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Economia / Approfondimento

Diritto alla riparazione e non obsolescenza: il 2021 è l’anno chiave

Un raduno di riparatori organizzato dalla Ong Restart Project nel Museo di Londra nel 2017 in occasione del FixFest © Brendan Foster Photography

Marketing e continui aggiornamenti accorciano la vita degli apparecchi di uso quotidiano. Associazioni, cittadini e piccoli riparatori rivendicano il diritto a rimetterli in sesto. La Commissione europea sembra essersi decisa ad ascoltarli

Tratto da Altreconomia 233 — Gennaio 2021

Sulla carta non è vietato ma nei fatti aggiustare apparecchi e dispositivi in molti casi si rivela difficile e costoso. Da circa dieci anni un movimento fatto di associazioni, gruppi di cittadini, piccoli riparatori chiede che il “diritto alla riparazione” sia garantito. Ora la Commissione europea sembra essersi decisa ad ascoltarli: il 2021 sarà un anno chiave. Bruxelles si è impegnata a sancire per legge questo diritto creando le condizioni per poterlo esercitare davvero: manuali accessibili, pezzi di ricambio disponibili per un certo periodo dalla fine della commercializzazione degli apparecchi, informazioni in fase d’acquisto sulla loro reale riparabilità. Secondo Eurobarometro, il 77% degli europei valuta la riparazione come prima opzione prima di un nuovo acquisto e il 79% pensa che i produttori di dispositivi digitali dovrebbero essere obbligati a rendere più facile la sostituzione delle componenti rotte. Anche per raggiungere l’obiettivo comunitario della neutralità climatica al 2050 è fondamentale allungare la vita degli apparecchi minacciata da un’obsolescenza galoppante: programmata e indotta da marketing, aggiornamenti software e sviluppo tecnologico.

Secondo uno studio commissionato dall’Agenzia per l’ambiente tedesca tra il 2004 e il 2013 la quota di elettrodomestici sostituiti a meno di cinque anni dall’acquisto per un malfunzionamento è aumentata dal 3,5% all’8,3%. Un report di settembre 2019 del gruppo europeo di Ong European Environmental Bureau mostra che estendere di un solo anno la vita di tutte le lavatrici, i computer portatili, gli aspirapolvere e gli smartphone in Europa farebbe risparmiare quattro milioni di tonnellate di CO2 ogni anno da qui al 2030, l’equivalente di togliere dalle strade per un anno più di due milioni di auto. Per frigoriferi, schermi elettronici, lavastoviglie, lavatrici e lavasciuga, la Commissione ha approvato nel 2019 regolamenti in vigore da marzo 2021 che prevedono l’obbligo di mettere a disposizione parti di ricambio ai riparatori professionisti e in parte ai consumatori per un periodo prestabilito (tra i sette e i dieci anni) dopo la fine della commercializzazione di un dato modello, tempi massimi di spedizione dei pezzi, accessibilità delle informazioni su come riparare e reperire le componenti.

A giugno 2020 l’Agenzia europea per l’ambiente ha messo a confronto durata attesa e durata reale di una serie di apparecchi, rilevando come la prima sia maggiore di almeno due anni e tre mesi. Per gli smartphone si arriva a tre anni e quattro mesi. E proprio gli smartphone saranno tra le priorità delle misure che Bruxelles si è impegnata a presentare nel 2021 per rendere più facilmente riparabili e duraturi i prodotti elettronici e rafforzare il ruolo del consumatore: all’atto dell’acquisto dovrebbe poter sapere la durata prevista del prodotto e le possibilità di riparazione. Una misura che in Francia sta diventando realtà. Da gennaio 2021 è previsto che lavatrici, portatili, smartphone, tv e tagliaerba siano accompagnati da un punteggio di riparabilità, calcolato tenendo conto di facilità di disassemblaggio, prezzo e disponibilità di pezzi di ricambio e accesso alle informazioni per la riparazione. L’indice dovrebbe allargarsi a più apparecchi e diventare dal 2024 un più ampio indicatore di longevità. È il primo caso al mondo ma secondo la Ong francese HOP l’indice non è perfetto: troppo semplice ottenere buoni punteggi che sono calcolati dai produttori e non sempre facilmente verificabili dai consumatori.

APPLiA Europe, l’associazione che rappresenta i produttori europei di elettrodomestici, attraverso il suo direttore generale Paolo Falcioni, si dice “a favore di politiche di circolarità che permettano di aumentare ulteriormente la sostenibilità dei prodotti anche estendendo la vita utile degli stessi”. Ma spiega che il diritto alla riparazione esiste già: “Nel 2018 il 91% degli elettrodomestici che necessitavano di riparazione e che sono pervenuti ai nostri membri, sono stati riparati. Un numero che parla da sé e conferma che gli elettrodomestici sono, già oggi, riparabili”. I numeri però vanno letti con attenzione. Quella percentuale, secondo Ugo Vallauri, cofondatore della Ong britannica Restart Project, “va interpretata come il 91% delle riparazioni rese disponibili dai produttori. Il numero non comprende i casi di guasti per i quali non viene reso nessun servizio di riparazione e quelli per cui gli alti costi comportano la sostituzione prematura dell’apparecchio”.

