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Ambiente

Dopo la Libia, la Basilicata

Eni e Total aumentano, d’accordo con la Regione, le estrazioni di idrocarburi. Tra inchieste, rischi ecologici ed espropri.

L’iter che porterà le estrazioni petrolifere in Basilicata ad oltre 175 mila barili al giorno, entro il biennio 2013-2014, procede senza sosta. Una soglia estrattiva, questa, che rappresenta la metà dei barili importati dalla Libia, come riportato da fonti IEA (International Energy Agency).

  Due le compagnie in primo piano: Eni e Total, in joint venture con la Shell. La prima, impegnata in Val d’Agri, ha già incassato nel mese di marzo l’autorizzazione al raddoppio della capacità di trattamento e produzione per il centro olio di Viggianocon l’intesa rilasciata dalla Regione Basilicata ad estrarre petrolio da altri 13 pozzi che portano ad oltre 50 i pozzi estrattivi; la seconda, dopo aver ottenuto la proroga della concessione Gorgoglione fino al 2023 – peraltro in parte ricadente nel perimetro del Parco nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese – si appresta a realizzare, con il progetto Tempa Rossa, un nuovo centro olio a Corleto Perticara, nella valle del Sauro. Va ad aprirsi e complicarsi, così, uno scenario da far-west energetico, nel quale i paesaggi naturali ed agricoli cedono il passo a quelli industriali. Il nascente impianto della multinazionale francese, soggetto alla normativa Seveso (ovvero suscettibile di causare incidenti rilevanti), sorgerà in aree ad elevato rischio sismico, franose, ed estremamente vulnerabili dal punto di vista idrogeologico. Un rischio ecologico – come sottolineano le associazioni ambientaliste – che preoccupa non poco, considerando anche che il greggio da estrarre è caratterizzato da una forte carica inquinante per l’alta presenza di zolfo. Il futuro di due valli e di un’intera regione – messo nero su bianco da un Memorandum (l’accordo tra Stato e Regione) chepunta a fare della Basilicata un hub energetico basato sulle fonti fossili, che ha fatto storcere il naso a non pochi sindaci – ancora una volta in controtendenza con le reali vocazioni territoriali. La partita che si sta giocando è doppia, tra strategie internazionali e royalties, per un giacimento con riserve complessive stimate dalla Total intorno ai 500 milioni di barili di petrolio equivalenti, con picchi di estrazione pari a 50 mila barili al giorno. Un affare che la Total sta inseguendo da anni, dopo aver “ereditato” la concessione dall’Eni e dopo essere stata coinvolta nell’inchiesta Totalgate del pm Henry John Woodcock.

Oggi, tra rinvii a giudizio, condanne, ricorsi a Tar e Consiglio di Stato e sospensioni dei lavori per illeciti, si è ritornati al giro di boa dei nuovi espropri dei terreni in località Tempa Rossa. Un decreto di esproprio (pubblicato sul BUR Basilicata n.10 del 1° luglio 2011), quello emanato dal Comune di Corleto Perticara, che fissa a 2,50 euro al metro quadro il valore dei terreni ricadenti in un’area dichiarata “di pubblica utilità” in base alla Delibera CIPI n.121 del 21 dicembre 2001.
Il deprezzamento dei terreni è un vecchio nodo che già nel 2008 era entrato nelle “carte accusatorie” della Procura di Potenza. Infatti, le tesi degli investigatori vertevano sull’ipotesi di una presunta truffa con i terreni per favorire la Total ed “indennità di esproprio concertate” con i manager francesi, su parametri “fuori mercato”
e appalti truccati relativi al centro olio.
A farne le spese sono le comunità e i tanti proprietari e non solo dal punto di vista economico, perché l’altro danno è sanitario. Ad esempio, per oltre un decennio e fino al sequestro operato dal Noe alla fine del 2010, si è taciuto su una discarica contenente oltre 2000 metri cubi di rifiuti chimici e fanghi di perforazione, in località Serra d’Eboli del Comune di Corleto Perticara. Due-tre metri di veleni interrati provenienti dal vicino pozzo della Total, denominato Tempa Rossa 2. Gli scarichi, secondo le testimonianze di alcuni cittadini, “avvenivano a cielo aperto”. Solo nel maggio del 1992 la Regione Basilicata autorizza lo scavo e lo sversamento dei rifiuti tossico-nocivi, dichiarando la discarica “controllata”. I rifiuti petroliferi oggi sono ancora lì, in attesa di una bonifica. Sotto campi coltivati a grano e mucche al pascolo. Dimenticati da tutti. Certamente non dai pastori locali che hanno pagato sulla propria pelle e su quella di amici e familiari la presenza dei veleni.

Erano gli anni Novanta. Da sfondo un territorio, ancora oggi, tra i più depressi e sottosviluppati del Sud Italia dove si crede ancora – nonostante l’esempio negativo della Val d’Agri – nello sviluppo del Texas lucano ribattezzato oggi Libia d’Italia. E sarà ancora così per i prossimi 99 anni, tanti quanto quelli del diritto di superficie accordato dal Comune di Corleto Perticara ai petrolieri d’Oltralpe per l’utilizzo del sito dove sorgerà il centro olio, a fronte – pare – di 1,4 milioni di euro destinati alle casse comunali.

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