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Direttiva europea sul copyright, la nuova versione in vista del voto definitivo

© FREDERICK FLORIN/AFP/Getty Images

Dopo due anni e mezzo di trattative, a Strasburgo è stato presentato il testo di Direttiva europea sulla tutela del copyright per il materiale artistico presente in Rete. Commissione, Consiglio e Parlamento europeo hanno modificato gli articoli più controversi della riforma raccogliendo le istanze di Germania e Francia. Il ruolo e gli interessi dei colossi del web

Dopo due anni e mezzo di trattative, a Strasburgo è stato presentato il testo di Direttiva europea sulla tutela del copyright per il materiale artistico presente in Rete. Il Trilogo, organo tecnico istituito tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, ha modificato gli articoli più controversi della riforma raccogliendo le istanze di Germania e Francia. L’articolo 11, a protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale, accoglie la richiesta di lasciare gratuita la fruizione di piccoli testi estratti da un articolo. Questo cambiamento consente per esempio a Google News di poter indicizzare e pubblicizzare ancora nel proprio motore di ricerca gli articoli dei giornali, pagando però una parte dei profitti agli autori ed editori nel caso di lettura integrale dei pezzi.

L’intenzione dell’europarlamentare relatore della direttiva, il tedesco Axel Voss, è infatti quello di tutelare la stampa tradizionale che in soli quattro anni ha perso proventi per 14 miliardi di euro mentre quelli della stampa digitale son saliti di 4 miliardi, con una perdita netta per l’industria giornalistica europea di 10 miliardi in soli quattro anni. L’europarlamentare Silvia Costa, che ha seguito fin da subito i lavori sul testo della direttiva, commenta: “Con questo articolo si cerca di tutelare anche la libertà di stampa. I giornalisti devono fare sempre più i conti con gli scarsi proventi e la pressione delle società che finanziano gli editori. Se iniziamo a retribuire la fruizione in internet generiamo valore economico e di conseguenza il benessere della stampa”.

Il vero lavoro di cesello e mediazione è stato fatto sull’articolo 13, terreno in questi ultimi mesi di forti scontri politici e flame sui social. La controversia è infatti legata alla possibilità, per le piattaforme digitali, di creare profitti su contenuti protetti ma caricati da singoli utenti. I singoli utilizzatori di Google e di Facebook, come è noto, possono “caricare” liberamente materiale coperto da copyright, generando milioni di visualizzazioni, senza che agli autori dei contenuti condivisi venga corrisposto un compenso. Questa differenza tra valore generato in internet e remunerazione per gli artisti, sintetizzata con l’espressione “value gap”, è stata calcolata da uno studio di Ernst&Young in 360 milioni di euro l’anno per la sola Europa. Un valore economico enorme che, secondo Paolo Franchini, presidente della Federazione Editori Musicali, porterebbe grandi benefici all’intera filiera dell’industria culturale europea che, “pur essendo già una delle industrie più importanti del nostro continente, ha grandi margini di crescita per la quale il mondo digitale può e deve rappresentare un’opportunità e non un freno”.
L’articolo 13 della direttiva promuove infatti una sorveglianza maggiore sui caricamenti, obbligando le grandi piattaforme a vincolare con licenza tutto il materiale messo in rete dai singoli utenti.
I detrattori però sono tanti e denunciano il rischio di censura preventiva da parte di autori ed editori. Julia Reda, europarlamentare del Partito Pirata tedesco, denuncia come l’articolo 13 possa impedire la libera circolazione di materiale in internet: “Se tutto ciò che verrà caricato in rete sarà sotto la vigilanza di un controllore non saremo più liberi di scegliere e guardare ciò che vogliamo”. Durante la conferenza stampa di presentazione del testo, il relatore Axel Voss ha sottolineato invece come l’articolo sia solo a tutela del “creatore”: “Accogliendo la richiesta della Germania abbiamo lasciato la libertà per i piccoli portali di caricare e pubblicizzare i propri lavori. Infatti le società digitali al di sotto dei 5 milioni di utenti al mese e con un fatturato inferiore ai 10 milioni annui nei primi 3 anni di vita non dovranno pagare agli artisti gli eventuali profitti della value gap. Le grandi piattaforme invece, che arrivano a fatturare 130 miliardi all’anno come Google, dovranno stipulare licenze ad hoc per ridare agli artisti la loro dignità professionale. Non è censura, è giusta retribuzione”.

A marzo ci sarò il voto finale del Parlamento europeo sulla direttiva: “Dal primo voto di settembre 2018 abbiamo ricevuto costanti minacce dalle lobby digitali, come mail bombing le notti precedenti al voto, campagne di fake news e la conferma, dataci durante una visita della Commissione Cultura nella Silicon Valley, che Google sarà presente al momento del voto in Parlamento. Quest’ultima iniziativa, illegale visto che in Parlamento ci entrano solo persone elette e non società private, ci fa capire quanto sia importante approvare il prima possibile il testo”, denuncia l’europarlamentare Costa.
La società fondata da Larry Page si prepara al prossimo mese di lavori con un atteggiamento diverso, come conferma la dichiarazione di un portavoce di Google Europa: “La riforma del diritto d’autore deve andare a beneficio di tutti, inclusi i creator e i consumatori europei, i piccoli editori e le piattaforme. Studieremo il testo finale della direttiva europea sul copyright e ci vorrà del tempo per decidere i prossimi passi. I dettagli contano, accogliamo con favore la possibilità di continuare le conversazioni su questo tema in Europa”.

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