma un buon sottotitolo è come una bella colonna sonora o un montaggio fatto a regola d’arte: non deve distrarre lo spettatore. Quando un sottotitolo si nota troppo, vuol dire che c’è un problema”, risponde Vanes Naldi, traduttore e sottotitolatore per alcune importanti case di produzione.

Una professione che richiede ottima conoscenza delle lingue, competenze tecniche e -non meno importante- grande capacità di sintesi. La sottotitolazione (così come il doppiaggio, del resto) non è un semplice lavoro di traduzione: in una manciata di caratteri e in pochi secondi bisogna restituire allo spettatore non solo il significato delle battute pronunciate dagli attori, ma anche rispettare il tono e restituirne il contesto.

“Nei Paesi del Nord Europa, dove nascono i sottotitoli negli anni Venti del Novecento, è previsto uno standard che chiede un massimo di 12-13 caratteri al secondo per dare allo spettatore il tempo di leggere -spiega Naldi-. Per contro bisogna essere in grado di sintetizzare al massimo ed eliminare tutto il superfluo”. Un lavoro che richiede tempo: fra traduzione e sincronizzazione con il video, un buon professionista difficilmente va oltre i 30 minuti al giorno.

“Un buon sottotitolo è come una bella colonna sonora o un montaggio fatto a regola d’arte: non deve distrarre lo spettatore. Quando un sottotitolo si nota troppo, vuol dire che c’è un problema” (Vanes Naldi)

“Anche il miglior doppiaggio livella il linguaggio: non riesci a capire se un personaggio viene dalla strada o dall’alta borghesia, se parla con l’accento di New York o in slang”, spiega Franco Dipietro, regista torinese, autore del documentario “Subsheroes” che esplora il mondo dei “fansubber”, le comunità amatoriali che di notte e nel tempo libero traducono gratuitamente serie tv diffondendo poi in rete i file con i sottotitoli. Un fenomeno nato in Italia negli anni Novanta ed esploso negli anni Duemila, che vede protagoniste persone come Chiara Chiarino: 31 anni e un lavoro come social media manager per un’agenzia di comunicazione. “Ho iniziato a fare sottotitoli per passione una decina di anni fa -racconta ad Altreconomia-. In quel periodo le serie tv venivano trasmesse sulle reti generaliste in Italia con alcuni anni di ritardo rispetto alla programmazione negli Usa. Alcune poi non arrivavano affatto. Noi abbiamo riempito questo vuoto”.

La community di “ItalianSubs” conta circa 300 traduttori da tutta Italia, di età e professioni diverse: “Ci sono molti studenti, avendo molto tempo libero a disposizione sono quelli che si dedicano maggiormente alle traduzioni -spiega Chiara-. Ma ci sono anche professionisti, avvocati, medici. Persone comuni che in pausa pranzo o all’alba, prima di andare al lavoro, si mettono a tradurre”. C’è chi resta per anni, chi se ne va dopo pochi mesi. Per tutti è obbligatorio un test di inglese da superare e una fase di prova di uno o due mesi.

“L’organizzazione del lavoro è molto seria. Lavoriamo tutti gratis ma se ci sono grossi problemi con l’inglese o con la grammatica italiana non è il caso nemmeno di cominciare”, spiega Chiara che, all’interno della community di “ItalianSubs”, oggi ricopre il ruolo di revisore. “Per velocizzare al massimo il lavoro di traduzione, i file con i sottotitoli in lingua originale di una singola puntata vengono divisi tra più traduttori, solitamente quattro -spiega-. Alla fine di questo processo, il revisore controlla che non ci siano errori, uniforma i termini ricorrenti e infine procede alla pubblicazione sul portale”. Una modalità di lavoro talmente efficace e rodata da permettere la diffusione del file a poche ore dalla messa in onda della puntata negli Stati Uniti o nel Regno Unito, soprattutto per le serie di maggior successo.

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