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Disabilità: un futuro indipendente a due anni dalla legge sul “Dopo di noi”

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Libertà e autonomia: ecco i nuovi progetti che in Italia accolgono la scelta di vita delle famiglie con figli con disabilità. Garantendo il diritto di decidere davvero come, dove e con chi vivere

Tratto da Altreconomia 206 — Luglio/Agosto 2018

A settembre Marco, Riccardo, Roberto e Angelo andranno a vivere da soli, in un appartamento nel centro di Pavia, a pochi passi dalla piazza del Duomo. Sono serviti alcuni mesi di lavori per trasformare un vecchio poliambulatorio in una vera casa, con un grande soggiorno, cucina, cinque stanze singole e tre bagni attrezzati. “Siamo la prima realtà che nasce a Pavia per dare attuazione alla legge sul ‘Dopo di noi’ per persone con disabilità grave”, spiega Massimo Zanotti, padre di uno dei ragazzi, socio storico di Anffas Pavia e presidente dell’associazione “Un nuovo dono” che sta portando avanti il progetto.

“Mio figlio non può fare nulla se qualcuno non lo aiuta -aggiunge Zanotti-. Ma gli piace ascoltare musica classica e quando leggo ad alta voce un libro è contentissimo. In generale, mi fa sempre capire cosa gli piace e cosa no. Anche lui ha diritto di poter scegliere dove vivere e ha scelto di farlo con i suoi amici. Ha diritto di diventare adulto e raggiungere l’indipendenza”.

L’approvazione della legge sul “Dopo di noi” (112 del 22 giugno 2016) ha offerto ai genitori che hanno un figlio con disabilità grave un’alternativa per evitare l’istituzionalizzazione: la possibilità di attivare piccoli progetti residenziali singoli o in coabitazione (fino a cinque posti letto), grazie a un fondo aggiuntivo di 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni l’anno dal 2018. Risorse che potranno essere integrate dalle singole Regioni, come ha fatto ad esempio la Lombardia, che ha messo sul piatto ulteriori 30 milioni di euro.

In questo quadro normativo, si è inserito il progetto di “Un nuovo dono”: “C’è un contributo di 900 euro al mese per ogni persona con disabilità che sceglie di avviare un progetto di coabitazione -spiega Zanotti-. Questi soldi, sommati alla pensione di invalidità di mio figlio, all’indennità di accompagnamento e a un ulteriore contributo della Regione Lombardia ci permettono di coprire quasi interamente la cifra mensile necessaria a garantire la fattibilità del progetto, che si aggira sui 3.150 euro al mese”.

Per garantire la sostenibilità economica dei progetti di vita delle persone con disabilità anche dopo il decesso dei genitori, inoltre, la legge sul “Dopo di noi” ha previsto sgravi fiscali, esenzioni e incentivi per la stipula di polizze assicurative, trust fiduciari e trasferimenti di beni. Ad esempio, con la possibilità di vincolare l’eredità dell’abitazione al figlio con disabilità. “Per come è strutturato il nostro sistema di welfare, sono le famiglie a farsi carico dell’assistenza ai figli con disabilità. Ma quando i genitori, perché anziani o perché loro stessi non più autosufficienti, non riescono più a garantire questa assistenza, la sola risposta pubblica attuale sono percorsi di istituzionalizzazione, cioè da percorsi di vita in cui si vive e si abita all’interno di servizi residenziali”, spiega Marco Bollani, direttore della cooperativa sociale “Come noi e membro del direttivo di Federsolidarietà Lombardia.

“Le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, sulla base di eguaglianza, il proprio luogo di residenza, dove e con chi vivere” – Convenzione Onu

“Il senso della de-istituzionalizzazione promossa oggi dalla legge 112 è quello di affermare il diritto di poter scegliere dove e con chi vivere, a casa propria, ‘mettendo su casa’, senza essere costretti a vivere in una residenza sanitaria, per quanto esso possa essere efficace e anche migliorativo della qualità di vita delle persone”, conclude Bollani. Il cambiamento più importante che oggi la legge 112 impone sta tutto nel passaggio dall’affidarsi ad un servizio, alla costruzione partecipata di un progetto di vita. Un passaggio cruciale anche per prevenire i fenomeni di segregazione, come ha denunciato anche il Garante per le persone private della libertà, Mauro Palma, nella relazione al Parlamento presentata a metà giugno.