Restart Project dal 2019 anima la campagna Repair.eu insieme ad una quarantina di organizzazioni. Come la fondazione Repair Cafè, nata da una iniziativa della giornalista e attivista Martine Postma a Amsterdam nel 2009. Secondo i dati che ha raccolto nel 2018 su 34 gruppi di riparazione (quelli attivi oggi sono circa 1.800), degli oltre 7.800 tentativi di riparazione condotti, il 65% è andato a buon fine. I riparatori si sono dovuti arrendere, e per l’elettronica è accaduto nel 44% dei casi, soprattutto perché le componenti non erano riparabili, non c’erano pezzi di ricambio sul momento o non erano disponibili, o erano troppo costosi. A volte riparare è troppo difficile o troppo pericoloso, o non è possibile aprire un prodotto senza romperlo. “Le barriere principali sono il costo dei pezzi di ricambio, la loro disponibilità, la difficoltà nello smontare i prodotti e la mancanza di manualistica”, conferma Vallauri che con la sua Ong dal 2013 organizza Restart Parties.

40 sono e organizzazioni aderenti alla campagna Repair.eu. Per l’Italia è presente Giacimenti Urbani

Uno dei punti principali di confronto tra le diverse forze in campo è chi potrà realmente fare le riparazioni e accedere ai manuali. Da parte loro le 40 organizzazioni aderenti alla campagna Repair.eu (solo una, Giacimenti Urbani, è italiana) sostengono un diritto alla riparazione universale: “Non siamo d’accordo sul definire per legge cosa è riparabile da tutti e cosa solo dai riparatori di professione. Siamo i primi a sostenere il settore della riparazione commerciale ma fare distinzioni per legge in certi casi ha risultati paradossali: per i frigo, per esempio, la lampadina è considerata una componente accessibile solo ai riparatori professionisti”, spiega Vallauri di Restart Project. Per l’industria però, aggiustare deve rimanere soltanto un mestiere: “Quando si parla di riparazione, è indispensabile tenere a mente che per riparare un prodotto elettronico servono competenze tecniche. Per due motivi: il primo è garantire la sicurezza del consumatore ed è per noi un requisito imprescindibile; il secondo è riparare il prodotto nella maniera corretta per preservarne il servizio per il quale il consumatore l’ha acquistato”, aggiunge Falcioni.

Vallauri fa notare che nei regolamenti non è previsto un tetto ai costi dei pezzi di ricambio e nessun requisito minimo di aggiornamento dei software, mettendo così a rischio di obsolescenza prematura apparecchi come le smart tv. Alle barriere fisiche, si affiancano le “virtuali”. Gli smartphone sono l’esempio più eclatante. Lo United States Public Interest Research Group, che dal 2017 con la campagna Repair e la piattaforma iFixit conduce una battaglia per vedere riconosciuto il diritto alla riparazione negli Stati Uniti, evidenzia in un report come alcuni dei maggiori produttori di smartphone non rendano disponibili per i riparatori indipendenti i software diagnostici: senza questi il pezzo sostituito non è riconosciuto dal sistema e non può entrare in funzione. Si spera nel nuovo presidente Joe Biden: il Partito democratico, spiega il responsabile della campagna per il right to repair di Uspirg Nathan Proctor, si è schierato a favore del diritto alla riparazione e al momento in 20 Stati è in esame una proposta legislativa per introdurlo. Il risultato più importante è stato raggiunto in Massachusetts dove nel 2012 è stata approvata unfa legge che dà il diritto anche ai meccanici indipendenti e ai proprietari delle auto di accedere ai dati diagnostici del veicolo per la riparazione.

 


La lettura dell’articolo intitolato “Diritto alla riparazione e non obsolescenza: il 2021 è l’anno chiave” potrebbe dare l’impressione che l’Italia abbia un ruolo marginale nel movimento per un diritto universale alla riparazione e che il Paese sia poco attento e coinvolto su questo tema. Con questa breve precisazione, vorrei far conoscere il lavoro che portiamo avanti, come rete di attivisti e riparatori volontari, sul diritto alla riparazione e lo straordinario sostegno che riceviamo quotidianamente da cittadini di tutta Italia che, come noi, vogliono poter estendere la vita dei prodotti attraverso la riparazione rispettando le risorse naturali, l’energia e il lavoro impiegati nella loro produzione, riducendo i rifiuti e risparmiando soldi. È dal 2018 che la campagna per il diritto alla riparazione è attiva in Italia. Nell’ottobre di quell’anno, lavorando a stretto contatto con Ugo Vallauri del Restart Project britannico, la raccolta firme per il diritto alla riparazione su change.org ha raccolto più di 100mila firme in un paio di mesi corredate da centinaia di testimonianze. Insieme, le centinaia di migliaia di firme raccolte dalle petizioni italiane, tedesche e britanniche hanno contribuito a esercitare forte pressione sul Consiglio europeo prima della serie di voti decisivi del gennaio 2019 per includere il diritto alla riparazione nella revisione della normativa europa Ecodesign, precursore dell’attuale strategia per l’economia circolare dove il diritto alla riparazione è uno dei principi fondamentali. Nello stesso gennaio 2019, la petizione firmata è stata consegnata al ministro dell’Ambiente uscente Sergio Costa.
Da allora, collaboriamo da vicino con la campagna europea Repair.eu attraverso la rete Restarter Italia, Repair Café Italia e Giacimenti Urbani, il nostro capofila. La mappa dei gruppi di riparatori volontari, oltre a dare un’idea della presenza del movimento sul territorio, è un invito a entrare in contatto e a costituire nuovi gruppi di riparatori là dove non ce ne sono. E se la pandemia ha permesso solo un numero minimo di incontri di riparazione, le attività d’informazione, di formazione e di pressione sui nostri rappresentanti politici a Bruxelles, Strasburgo e Roma proseguono senza indugi.
 
Francesco Cara, attivista del Climate Reality Project

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