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Diritti / Opinioni

Diritti umani, tutti bocciati

Il “Rapporto 2012” di Amnesty analizza in modo critico gli importanti avvenimenti geopolitici dell’anno scorso. L’Italia che non cambia, invece, è ancora tra i cattivi per rom e  rapporti con la Libia _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 140 — Luglio/Agosto 2012

La lettura del Rapporto annuale di Amnesty International è un bagno di realtà molto salutare. In Europa e in generale nel Nord del mondo, cioè nei Paesi che si considerano un modello di democrazia, c’è una bassa percezione dei propri limiti e delle proprie, gravissime, contraddizioni, e Amnesty è uno dei pochi soggetti -non l’unico- che osserva le singole nazioni per come si comportano e non per quel che dichiarano o per come gli apparati mediatici e istituzionali si rappresentano.
Il “Rapporto 2012” è ancor più dirompente del solito, perché il 2011 è stato un anno di grandi cambiamenti, specie nel bacino del Mediterraneo. Ribellioni e  mobilitazioni popolari contro regimi autocratici hanno scosso l’opinione pubblica mondiale;  il declino del modello economico neoliberale  ha suscitato proteste e azioni di piazza anche in Occidente.
Quest’effervescenza senza confini  è parsa a molti l’inizio di una nuova stagione politica e culturale, ma arrivati a metà del 2012 il bilancio provvisorio non è molto positivo. Il Rapporto di Amnesty International dà giudizi d’insieme molto espliciti. Sulle mobilitazioni popolari: “Il contrasto fra il coraggio dei manifestanti che chiedevano i loro diritti -scrive Salil Shetty, segretario generale dell’organizzazione, nell’introduzione del Rapporto- e il fallimento della leadership nel rispondere a questo coraggio con azioni concrete per costruire società più forti, basate sul rispetto dei diritti umani, è stato dolorosamente evidente”. E più avanti: “Se c’è un filo che lega le manifestazioni di piazza Tahrir, Zuccotti Park o piazza Manezhnaya (in Russia, ndr) è la velocità con cui hanno agito i governi per prevenire proteste pacifiche e limitare il diritto alla libertà di espressione e associazione”.  Amnesty non manca di puntare il dito contro le grandi corporation, che non esitano a trarre vantaggio dall’azione liberticida dei vari governi. Un atto d’accusa diretto è rivolto alle aziende globali della comunicazione, poiché “accettano di conformarsi a leggi palesemente illegali che violano i diritti umani, inclusi i diritti alla libertà di espressione, informazione e privacy. Ci sono prove che aziende, che apparentemente si dedicano (e ne traggono benefici) all’espressione e alla condivisione delle opinioni, incluse Facebook, Google, Microsoft, Twitter, Vodafone e Yahoo, stanno collaborando ad alcune di queste violazioni”.
Il Rapporto, come sempre, è articolato per schede analitiche, ciascuna dedicata ad un Paese. All’Italia quest’anno sono dedicate otto pagine, sufficienti per un ritratto tutt’altro che lusinghiero. L’Italia è sotto accusa perché “razzismo e discriminazione verso minoranze quali rom e migranti non sono cessate”. Nel corso del 2011 il Consiglio di Stato ha cancellato perché illeggittima la cosiddetta “emergenza rom” (una nozione razzista quanto poche altre) dichiarata a suo tempo dal ministro dell’Interno Roberto Maroni in alcune regioni, ma la situazione sul campo -secondo Amnesty- è cambiata poco. A Milano, ad esempio, “sebbene le autorità elette a maggio non abbiano lodato pubblicamente gli sgomberi dei campi rom con i mezzi d’informazione, come avevano fatto i loro predecessori, gli sgomberi sono proseguiti in modo incompatibile con gli standard sui diritti umani”. Resta indaguato, secondo Amnesty, il trattamento riservato a migranti, richiedenti asilo e rifugiati e niente si è fatto per la prevenzione e la punizione della tortura, mentre continuano a essere segnalati casi di maltrattamenti di cittadini fermati o detenuti.
Il Rapporto non affronta i casi emersi nel corso del 2012, ma questi primi mesi fanno già capire che non vi è stata alcuna inversione di tendenza con il cambiamento di governo. La sezione italiana di Amnesty sta concentrando l’attenzione sull’accordo firmato all’inizio di aprile a Tripoli dal nuovo ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri e dal suo omologo nel governo provvisorio libico. Questo accordo è ancora segreto, nonostante le numerose sollecitazioni arrivate al governo Monti affinché lo renda pubblico, ma Tripoli sostiene che restano in vigore gli accordi del 2008, quando fu avviata la politica dei cosiddetti respingimenti in mare, giudicata poi illegittima dalla Corte europea di Strasburgo. Il nuovo governo libico non dà alcuna garanzia per la tutela dei diritti dei migranti, ma il governo italiano pare considerarlo ugualmente un buon partner per la sua politica interna ed estera. La cultura dei diritti umani non è ancora riuscita a fare breccia nei nostri palazzi del potere. —

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