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Economia / Attualità

Dopo i “Pandora papers” i governi mantengano le promesse sulla tassazione minima globale

© International consortium of investigative journalists

Il commento di della Commissione internazionale per la riforma sulla tassazione delle multinazionali (Icrict) alla nuova inchiesta giornalistica sull’utilizzo dei paradisi fiscali. Occorre andare oltre la proposta di un’aliquota minima globale del 15% per puntare, invece, al 25%

I “Pandora papers”, la recente inchiesta dell’International consortium of investigative journalist (Icij), hanno riacceso l’attenzione internazionale sul ricorso ampio e diffuso da parte di capi o ex capi di governo (tra cui l’ex primo ministro Tony Blair, i presidenti di Kenya, Ucraina e Cile), leader politici e personaggi pubblici, di conti offshore in paradisi fiscali per evitare di pagare le tasse (o pagare il meno possibile), accumulando così enormi quantità di denaro. “È tempo che i governi mantengano realmente le loro promesse di porre fine all’abuso dei paradisi fiscali e di bandire il segreto fiscale su individui, società offshore e multinazionali. E questo inizia ora con una vera riforma della tassazione internazionale delle multinazionali”, scrive l’Independent commission for the reform of international corporate taxation (Icrict).

I “Pandora papers” sono stati pubblicati grazie al lavoro di centinaia di giornalisti di 117 Paesi, tra cui BBC e Guardian (Regno Unito), Washington Post (Stati Uniti), Le Monde (Francia), El Pais (Spagna) e l’Espresso in Italia. Gli oltre 11 milioni di documenti fiscali e finanziari analizzati permettono di ricostruire il funzionamento interno di un’economia globale offshore che consente ad alcune delle persone più ricche del mondo e alle multinazionali di nascondere la loro ricchezza e in alcuni casi pagare poche o nessuna tassa.

Per questo motivo Icrict torna a chiedere un intervento deciso dei governi di tutto il mondo. Un intervento che “deve iniziare ora, con una vera riforma della tassazione internazionale delle multinazionali, che serva gli interessi di tutti i Paesi, sviluppati e in via di sviluppo”, si legge in un comunicato stampa diffuso dalla commissione indipendente.

Una riforma che, secondo Icrict, dovrebbe prevedere una tassazione di tutti i profitti delle multinazionali in linea con le loro attività reali in ogni Paese, “assegnando cioè i profitti globali delle multinazionali ai diversi Paesi in base a una formula che tenga in considerazione i fattori che determinano il profitto: occupazione, vendite e attività”. Icrict torna anche a sollecitare una riforma della tassazione globale più ambiziosa rispetto all’accordo raggiunto dal G20 a luglio 2021, quando era stata proposta una “global minumum tax” al 15% portando la tassazione minima globale per le multinazionali il più vicino possibile al 25% “per mettere fine alla dannosa competizione fiscale tra i Paesi e ridurre l’incentivo per le multinazionali a spostare i profitti nei paradisi fiscali”.

“L’elusione e l’evasione fiscale tendono a ridurre le entrate pubbliche, ma hanno anche generato uno spostamento nella composizione delle imposte verso le imposte indirette, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, che hanno chiaramente contribuito ad aumentare la regressività del sistema -ha commentato José Antonio Ocampo, docente alla Columbia University e membro di Icrict-. Il modo più efficace per porre fine ai paradisi fiscali sarebbe adottare un accordo internazionale storico: tutti i profitti mondiali delle multinazionali dovrebbero essere tassati in linea con le loro attività reali in ogni Paese, e dovrebbe essere adottata un’ambiziosa tassa minima effettiva globale del 25% sulle multinazionali”.

Il ricorso alle cosiddette “shell companies” (società senza uffici, dipendenti con nessuna o poca produzione, che vengono create ad hoc nei paradisi fiscali) dovrebbe essere vietato, aggiunge Gabriel Zucman, professore associato di economia all’Università di Berkeley in California. “E farlo non dovrebbe essere particolarmente difficile -spiega-. Il principale ostacolo non sono le British Virgin Island o Vanuatu, che probabilmente possono esser obbligate ad aderire a un accordo in questo senso. L’ostacolo principale sono tutti quei gruppi che negli Stati Uniti e in Europa utilizzano i governi dei paradisi fiscali come pretesto. Il punto chiave è che questa scusa ha poco senso. C’è un rischio significativo che sempre più elettori, falsamente convinti che la globalizzazione e la giustizia siano incompatibili, cadano vittime di politici protezionisti e xenofobi, e finiscano per distruggere la globalizzazione stessa”.

Per Eva Joly, già parlamentare europea e membro di Icrict, è urgente intervenire per regolare la tassazione globale anche per contrastare gli effetti del cambiamento climatico: “I Pandora papers mostrano, ancora una volta, che i soldi necessari a finanziare questo grande sforzo ci sono, dobbiamo andarli a cercare dove sono: nei conti correnti dei multimilioniari e delle multinazionali nascosti nei paradisi fiscali -commenta Joly-. Con 140 Paesi che attualmente stanno partecipando ai negoziati internazionali sulla tassazione universale promossa da Osce e G20 abbiamo un’opportunità senza precedenti di mettere fine alla stessa ragione d’esistere dei paradisi fiscali. È arrivato il momento di dimostrare una vera ambizione, adottando una tassazione globale molto più alta rispetto al 15% di cui si sta discutendo”.

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