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Ambiente

Domani corteo “No Triv”, in Abruzzo

Cinquantamila ettari di mare -davanti a Pescara, Francavilla ed Ortona- concessi per la ricerca di idrocarburi: sabato 13 aprile, dalle 15.30, manifestazione a Pescara. 267 le adesioni pervenute. Il Wwf presenta tutti i rischi di "Ombrina mare". Le esplorazioni off shore nel libro inchiesta "Trivelle d’Italia", scritto da Pietro Dommarco per Ae
 

“Il progetto Ombrina mare è molto rischioso non solo per l’ambiente ma anche per il futuro dell’economia turistica e della pesca della regione e per questo va fermato”: così oggi il WWF Abruzzo presentando i dati sui rischi derivanti dai progetti petroliferi che si stanno moltiplicando nel mare antistante la regione. L’associazione è venuta a conoscenza, tra l’altro, di un’ennesima concessione di un titolo minerario per ricerche petrolifere nel tratto di mare antistante Pescara, Francavilla ed Ortona.
Ricordiamo, invece, che il progetto Ombrina mare già approvato dalla commissione VIA nazionale è composto da una piattaforma di produzione con 6 pozzi, 36-42 km di tubazioni sottomarine e una grande nave raffineria FPSO di 320 metri di lunghezza ormeggiata a 10 km dalla costa per almeno 24 anni.
Il più aggiornato studio sugli incidenti riguardanti progetti simili ad Ombrina è il testo “Accident Statistics for Offshore Units on the UKCS 1990-2007" della OIL and GAS UK, pubblicato nel 2009, che riassume tutti gli incidenti avvenuti tra il 1990 e il 2007 nelle strutture di sfruttamento degli idrocarburi attive nella piattaforma continentale inglese.

Per quanto riguarda le piattaforme fisse inglesi nel periodo considerato sono avvenuti 5.871 incidenti con una frequenza di 3,4 incidenti per unità all’anno. Gli incendi sono stati 0,412 l’anno per unità, le esplosioni 0,024 l’anno e le perdite in mare di petrolio ben 1,76 l’anno per unità. Pertanto, se la piattaforma di produzione del progetto Ombrina mantenesse la frequenza media di incidenti delle strutture fisse inglesi si potrebbero prevedere nel suo ciclo di vita 42 perdite in mare (e gli incendi una sessantina). Per quanto riguarda le 16 navi FPSO inglesi nel periodo considerato sono avvenuti 603 incidenti con una frequenza di 4,10 incidenti per FPSO all’anno. Gli incendi sono stati 0,42 l’anno per unità, le esplosioni 0,013 l’anno e le perdite in mare di petrolio ben 2,82 l’anno per unità. Pertanto, se la FPSO del progetto Ombrina mantenesse la frequenza media di incidenti delle FPSO inglesi si potrebbero prevedere nel suo ciclo di vita 68 perdite in mare (e gli incendi una ventina).

Uno studio del Direttorato Norvegese per il Petrolio riporta la stima di perdite in mare di petrolio dalle FPSO di 3.240 barili in un ciclo di vita di 24 anni, solo tenendo conto delle perdite che avvengono durante l’allibo, il trasferimento del petrolio dalla FPSO alla petroliera (procedura che nel progetto Ombrina è prevista una volta al mese per 24 anni). Ovviamente a queste perdite vanno aggiunte quelle relative ad altre fasi della produzione e gestione. Un simile quantitativo ha, potenzialmente, secondo l’UNEP, la capacità di coprire circa 400.000 ettari di mare con un sottile film di meno di un mm di spessore.
Nello stesso studio relativo alle strutture della piattaforma continentale norvegese, si riporta una frequenza di collisioni tra FPSO e petroliera di 0,15 collisioni per anno per unità, ben superiori alla frequenza di collisione tra navi ed altri tipi di installazioni petrolifere. Pertanto, se la FPSO del progetto Ombrina mantenesse la frequenza media di collisioni delle FPSO norvegesi si potrebbero prevedere 3 collisioni nel ciclo di vita del progetto.
Le perdite possono essere massive. Nel 2011 una FPSO della Shell posta a circa 75 miglia al largo del Delta del Niger, secondo i dati forniti dalla compagnia petrolifera, ha riversato in mare 40.000 barili di petrolio. La marea nera si estendeva per 70 km, coprendo 92.300 ettari di mare, secondo quanto dichiarato dalla stessa compagnia.

