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Ambiente

Doha. L’insufficienza di un accordo possibile

Primi giorni di negoziato nella capitale del Qatar. Le posizioni si consolidano tra chi chiede fortemente un accordo vincolante e chi si aspetta un percorso più flessibile. Ma i tavoli della COP non sono gli unici che trattano di sostenibilità ambientale e di cambiamento climatico: la Wto ed il Nafta rischiano di essere, volenti o nolenti, il dietro le quinte che può condizionare tutto lo spettacolo.

Maite Nkoana-Mashabane è stata la ministra sudafricana designata alla presidenza della scorsa COP17 di Durban.
È ricomparsa a Doha, all’apertura della nuova Conferenza delle Parti, per passare il testimone al nuovo presidente di turno, il primo ministro Abdullah bin Hamad al-Attiyah che ha definito il nuovo vertice "un’opportunità d’oro" per lavorare ad un nuovo accordo globale. In quanto tempo questo vedrà la luce è difficile dirlo. La stessa Nkoana-Mashabane citando un proverbio africano ha ricordato che "se vuoi camminare in fretta allora cammina da solo, ma se vuoi andare lontano, cammina assieme agli altri". Andare lontano, e tutti insieme, è un valore indiscutibile, farlo in tempi biblici rischia di essere imbarazzante sia di fronte all’IPCC, che chiede di arrivare al picco delle emissioni entro il 2015 (anno in cui si dovrebbe chiudere un accordo realmente globale) se si vuole rimanere al di sotto dei 2°C di aumento delle temperature, sia di fronte alla stessa Christiana Figueres, segretaria generale della Convenzione Onu sul clima, che solo pochi giorni fa aveva dichiarato l’esigenza di fare in fretta visto che mancano solamente 36 mesi alla data fatidica.

Sul tavolo, in questi giorni, una decisione finale sul secondo periodo di impegni di Kyoto, visto che il primo è oramai prossimo alla scadenza. Lo ha chiarito alle agenzie il delegato ugandese Chebet Maikut, chiarendo che il suo Paese non è arrivato in Qatar ad assistere "ad un gruppo di Paesi industrializzati che complottano per sotterrare Kyoto". E se questa è l’Uganda, figuriamoci la Cina che ricorda in apertura della COP come l’elemento chiave di Doha sarà un accordo vincolante sul secondo periodo di impegni di Kyoto che dovrà entrare in vigore il 1 gennaio 2013. Basterà?
Walden Bello, fondatore della ONG Focus on the global South, pensa sia insufficiente se non addirittura anacronistico, ma è un passo ineludibile per raggiungere un vero "global deal" che coinvolga tutti i grandi inquinatori. Ma la strada definitiva, aggiunge Bello, è "la completa trasformazione del sistema da un’economia capitalistica […] ad un’economia a crescita lenta capace di promuovere equità ed una relazione armonica tra società e biosfera".

Quanto sia necessario un ripensamento profondo nelle regole che governano l’economia globale, prima ancora della lotta al cambiamento climatico, ce lo ricorda la Lone Pine Resources, un’impresa energetica statunitense con sede a Calgary, ha citato in giudizio lo stato del Quebec per la moratoria votata lo scorso giugno sulle operazioni di fracking per estrarre combustibili fossili, considerate ad alto impatto ambientale e climatico. Appellandosi alle direttive del Nafta, il North American Free Trade Agreement (l’accordo di libero scambio che dal 1994 coinvolge Canada, Stati Uniti d’America e Messico), che consente ad un’azienda che si ritiene penalizzata da legislazioni statali, la Lone Pine Resources ha chiesto 250 milioni di dollari di risarcimento che, se venissero riconosciuti legittimi, verrebbero pagati dai contribuenti canadesi.
Perchè, secondo l’avvocato Milos Barutciski dello studio Bennet Jones che rappresenta l’azienda, è legittimo che il Governo decida per una moratoria, ma non può sospendere le concessioni già date e, secondo Barutciski, "non può espropriare la nostra proprietà. E’ esattamente quello che le regole del Nafta sui diritti degli investitori intendono tutelare".

Il Canada, d’altra parte, si trova sul tavolo degli imputati anche alla Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) per il suo programma di incentivi agli impianti fotovoltaici considerati dal Giappone come distorsivi del mercato. Una posizione a cui il tribunale ha dato sostanzialmente ragione. E le guerre commerciali sulle rinnovabili sono solo all’inizio. La risposta della Cina ai dazi sui propri prodotti considerati sottocosto non si è fatta attendere: sul tavolo del tribunale della Wto a breve ci sarà un file che riguarda proprio gli incentivi al fotovoltaico in Europa, soprattutto per ciò che riguarda la Grecia ed il nostro Paese. Secondo il Ministero cinese del commercio "la Cina considera che [queste] misure siano incoerenti con le regole della Wto sul trattamento nazionale e che costituiscano sussidi […] che non sono consentiti dalla Wto".
Se il mercato globale, ed i diritti delle imprese, possono modificare profondamente le politiche di interi Paesi, un accordo globale sul clima, anche se necessario, rischia di rimanere ampiamente insufficiente.

 

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