Il bacino di utenza -potenziale- di questa legge è molto ampio: sono circa 260mila le persone con disabilità che vivono con i genitori e 86mila hanno genitori molto anziani (Istat). Ma a oggi solo il 3,7% del totale dei servizi residenziali è costituito da case famiglia e da piccole comunità che permettono di rispettare il principio sancito dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la legge 18 del 3 marzo 2009), che all’articolo 19 afferma: “Le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, sulla base di eguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza, dove e con chi vivere, e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione abitativa”.

“È importante che i progetti del ‘dopo di noi’ vengano avviati quando i genitori sono ancora in vita” – Cristina d’Antrassi (Anffas Catania)

A due anni dall’approvazione dalla legge, i primi progetti iniziano a tradursi in realtà. A prima vista, un lasso di tempo molto lungo. Ma non la pensa così Marco Bollani, che ha girato in lungo e in largo l’Italia per spiegare la normativa a genitori e associazioni. “Questa legge ha costretto operatori e istituzioni a cambiare il loro modo di lavorare -riflette-. Non si tratta più di proporre un servizio standard a cui le persone devono adeguarsi, ma di costruire una risposta su misura, in base alle esigenze e ai desideri di ogni singola persona”. Al centro c’è il progetto di vita della persona con disabilità, un documento che viene redatto da un’équipe multidisciplinare, che dovrà essere rispettato anche quando quella persona resterà sola.

A rallentare l’attuazione della legge sul “Dopo di noi” hanno inciso anche le difficoltà nel recepimento della normativa da parte delle Regioni. “Abbiamo notato che la maggior parte delle Regioni sta facendo più fatica del previsto a tradurre la legge in atti normativi. Un ritardo dovuto anche alle modalità con cui il Titolo V ha distribuito competenze e responsabilità”, spiega Emilio Rota, presidente della Fondazione Anffas “Dopo di noi” Onlus istituita dall’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale. La Puglia, ad esempio, non ha ancora avviato i bandi per dare vita sui propri territori al programma operativo che l’anno scorso aveva presentato al ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Mentre in Lombardia già a fine ottobre 2017 i Comuni avevano già raccolto le domande. E nel mezzo ci sono realtà come il Molise, dove solo a giugno 2018 la Regione ha dato il placet ai singoli progetti.

260mila, le persone con disabilità che vivono con i genitori. Secondo l’Istat, 86mila hanno genitori molto anziani

In assenza di un monitoraggio ufficiale, che arriverà con la seconda relazione del ministero del Lavoro e delle politiche sociali (prevista per fine 2018), Anffas ha svolto un sondaggio tra le proprie 169 realtà territoriali: a oggi il 75% delle associazioni ha svolto attività di sensibilizzazione e informazione sul tema, mentre il 39% ha già attivato progetti di vita nell’ambito della legge 112/2016, per un totale di 306 interventi.

Un’ulteriore, inattesa difficoltà può venire anche dalle famiglie. “Da un lato i genitori sentono l’esigenza di progetti dedicati al ‘dopo di noi’. Dall’altro, tendono a voler ritardare il più possibile questo momento -spiega Cristina D’Antrassi, presidente di Anffas Catania-. Mentre i loro figli e le loro figlie danno risposte completamente diverse: abbiamo svolto un piccolo sondaggio e tutti hanno detto che vorrebbero andare a vivere con i loro amici”. Come hanno fatto le quattro ragazze che dal luglio 2017 vivono all’interno di un grande appartamento nel cuore del capoluogo siciliano. “Nessuno mette in discussione l’abnegazione e i grandi sacrifici che questi genitori hanno fatto per i loro figli -aggiunge D’Antrassi-, ma è importante che i progetti del ‘dopo di noi’ vengano avviati quando i genitori sono ancora in vita. In questo anno trascorso insieme, abbiamo notato grandissimi cambiamenti nelle ragazze: sono molto più autonome, anche nelle piccole cose. Nessuna di loro sbrigava le faccende domestiche a casa, con questa esperienza hanno imparato a essere indipendenti”.

“La nostra speranza per il futuro è che la legge venga applicata bene e nella sua interezza in tutta Italia -conclude Emilio Rota-. E che il nuovo Governo non solo si limiti a confermare il fondo, ma lo renda più cospicuo”. Resta però da capire quale dicastero dovrà farsene carico,- se il ministero del Lavoro e delle politiche sociali -che lo ha gestito nella precedente legislatura- o il neonato ministero della Famiglia e della disabilità. Interpellati da Altreconomia a fine giugno, entrambi i dicasteri hanno spiegato che la ripartizione delle competenze era ancora in atto.

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