Dichiara Fabrizia Arduini, responsabile del settore energia del WWF Abruzzo “La nostra principale preoccupazione è che le navi FPSO e le stesse piattaforme di produzione sono potenziali fonti di frequenti e a volte enormi fuoriuscite di petrolio. I vari studi prodotti, commissionati dai governi o dagli stessi petrolieri, evidenziano in maniera inequivocabile l’alta frequenza di incidenti. Solo in Italia dobbiamo sentire i fautori della deriva petrolifera dichiarare che tutto è compatibile e non vi sono rischi. Basti pensare che la nave FPSO collegata ad Ombrina dovrebbe stoccare sino a 50.000 tonnellate di petrolio e 15.000 tonnellate di zolfo e acqua di produzione. Per il progetto Ombrina non esiste una approfondita analisi del rischio nonostante sia a ridosso della costa, quando nel resto del mondo queste strutture sono poste a decine e decine di chilometri di distanza. Oltre ai rischi relativi alla dispersione dei fumi e dei fanghi, agli incendi, agli scoppi e ai rilasci in mare di petrolio, abbiamo anche il rischio della subsidenza – l’abbassamento verticale di una porzione di territorio. Il tutto in un’area dove sono in corso importanti investimenti per milioni di euro del DOCUP PESCA 2000/2006 “Protezione e sviluppo delle risorse acquatiche“, con fondi anche dalla Commissione Europea. Lo scopo dell’intervento è di ottimizzare l’habitat per la conservazione ed il ripristino di spigole, orate, corvine, cernie, saraghi ed altri pesci pelagici o di scoglio.

La commissione Valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente ha incredibilmente dato parere favorevole al progetto prescrivendo alla Medoilgas di predisporre un’analisi del rischio, che, quindi, arriverà dopo il parere positivo. Il proponente dovrà provvedere alla redazione di una analisi di rischio globale con le analisi quantitative che tengano conto di tutti i possibili scenari. Ciò è del tutto illogico visto che è compito proprio della Valutazione di Impatto stabilire preventivamente se i rischi sono sopportabili dall’ambiente e dall’economia delle regioni potenzialmente interessate dagli incidenti”.
Dichiara Augusto De Sanctis, referente acque del Wwf Abruzzo: “Oggi il Mediterraneo è tra i mari più inquinati da idrocarburi, con oltre 38 milligrammi/mc di contaminazione, a fronte dei 3 milligrammi/mc di altri mari. Ciò deriva dai grandi incidenti che hanno coinvolto petroliere con rilasci di decine di migliaia di barili e dalle centinaia di perdite più piccole provenienti dalle petroliere in transito, dalle piattaforme e dalle navi in genere. Le mappe disponibili sulle perdite reali sono impressionanti perché il Mediterraneo è costellato da miriadi di fuoriuscite nere. Le mappe del rischio sono consequenziali ed evidenziano che il medio Adriatico ha già ora, senza Ombrina, il massimo livello di rischio ambientale da fuoriuscita di petrolio in mare. Dobbiamo, quindi, progressivamente abbandonare l’economia basata sul petrolio perché altamente inquinante”.

Dichiara Luciano Di Tizio, presidente del Wwf Abruzzo “Nei giorni scorsi abbiamo appreso che il governo dimissionario ha realizzato un nuovo colpo di mano, concedendo il 15 marzo 2013 un permesso di ricerca di idrocarburi in mare alla società Petroceltic. Si tratta di una porzione di Adriatico enorme antistante Pescara, Francavilla e Ortona, dell’estensione di ben 50.000 ettari che ora sarà destinati alla ricerca di idrocarburi. Intere comunità si oppongono a queste proposte ma i ministeri vanno avanti lo stesso come se nulla fosse. Il Wwf chiede agli enti, a partire dal comune di Pescara, di fare ricorso al TAR contro quest’ennesima decisione che va contro gli interessi ambientali ed economici della regione. Vi è ormai un deficit di democrazia che deve essere colmato. La manifestazione di sabato 13 aprile, a Pescara con partenza dalla Madonnina alle ore 15:30 è un appuntamento da non perdere a cui invitiamo a partecipare tutti i cittadini che hanno a cuore il futuro sostenibile dell’Abruzzo e del suo mare”.

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